Il Natale a Napoli. Un po’ diverso che altrove, per via dei mille problemi sociali che l’attanagliano.

IL NATALE A NAPOLI. Nella città di Napoli anche il Natale è particolare, un po’ diverso che altrove, per via dei mille problemi sociali che l’attanagliano. Qualcosa è cambiato rispetto a quando ero ragazzo, ma non troppo: stesse luminarie, stesso pranzo natalizio, stesso presepe, stesso albero addobbato con luci e palle di vetro colorate. Sono invece cambiate le persone, ma ciò è avvenuto in tutti i paesi e le città del mondo. Un tempo eravamo tutti più religiosi,più attaccati alla famiglia, forse anche più buoni, di certo più poveri, ma anche più ingenui e più contenti.
L’attesa della festa cominciava già nei primi giorni di dicembre e nelle strade si respirava aria nuova che odorava di resina e di muschio, molto pungente e carica di promesse.
I negozi erano bene illuminati e carichi di merce mentre nei ‘bassi’ dei vicoli descritti da Domenico Rea nei suoi racconti napoletani, si giocava e tuttora si gioca a tombola la sera. Via Roma, una volta via Toledo, è ancora oggi centro del passeggio mentre in via Chiaia e in via dei Mille ci sono i negozi più prestigiosi; piazza dei Martiri è ancora luogo d’incontro per gente che conta e di giovani gagà che parlano italiano, ma con accento napoletano volutamente marcato perché fa molto ‘chic’ , soprattutto se si pronuncia la ‘r’ arrotata alla francese.
Noblesse oblige! Via San Gregorio Armeno è meta di turisti che vanno a vedere e a comprare presepi e pastori in terracotta ormai famosi in tutto il mondo. Ci vanno dopo essere entrati nella pasticceria Scaturchio a gustare una sfogliatella calda calda. Napoli non è solo il tempio della pizza,ma anche dei dolciumi: babà al rum, cassate , cassatine e cannoli alla siciliana, pastiere, prussiane, millefoglie,deliziose, torte al limone, mimose, zuppette e sciù. Ce n’è per tutti i gusti, per tutti i palati. Adoro i dolci e diffido di chi non li mangia. Chi non ama il dolce ama l’amaro e allora è persona rustica e violenta, oppure soltanto masochista. Il dolce è dolce!
Forse in nessun’altra città al mondo dolce ed amaro si mescolano come a Napoli, da sempre città degli opposti, dei passaggi chiaroscurali violenti come quelli dipinti dal Caravaggio nelle sue tele.
Il mercato del pesce e della frutta nel popolare quartiere Pignasecca mi ha sempre affascinato perché non è soltanto la festa dei prodotti del mare e della terra, ma anche la vetrina di un campionario colorato, scoppiettante e variegato di popolani chiassosi, impastati della violenza di Masaniello e della poesia di Salvatore Di Giacomo e di Ferdinando Russo.
Come tutti gli uomini anche i napoletani amano la buona cucina e nel giorno di Natale non si fanno mancare nulla, anche perché la cucina napoletana è ricca e molto varia: si va dallo spaghetto a vongole alla frittura di pesce, dai frutti di mare al baccalà, dalla minestra maritata ( una minestra di verdure cucinata con guanciale fresco di maiale) alla pizza con scarole. Ma il vero monarca della tavola, a Napoli come in tutte le tavole d’Italia,resta il capitone di Comacchio. Di certo il napoletano mangia bene almeno una volta all’anno e per questo ha scelto il giorno di Natale. Un giorno da leone e cent’anni da pecora. In quel giorno non rinuncia a niente, costi quel che costi. Il 25 dicembre i napoletani hanno un’espressione di gioia nei loro volti ed esprimono la poesia del vivere,tirano fuori il loro cuore che li distingue da tutti gli altri meridionali. Sono infatti diversi i siciliani, i calabresi, i pugliesi e i lucani che si distinguono per essere silenziosi . I nati sotto il Vesuvio sono invece allegri, chiacchieroni, soprattutto molto chiassosi. Tutto sommato poco è cambiato in periodo natalizio, tranne qualche mutamento legato alla politica e al progresso inarrestabile che ci ha messi tutti in ginocchio. Resta qualche rimpianto.
C’erano una volta le navi da guerra americane ancorate nel golfo e nel porto della città, che di notte esibivano il gran pavese di luci intermittenti per ricordare la festa celebrata anche da loro. Oggi, al loro posto, ci sono gigantesche navi da crociera, eleganti e illuminate come alberghi a cinque stelle. Sono spariti i marinai della bandiera stellata, quelli che da giovane consideravo nemici invasori del mare e del suolo italico e che invece erano tanti bambinoni pronti ad offrirmi una “chewingum” oppure una profumata “Chesterfield” o “Lucky Strike”. In quei giorni di festa si poteva leggere nei loro occhi la nostalgia per le loro case, il rimpianto dei grattacieli e la loro voglia di tacchino farcito preparato dalle loro madri.
Le “segnorine” napoletane scendevano dai quartieri “Spagnoli” per “agganciare” in via Roma i loro clienti imbottiti delle “tredicesime”. In quel tempo loro erano le mie fate turchine ed erano riconoscibili per il rossetto rosso fuoco e marcato, per gli enormi orecchini pendenti e dal movimento delle vesti che assecondavano l’ancheggiare dei corpi. Oggi le “segnorine” ancora ci sono, ma il loro aspetto è meno appariscente, meno ostentato anche perché si è stretta la forbice del divario culturale tra loro e le signorine o signore cosiddette perbene. Conservano ancora i loro sguardi carichi di “promesse” e che i cretini si ostinano a chiamare peccati. Sono sguardi particolari e che hanno una loro suggestione, un innegabile fascino. Per me la loro presenza è sempre stata una realtà di quei giorni di festa natalizi, quando avevo in tasca mille lire da spendere. Ho sempre considerato il sesso espressione sana della vita e non peccato, altrimenti dovrei pensare che anche la mia nascita è frutto di peccato, quando i peccati sono ben altra cosa. Tutti li conosciamo. In questi giorni pre-natalizi il mio pensiero và anche a quelle “segnorine” che in tanti disprezzano ingiustamente. Le città pullulano di targhe ricordo e di monumenti dedicati ai caduti in guerra, a famosi scienziati,ministri,minatori ecc. Sarebbe bello se in un Paese civile come il nostro venisse eretto un monumento alle tante “segnorine” che hanno pagato con la vita l’esercizio di un antico mestiere non scelto per loro piacere. E’ questo il mio pensiero natalizio del 2012.
Napoli è sempre stata povera, amante del bel canto e della buona tavola, superstiziosa e devota a San Gennaro, da sempre mortificata e umiliata in tutte le sue legittime aspirazioni; una città dove, come è stato detto e scritto, nulla è più stabile del provvisorio e dove ci si è sempre chiesto e ci si continua a chiedere quali siano stati i vantaggi dell’Unità d’Italia. Oggi c‘è ancora la fede e la preghiera, comincia invece a vacillare la speranza. Il Natale ha il potere di cancellare, sia pure momentaneamente, fame e pessimismo. Tutti attendono un segnale dalla grotta del presepe: lavoro per tutti quelli che non ce l’hanno e la rinascita del popolo napoletano. Per il momento a Napoli la gente continua a svegliarsi la mattina senza sapere se potrà apparecchiare la tavola. Si chiede, inoltre, quando arriverà qualcuno a cambiare le cose prima che sia troppo tardi per continuare a festeggiare il giorno tanto importante per noi cristiani.
FRANCO CORTESE