Capodanno. Giorgio Napolitano: ‘L’Italia ha ritrovato il suo orgoglio’.

Capodanno. Giorgio Napolitano: ‘L’Italia ha ritrovato il suo orgoglio’.
Vicini con Coppi, 1947

 IL NUOVO ANNO. “ L’Italia – ha scoperto il presidente Napolitano – ha ritrovato il suo orgoglio”. Un orgoglio, possiamo aggiungere, che era scomparso dopo la nefasta esperienza d’una guerra voluta da due dittatori che ci ha condotto nel più profondo del baratro. dal quale forse  stiamo risalendo.
Quando il nonno, davanti al sonoro crepitio del minuscolo camino,  nei pomeriggi d’inverno, e soprattutto sotto Natale, quando fuori cadeva copiosa la neve, ci raccontava di suo padre che aveva meritato una medaglia d’argento al valore militare nella battaglia di Castelfidardo, del 1860, che contribuì ad aprire il passo per l’ incontro tra Vittorio Emanuele II e Garibaldi a Teano; aggiungendo, quasi a conclusione d’un ragionamento, i ricordi dei suoi anni trascorsi, da giovanissimo, sul fronte Nord orientale, durante la prima Grande Guerra, trasmettendo un orgoglio dell’appartenenza che le generazioni posteriori non hanno mai più conosciuto. Non odiava i ‘crucchi’, anzi, per molti versi li stimava, semmai non mostrava dei complessi. Nè verso i ‘crucchi’, né verso quelli d’ Oltralpe, né verso quelli delle isole d’Albione. Anche perché, aggiungeva con un sorrisino, che era tutto un programma:  “ Noi, ai ‘crucchi’ gliele abbiamo date, e con le nostre mani”.

E anche se ogni spiegazione va rintracciata sui libri di storia, non occorre questa volta risalire  tanto lontano per capire che l’orgoglio di appartenere a questo Paese, tra i quattro o cinque fondamentali per la storia ( non solo) d’Occidente ( basti pensare,  disse Carlo Magno, a Roma e alla Chiesa di Roma), non è una aspirazione peregrina. Sotto Natale, ad esempio, prima a New York e poi a Los Angeles, il tenore Andrea Boccelli ha tenuto due concerti in cui, attraverso la  sua voce, s’è levato alto il volo d’una tradizione musicale e canora che ha nel Mondo radici inimitabili. E tuttora ammalianti.

Il 2 gennaio, visto che ci siamo allargati sul tema orgoglio, ricorre l’anniversario della morte di Fausto Coppi, ciclista di Castellania, nato nel 1919 e morto nel 1960 a Tortona, autore d’una epopea ( non solo sportiva)  senza eguali nel mondo. Il tempo muta le prospettive, e in questo senso i giovani possono ascoltare solo gli ultimi racconti. Coppi, nel 1940, vinse il primo di cinque Giri d’Italia, a poco più di vent’anni. Per rivincerlo dovette aspettare il 1947, perché intanto era scoppiata la guerra dove lui, come tanti altri coetanei in grigioverde, finì prigioniero in Africa. In Francia, invece, sempre a causa dell’interruzione bellica ,
potè andarci solo nel 1949, per ‘spopolare’ il primo dei suoi due Tour ( su tre  partecipazioni). Aveva trovato, Fostò, sulla sua strada,  una generazione di giganti come quella dei Bartali, Magni, Koblet, Kublet, Bobet, Van Stembergen, autori a loro volta, di imprese  che solo le  penne  di ‘suivers’ eccezionali come Vergani, Buzzati, Ambrosini, Montanelli, Raschi, Brera e simili, potevano ‘cantare’ adeguatamente.

Coppi andò in Francia, quando il Tour  aveva appena ripreso dopo una sosta di oltre sei anni, e quando erano ancora  ‘calde’ le ferite tra italiani e francesi a causa d’una guerra che ci aveva visto contrapposti. Per alcuni anni, volarono infatti  sui nostri colori solo insulti, sassate e perfino botte. Eppure Fostò, col suo fare ‘ da italiano triste’, riuscì a far innamorare gli ‘incazzati’ francesi.
Risollevando un orgoglio ‘bruciato’ da una guerra terribile, fratricida, che non si doveva fare. Oggi,  una più recente generazione di ciclisti che s’è scontrata con Eddy Mercxs, ritiene che sia stato costui  il più ‘forte’  corridore di tutti i tempi. Portano a loro sostegno dei dati, incredibili certo, ma che non dicono tutto. Quando il ‘forte’ belga cominciò a tirare i remi in barca aveva 29 anni, o giù di lì; Coppi, invece, i ‘remi in barca’ non li tirò mai, tanto che morì di malaria a poco più di quarant’anni dopo essere stato invitato, in Africa francese, ad un circuito dove si piazzò o primo o secondo. Alla carriera di  Coppi vennero a meno  gli anni ‘centrali’ della vita d’un atleta, almeno sei o sette, tra i ventuno e i ventisette/ventotto,  spazzati via dalla furia degli eventi bellici. Buon per Eddy, quindi, che la storia non si faccia con i ‘se’ e con  i ‘ma’; perché a quest’ora, a parità di trattamento o se volete di destino‘, di lui non si conoscerebbe neppure il nome.

Dati e non soltanto, perché quell’uomo in biancoceleste,  dallo ‘sguardo perennemente altrove’,  sapeva entusiasmare  folle incredibili come nessun altro. Folle commosse, spesso, ma soprattutto riconoscenti per avergli riacceso l’orgoglio d’appartenere ad un popolo antico,  difficile, bistrattato,  contraddittorio e   diviso …  in contrade e fazioni,  ma comunque capace  di auto rigenerarsi sulle ‘proprie ceneri’, ogni volta, quando meno te lo l’aspetti, e  perfino dalle situazioni più drammatiche .

Tanti auguri di Buon 2012, Italia!

Roberto Vannoni

 

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