Viaggio alle radici della fede. La comparsa e la diffusione delle pievi ( dalla metà dell’VIII secolo).

RIMINESE ( Parte II). C’è un ‘ tema’ in questo ‘viaggio’ alle radici antiche della fede che non può essere (assolutamente) ‘saltato’. Riguarda la comparsa e la diffusione, a partire dalla metà dell’VIII secolo, delle pievi. Pievi, sì, che allora funsero da tramite nevralgico dell’organizzazione religiosa e, per molti secoli me per molte traversie, anche di quella civile. In genere le pievi, in cui era collocata una fonte battesimale, erano affidate ad un sacerdote , al quale veniva riconosciuto ( anche) il diritto a riscuotere le decime per le spese del culto. Le pievi sorgevano, per la più parte, in luoghi isolati.
E dunque (apparentemente) avulse dai centri abitati. Si è calcolato che fino all’anno Mille sul territorio diocesano riminese, di pievi, ne sorsero (almeno) una ventina. Currado Curradi, ad esempio, si è sbilanciato sul numero arrivando ad ipotizzarne (esattamente) sedici. Ma a chi erano dedicate quelle fascinose, complesse, autosufficienti, ‘complessi religiosi? Diciamo: (soprattutto) agli ‘apostoli’ oppure ai ‘martiri locali’ ( come san Gaudenzo o santa Innocenza) oppure ai ‘santi guerrieri’ ( tanto cari a Bizantini e Longobardi) e perfino a noti campioni della fede, come san Martino e santa Colomba.
LA PIEVE DI SAN MICHELE ARCANGELO. Purtroppo, di questa fondamentale stirpe d’edifici religiosi ( al momento) è sopravvissuto ( in condizioni discrete) soltanto qualche raro esempio. Tuttavia assai significativo.
Come la pieve di san Michele Arcangelo, databile intorno alla metà del VI secolo e ubicata nel bel centro di Romagna. La sua, nonostante guasti e mancanza di cure adeguate, resta tuttora un’autentica ‘apparizione’.
San Michele (in particolare) colpisce per la sua linearità, ma questo è solo l’ aspetto estetico, perché in realtà ad emergere nell’osservare la sua struttura è un’ispirazione complessa e raffinata. Con molti elementi non ancora del tutto decifrati, tipo: la presenza di ben sette porte ( murate) e di un innesto leggermente irregolare fra navata ed abside, (forse) derivato da un edificio preesistente.
Del ‘martirio strutturale’ a cui la pieve è stata sottoposta dagli eventi resta però una diffusa documentazione. Difficile da datare. Al momento, solo un cippo d’altare del IX secolo e una torre del X secolo ricavata dal riutilizzo di pietre antiche, testimoniano dei suoi ( diversi) passaggi storici ; a questi resti vanno aggiunti poi un frammento d’affresco quattrocentesco ed un bel Crocefisso, di mano trecentesca.
la pieve di San Michele ‘riposa’ all’ombra d’una alta corona di pini secolari. D’estate, all’interno dell’ampia aula rettangolare, prendono a giocare ( incessantemente) suggestivi tagli di luce ad ogni ora del giorno; e insonorizzati, al tramonto, dal festoso coro d’uccelli annidiati sulle creste più alte dei pini. D’inverno, poi, quando gli sfondi del cielo diventano plumbei, e s’annuncia il Natale con le prime cadute di neve, l’edificio sembra isolarsi, tutto raccolto com’è nel suo silenzio senza tempo. Altra pieve significativa è quella di san Giovanni in Compito, presso Savignano, datata al X secolo ma già esistente nel VII. L’edificio conserva infatti qualche brandello di muratura originale e più antica. Alla famiglia delle pievi romaniche dei ‘secoli bui’ appartiene anche quella di san Martino a Verucchio, dotata di un abside coronato da archetti lapidei e ( inoltre) di un arco trionfale ‘curvato’ in maniera (già) gotica.
L’età di queste pievi è ( solitamente ) documentabile grazie a frammenti scultorei. Tutti databili, più o meno, tra l’VIII e il X secolo. E praticamente ormai ‘erratici’ e ‘fuori’ da ogni contesto. Tuttavia insostituibili. Come il cippo dell’altare della Pieve di Santarcangelo; o l’ architrave ‘a treccia’ e il capitello ‘con tralci e foglie di acanto’ di san Giovanni in Compito; o come i motivi ‘fitomorfi e floreali’ della pieve di San Vito. Da non omettere durante questo singolare percorso sono alcune chiese di campagna mai assunte al titolo di pievi, ma che essendo d’ antichissima fondazione, conservano frammenti significativi dell’Alto Medioevo.
Esempi? Il ‘pulvino bizantino’ a Canonica di Santarcangelo; ma anche quello barbarico, al ‘Suffragio’ di Verucchio, oltre al ‘marmo con intrecci’ nella chiesa di san Paterniano di Casalecchio e così via.
Non sono rari, qua e là sul territorio, esempi (per lo più modesti) d’arte barbarica. Si tratta di ‘lasciti’ Goti, Longobardi, Franchi. Questi popoli portarono, al loro arrivo, violenze, sconcerto, confusione e povertà (anche ) estrema. Gli edifici rischiarono un diffuso decadimento. E anche le istituzioni religiose finirono col risentirne in negativo. Nacquero infatti cruenti scontri tra vescovi legittimi, intrusi o simoniaci.
Dai quali arrivavano risposte diverse. Con ricadute ( spesso) drammatiche sui fedeli. E finanche su quegli ordini religiosi ai quali erano affidate la nascita e la gestione delle pievi. Questo anche in territorio riminese. Dove, in genere, in quel tempo di grandi contrasti, si finiva ( come del resto altrove ) con l’optare per l’autorità ( o la situazione) di comodo. Il tutto anche di fronte a scelte ‘terribili’, come quella ( per citarne una emblematica) della contemporanea presenza nell’universo cristiano di due Papi.
Testo a cura di Roberto Vannoni
Nella immagine, il luminoso interno della pieve di Santarcangelo, in buono stato ma difficile da ‘leggere’ nelle sue numerose sedimentazioni temporali.