Olimpiadi Rio 2016. E ora: tutti insieme con lo Zar. No, così non sei più il ‘nostro’ Settebello.

Olimpiadi Rio 2016. E ora: tutti insieme con lo Zar. No, così non sei più il ‘nostro’ Settebello.
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LA CRONACA DAL DIVANO OLIMPIA. E così, abbiamo portato nelle semifinali quattro formazioni che appartengono ai   giochi di squadra più praticati al mondo( calcio a parte) : i due ( sorprendenti eroi) del beach volley, la ( geniale) pallavolo maschile, la ( robusta) pallanuoto maschile ( Settebello)  e ( la grintosa) pallanuoto femminile ( Setterosa).
Ci hanno ( complessivamente)  ‘tradito‘ ( solo )  la pallavolo femminile (  solitamente all’avanguardia ma questa volta  tanto inconsistente da non sembrare vera), la boxe ( senza acuti)   e (    incolpevolmente ) il ciclismo.
Lodevoli sono stati  infatti il quartetto dell’inseguimento su pista ( piazzato, contro dei mostri), il grandioso il Viviani ( oro nell’omnium), l’indomabile  Longo Borghini ( bronzo in linea) e lo sfortunato Nibali ( caduto a 10 km dall’arrivo quand’era al comando della corsa).
Bilancio, quindi, nel suo complesso, per quanto riguarda singoli e giochi di squadra, più o meno esaltante. Con qualche ombra e molte luci. Di certo non doveva essere gestita  così la prestazione in finale per l’oro della pallanuoto maschile la quale, ancora una volta, al cospetto del solito incubo balcanico, s’è persa in una sorta di psicodramma ( sempre più)  inspiegabile.
Come si possa essere ‘ buonisti’ ( anche di fronte al bronzo  conquistato contro il Montenegro) con  prestazioni da 30 e mai da 31 non si capisce proprio. Evidentemente, tra i nostri 62 milioni di concittadini, ce ne sono tanti che godono da matti davanti a cotali spettacoli: magari, diciamocelo, per ripeterli all’infinito?

Ci hanno (ri) sollevato il morale i due giganti del beach Nicolai e Lupo ( giustamente eletto  portabandiera nella serata di chiusura della colorata Olimpiade di Rio ) che in casa di quelli che il beach l’anno inventato hanno cosparso terrore a  piene mani fino all’ultima palla.
Altra ( incredibile) soddisfazione è giunta dal volley.  Zaytsev lo zar e soci, infatti,  si sono guadagnati ( contro una squadra Usa di grande livello) una finale quando manco più i loro parenti lo speravano . Quasi un contentino, il loro, per (ri)addolcir(ci) la bocca dopo la ( possibile) finale persa dall’attonito ma pur sempre generoso Setterosa.

Al momento ( sabato 20) questo il nostro medagliere: 8 ori, 11 argenti, 7 bronzi ( totale 26 medaglie).
A questo punto non riusciremo più a riprendere  la Francia ( 9/12/14), mentre speriamo di tenere sotto l’Olanda( 8/6/4) per restare nelle top 10. Come auspicato da Malagò.

 TORNA IL ( NOSTRO) CAMPIONATO. Di Canio e Vialli si sgolano si Sky per celebrare la ( loro cara ) Premier, ovvero ( a sentir loro) ” il campionato più imprevedibile e sorprendente del mondo“. Che imprevedibile è davvero , visto che  lo scorso anno ad aggiudicarselo è stata una squadra valutata ( alla vigilia) più o meno  ( e non solo economicamente)  come il Frosinone o il Crotone.
I vari cantori hanno parlato in questa circostanza di favola, la favola ( sportiva) più straordinaria dell’ultimo secolo. Il problema per tutti costoro, però, è che non hanno ben riflettuto sugli effetti prossimi futuri di tanta straordinaria impresa. Nella prima di Premier, infatti, la favola  Leicester è stata infilzata  nientemeno che  da una squadra ( l’ Hull City) che porta in campo 13 giocatori contati e senza allenatore per mancanza di risorse economiche. I vari cantori parlano, ovviamente, d‘accidente. E tuttavia staremo a vedere.
Perchè se al primo accidente ne faranno seguito altri ( di accidenti), magari (ri)mettendo in pericolo retrocessione  ( come avrebbe dovuto essere  l’anno scorso) lo squadrone del nostro ( pur sempre bravo) Ranieri, beh, chiederemmo una riflessione su questo curioso e spregiudicato modo di contribuire all’epica sportiva dei nostri tempi.
Comunque sia, lasciam perdere la Premier, e (ri)accostiamoci al nostro Campionato. Il quale, stando alla teoria, dovrebbe essere già assegnato come accade (  da tempo immemorabile) in Germania ( Bayern) o Francia ( Psg) o Spagna ( Barca o Real). Alla teoria, perchè nel paese dove l’Araba Fenice più  ama risorgere dalle proprie ceneri, alla teoria ( molto difficilmente) segue la pratica. Il Belpaese, infatti, ha in serbo mille volti, mille soluzioni, mille sorprese.
Onde per cui assegnare in partenza il sesto scudetto di fila alla Nostra Signora è quanto meno azzardato. E’ vero che l’Inter deve scrollarsi di dosso le sempre poù esose  richieste di vecchi e nuovi managers; è vero che il Milan ( cinese) brancola ancora nel buio; è vero che il De Laurentis s’è lasciato scappare il suo Pipita; è vero che Spalletti non ha più Pjanic e che deve ( disperatamente) rigenerare il suo gigante in attacco. Vero, tutto vero.
Ma chi può davvero garantire  che nonostante le apparenze non resti in serbo per le rivali della Nostra Signora qualche ‘ sorpresa’ ? Male che vada, occorrerà interpellare il nostro Ranieri. Del resto, che problema sarebbe ripetere una bella favola come quella del suo prodigioso Leicester  anche qui, da noi, cinici e miscredenti?

 

COPPI O  MERCKS ? SENTIAMO GEMINIANI. In quest’epoca strana in cui il ciclismo sembra essere migrato in Albione, con tanti nuovi eroi che non si sa mai se prendere sul serio o no, viste anche  le loro performance sempre molto selezionate e fugaci. E con carriere ( relativamente) brevi. Proprio all’opposto di quanto accadeva una volta, prima e dopo la seconda guerra, con quegli artefici figli degli dei  che sulle strade duravano più degli acciai speciali.
E’ ( comunque) dagli anni Sessanta che ci si dibatte se il più grande dei pedalatori sia stato il nostro Coppi o il belga Mercks. Molti storiografi ( oltre a  tanti, troppi saputelli), anche di parte nostra, oggi  propendono ( allegramente) per il secondo, visti anche i titoli che è riuscito a mettere in carniere. Senza valutare, chissà perchè,  i contesti diversi in cui i due straordinari campioni hanno vissuto.
Ad esempio, quando si elencano le vittorie di Coppi ci si ricorda che ha ‘ saltato’ i suoi  anni centrali  ( 1940/1947 o giù di lì ) per ragioni belliche e post belliche? Quando si dice che ha vinto ‘ solo‘ due Tour si sa che, lui, al Tour, per le ragioni di cui sopra, c’è potuto andare solo tre volte e intorno ai trent’anni?
E comunque, sul tema, tra i tanti, avveduti o meno, c’è n’è uno oggi che ( per c0mpetenza, conoscenza diretta e imparzialità)  può ( come si dice) tagliare la testa al toro?
C’è sì. Eccolo. E’ il ‘grande’ Raphael Geminiani, 91 anni, emigrato d’origini romagnole  in Francia e avversario ( con Robic e Bobet) del nostro.
Spiega  Raphael Geminiani: ” Sono stato ( anche) direttore sportivo di Mercks. Non si capacitava. Un giorno Eddy mi fa ‘ Tu sei sempre per Coppi, ma io sono almeno al suo livello?’. E io: ‘ No, lui ha vinto qualcosa che a te manca‘. Eddy rispose:’ E’ impossibile, cosa?’. Gli dissi: ‘ Due titoli mondiali su pista ad inseguimento‘. Rimase senza parole. Se Fausto stava bene poteva staccarti ovunque: in salita, in discesa, in pianura, a cronometro, col sole, la pioggia, la neve. Immenso”.

L’INSIPIENTE EUROPA. Abbiamo avuto modo nel passato, su questo foglio mediatico, di dare un’occhiata ( rapida) alle grandi pagine di storia della leggiadra Europa. Storia degli ultimi secoli, soprattutto, tralasciando quella più antica rimasta  in mani romane per più secoli ma  con il beneficio ( mai più recuperato)  d’un continente ( allora) unito.
Stiamo dando un’occhiata quelle pagine del passato che, come  insegnerebbe il grande Nicolò, potrebbero ( se messe a buon frutto)  tornarci utili ancor oggi e non poco.
Del resto il passato ( checchè si dica ) non muore mai,  resta. Può inoltre  servire da termine di paragone, soprattutto nei momenti più  incerti e grami, magari per consentire di  optare per  l’una o l’altra esperienza la quale,   pur fatte  le debite differenze,  ( spesso e volentieri ) è già stata  vissuta ( magari senza accorgercene) in altre circostanze .

ALTRE PAGINE DI STORIA. Abbiamo finora sbirciato sulle nefandezze della guerra dei Cent’anni: 1337-1453 ( avviata per i possedimenti feudali inglesi in Francia e risolta con la battaglia  di Castillon); sulle devastanti  guerre  d’Italia: 1494 – 1557 ( con l’iniziale discesa nella Penisola di Carlo VIII e  30 mila armati  e con  esito finale nella battaglia di San Quintino, dove i francesi lasciarono sul campo 14 mila tra morti e prigionieri);
sulla sanguinosissima guerra dei Trent’anni: 1619- 1648 (  avviata da   Ferdinando II  imperatore e sigillata dalla vittoria franco-svedese di Zusmarshausen che costrinse alla conseguente pace di Vestfalia).
E infine sulla non meno violenta Guerra civile inglese: 1620-1660 ( nata per via del  dissidio tra Monarchia e Parlamento e con  il re Giacomo I che sciolse provocatoriamente  il Parlamento. Il conflitto si concluse dopo  innumerevoli  massacri ed esecuzioni e con  il ritorno in Gran Bretagna della ‘ odiata’ Monarchia ).
A dirla con senno del poi, verrebbe da chiedersi il perchè di tanto spreco di sangue e di dolore. Probabilmente, per i tempi in cui i conflitti avvennero, qualche ragione doveva esserci. Sennò chi giustificherebbe mai una guerra. Il problema però è se, almeno per noi, europei dell’oggi,  che tanta passata nefandezza possiamo valutare ormai a giochi fatti, da quei dolorosi  esempi possiamo trarre qualche beneficio oppure no.

In poche parole:  conviene ancora scannarci tra noi come accaduto  in passato o possiamo optare per altre soluzioni?
Magari meglio ragionate, più concilianti e condivise? C’è chi sostiene che proprio attraverso i tanti conflitti siano ‘ emerse’ ( di fatto)  quattro Europe: quella mediterranea ( dalla Grecia all’Italia;  dall’Italia, alla Francia, alla Spagna e al Portogallo) ; quella centro europea ( o tedesca); quella isolana ( o britannica) e quella slava ( più  balcanica che russa).
Se l’osservazione ha fondamento, la strada per dar corpo ad una unica nazione europea non ha tante opzioni, se non quella di ( finalmente)  trovare un modo credibile per   conciliare l’ inconciliabile.
Ovvero  riuscire a  ’ confederare’ quattro ( o cinque) grandi aree chiaramente caratterizzate, segnate da culture e  vicende originali diverse, compreso l’uso  delle lingue . Ma da amalgamare su quale unico fondamento universalmente diffuso? Forse, gettiamo là una proposta,  le ( tanto discusse)  ’ comuni radici cristiane’?
Qui sono in tanti, più per  ‘residuati’ ideologici e storici che altro, a far orecchie da mercante. Soprattutto nel Nord Europa.  Eppure basterebbe scivolare qua e là per il Vecchio continente e veder svettare ovunque, dalle gelide terre del Nord alle calde acque dello Ionio o dell’Egeo, un campanile, con una croce e una chiesa.
Che stanno in quei luoghi ( pur con tutte le ‘sofferenze’ e i ‘contrasti’ patiti )  non certo da ieri o dall’altro ieri.

Già, il cristianesimo, e visto che  ( per viaggiare insieme) qualcosa di comune dobbiamo pur sempre trovarla, perchè ( continuare ad ignorare) tanta diffusa, evidente  e sedimentata presenza  ( non propriamente solo ) religiosa ?

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