Giro d’Italia. Riparte la corsa di maggio. Nibali-Wiggins-Hesjedal: il vincitore è tra questi?

IL GIRO D’ITALIA. Caro vecchio Giro. Già ai tempi del primo processo alla tappa di Sergio Zavoli si discuteva se sarebbe rimasto sommerso o meno dall’ondata della modernità. Fatta di una miriade di mostri a motore, mentre, tu te la passavi ancora con strani meccanismi meccanici spinti, con grande sofferenza e volontà, dalle gambe ( e dal cuore) di stravaganti individui pedalatori.Non solo non sei deceduto, e nonostante i tanti guasti ( come quello del doping) ed errori, sei ancora lì, pronto a ripartire sulle imprevedibili ma affascinanti strade d’Italia. Lungo quello che ( nonostante altri guasti ed errori) resta il Paese più variegato e bello al mondo. I tanti suivers stranieri, ormai provenienti da ogni angolo della Terra ( quest’anno debutta pur un cinese), abituati a sentir dire pesta e corna della Stivale, si ravvedono in fretta. E anche se il nostro marketing ( nazionale) funziona a cavolo, non mancano di granare ( ancora) gli occhi, come facevano i loro illustri predecessori, che giungevano però ( sopratutto) da alcuni paesi d’Europa.
Il doping ha certo allontanato dalla bicicletta milioni di ( veri o potenziali) appassionati. E tuttavia, quando il fruscio di quelle gomme s’annuncia sull’asfalto di qualsiasi contrada d’Italia, la gente o accorre o s’affaccia o si ferma, per applaudire il lungo e colorito biscione di giovani stravaganti che sfidano cielo e terra per portare a compimento una ‘sfida’ incredibile prima di tutto con se stessi.
L’ATTUALITA’. Il Giro s’è interrotto solo con le due grandi guerre. Oggi taglia il nastro della 96 a edizione. Per molti aspetti tanto diversa dal passato. Più tecnologica, più organizzata. Eppur, alla resa dei discorsi, i motivi d’interesse restano quelli: ce la farà uno dei nostri? E chi sarebbero gli stranieri che possono far loro la corsa? Quanti sono in corsa?
In corsa sono 207 ( per 2 team) provenienti dal Mondo. Il nostro sarebbe Vincenzino Nibali ( 28 anni, dell’Astana) e a batterlo sono chiamati ( soprattutto) Bradkey Wighins ( 33 anni, vincitore del Tour 2012) e Ryder Hesydal ( 32, outsider di grande considerazione). Come si concluderà tra loro ( con aggiunta del solito imprevedibile incomodo) lo si saprà a fine maggio. Quando la corsa del sole e dei fiori verrà sigillata a Brescia, leonessa d’Italia.
LA STORIA. I record di successi se lo dividono in tre: Binda, Coppi e Merckx. I giovanotti della poule di cronisti e commentatori Rai, quando nominano questi tre prediligono ( senza esitazione alcuna) il belga, ripetutamente collocato al vertice del movimento ciclistico, visto che ai suoi tempi ha fatto vere e proprie ecatombi di corridori contemporanei, buoni ma non certo fenomeni. Per questa sua voracità ( interrotta soltanto da un controllo doping Giro del 1969) venne soprannominato il ‘cannibale‘.
Coppi vinse i cinque Giri, il primo, nel 1940 e, il secondo, nel 1947. E questo perchè la corsa fu sospesa ( dal 1941 al 145) tornando solo nel ’46 ( Bartali). Di mezzo c’era stata la più sanguinosa guerra d’ogni tempo dove Coppi finì prigioniero in Tunisia. La ripresa del ’46 fu ( come ben si può intuire) non facile, soprattutto per uno come il piemontese che aveva dovuto interrompere le sue prestazioni sportive per alcuni anni. Quanti? Almeno 5/6, che a regime normale avrebbero potuto aggiungere qualche altro Giro sul palmares del campionissimo di Castellania. Per quel che concerne il Tour, poi, le cose andarono ancor peggio perchè Coppi ( gioco forza) ne disputò solo tre, trionfando in due. Mettere a confronto le cifre sue con quelle d’un altro che, sia pure esaurendosi intorno ai 29 anni, ha avuto tempo e modo per ‘esprimersi’ al meglio, pare quanto meno un esercizio ingrato. Se poi ci spostiam sulla statura dei personaggi e a quanto sapeva suscitare, al solo passaggio, e in tutta Europa, la sagoma inconfondibile dell’uomo bianco celeste, finito ( con Bartali) sui libri di storia, beh, qui non iniziamo neppure il discorso.
Esiodo, nell’opera Le opere e i giorni, ripercorrendo il passato, evoca tre epoche: d’oro, argento e bronzo. Senza ripeterlo, ma solo ( con qualche beneficio d’inventario) prendendolo a prestito per la sola storia della bici, vien da dire che , dopo la fase pionieristica animata da autentici fenomeni umani impegnati a scollinare il mondo percorrendo centinaia di chilometri al giorno su strade sterrate e polverose, l’epoca d’oro potrebbe essere individuata in quella fase popolata di giganti, ante e post bellica, con Binda ( che costringeva la Gazzetta a pagare dal secondo in giù), Bartali, Coppi, Magni, Koblet, Kubler, Bobet fino ad Anquetil; poi, dovrebbe succedere quella d’argento, con Merckx, appunto, che sceglieva di stritolare ( nei Giri) i suoi avversari tra Gimondi ( il più coriaceo, ma non certo un Bartali e probabilmente neppure un Magni), Adorni, Motta, Ocana ( bravo ma sfortunato e comunque scomparso troppo presto) e qualche altro scalatore ( soprattutto spagnolo) di annata; infine si dovrebbe arrivare ai tempi nostri, con la bufera devastante del doping ( i dieci anni di Armstrong sono emblematici), e l’allargamento dei praticanti a nazioni ( per decenni) estranee ( o quasi) alla pratica ciclistica.
Probabilmente i ragazzotti della troupe Rai ( Bubarelli, Cassani e la De Stefano), pur pregevoli nel loro impegno, per molti versi davvero encomiabile, sulla ( probabile) epoca d’oro si sono affidati alle testimonianze di alcuni ( Magni, Martini e altri grandi protagonisti compresi), finendo con l’inciampare ( ostinatamente) su quel fenomeno molto umano ( ma sempre attuale ) che tende a ‘sminuire‘ ( pur con tutta l’onestà possibile) quanto appartiene al passato o tramesso da altri o più scomodo.
In particolare quello che ha messo in ombra qualche contemporaneo o qualcuno della generazione successiva. Che crede d’essere quel che non è. Eppure le grandi storie, come le grandi epoche, esistono. L’Italia, in questo sport, è stata quello che il Brasile o l’Argentina sono per il pallone. Le grandi storie a volte possono essere eguagliate, a volte no. Si tratta di saperle accettare. Di esempi, in questo senso, ce ne sono a bizzeffe. L’importante è raccontare il giusto, almeno per i nostri ( più ) giovani.
Infatti perchè non chiediamo a loro chi sceglierebbero tra un ‘ grande airone’ ed un ‘ inesausto cannibale‘?
ALCUNE CIFRE.
Il Giro ( che parte da Napoli e arriva a Brescia) conta 21 tappe, per uno sviluppo complessivo di 3.454,8 chilometri. In totale 21 sono le tappe. Tra queste tre sono a cronometro ( Isola d’Ischia-Forio, domenica 5, 17,4 km; Gabicce Mare- Saltara, sabato 11, 54,8 km; Mori-Polsa, cronoscalata, giovedì 2, 20,6 km) e alcune ( con sette arrivi in salita) sono di montagna ( Cesana Torinese – Col du Galibier, domenica 19, 149 km; Ponte di Legno- Val Martello Martelltal, venerdì 24, 139 km; Silandro- Tre Cime di Lavaredo, sabato 25, 203 km).
Per i velocisti ( guidati dal migliore, l’inglese Cavendish) le tappe sono ( almeno) sette ( Napoli, Matera, Margherita di Savoia, Treviso, Cherasco, Vicenza e Brescia).
La cima più alta sarà al Pordoi, con 2.758 m., dedicata come sempre a Fausto Coppi, il Campionissimo.