Grandi famiglie romagnole. I Malatesti, discesi verso la città di mare dalla pieve di Pontemessa.

Grandi famiglie romagnole. I Malatesti, discesi verso la città di mare dalla pieve di Pontemessa.
Grandi famiglie romagnole. I Malatesti, discesi verso la città di mare dalla pieve di Pontemessa.

I MALATESTI. In Valmarecchia hanno avuto le loro radici importanti  famiglie italiane.  Tra queste la più nota è senz’altro quella dei Malatesti, signori di Rimini ma non originari di Rimini. Spesso ci si è chi è chiesti quale rapporto essi abbiano conservato, una volta insediatesi al governo del capoluogo adriatico,  con i luoghi dei loro luoghi d’origine, ovvero con  l’ Alta Valmarecchia. La risposta c’è, anche se molto curiosa; nel senso che  non avendo rintracciato – almeno per quel che ci riguarda - studi mirati sullo specifico argomento siamo stati costretti ad arrangiarci elaborando qualche congettura estrapolata, ovviamente, sempre all’interno del voluminoso materiale di studio accumulatosi nel tempo su questa Famiglia dominante.

DOVE SONO NATI? Ma da dove partire per meglio conoscerli? Da Rimini o da Ponte Messa?  Diciamo pure da quest’ultima località,  in considerazione del fatto ormai accertato che i Malatesti abbiano bagnato i loro esordi proprio nel corso d’acqua che dal Fumaiolo corre, per circa 80 chilometri, fin all’Adriatico. Studi e testimonianze convergono in questo senso.
“ Non sappiamo – documenta Gino Franceschi - quando l’Anonimo autore della prima ‘ Cronaca malatestiana’ abbia messo mano al suo lavoro. Ma il racconto prende le mosse da quando i Malatesti, dalla Penna dei Billi, si trasferirono a Sogliano e a Verucchio dove, acquistando terre, divennero in seguito anche cittadini di Rimini e importanti capi della parte guelfa”. I poteri esercitati  ( tra XI/XII secolo) dai Malatesti  su Pennabilli e sulla Media valle del Marecchia,  sono stati indicati da un Anonimo che li dedusse, molto probabilmente, da una tradizione antica a noi non pervenuta. Almeno inizialmente, essi dovettero risultare non dissimili da quelli concessi ad altri ‘capitanei’ sparsi qua e là per la Romagna, ovvero,  quei ‘capipieve’ o ‘domicelli’ che l’ Archidiocesi di Ravenna aveva beneficiato con l’elargizione di  terre da lei possedute nell’Esarcato e in   Valmarecchia .

Queste congetture trovano sostegno nelle ricerche del  Centro Studi Malatestiani, fondato  proprio per realizzare una ‘Storia delle signorie dei Malatesti’.
Da aggiungere ci sono anche le preziosissime ‘rivelazioni’ contenute nel manoscritto inedito di Emidio Mariani, sacerdote soglianese vissuto nella seconda metà dell’Ottocento, scoperto e reso noto da mons. Pietro Sambi, anch’egli soglianese,  ora scomparso, ma indirizzate (più o meno) verso queste conclusioni. “ Dalla Penna Billi, –  è sottolineato nel proemio del  manoscritto di Emidio Mariani - le più antiche memorie ( raccolte) vogliono che venissero i Malatesti. Checchè diversamente abbiano scritto altri cronisti, noi siamo in grado di attestare che i primi Malatesti, ovvero tali Malatesta e Gianne, erano due fratelli scesi dalla Penna, il primo a Verucchio, l’altro a Sogliano
I due ‘cattani’ erano ( a loro volta) fratelli e figlio di un Malatesta vissuto negli ultimi decenni del Mille …”.

Comunque andranno ad indirizzarsi le ricerche sulle origini, non ci sembra ( affatto ) frettoloso affermare che la Valmarecchia, per i Malatesti, che qui s’originarono, dovette rappresentare ( in ogni tempo) un qualcosa di ‘diverso’ e di più ‘profondo’  dal sia pur ‘stategico’ e ‘concreto’ possesso di beni e terre.
Un primo indizio in tal senso lo offrono gli studi sulla Marecchiese, arteria principale di Vallata, particolarmente ‘ cara’ al governo riminese. “Lo stato d’abbandono della strada – si legge infatti nella prefazione dello studio sulla viabilità in Valmarecchia ai tempi di Napoleone di   M.A. Bertini e A. Potito ( Editore Ghigi,984) - perdurò sino all’inizio del XIII secolo, quando le opere comunali favorirono le prime opere pubbliche di risanamento territoriale”. Nel testo, è ampiamente sottolineato l’incombere  sulla zona della Comunità riminese la quale, una volta riattivata l’attività portuale, riscoprì anche la strategica importanza della Valmarecchia ( e quindi della Marecchiese) nell’ambito dei suoi più vasti interessi politici  e commerciali. Cronache del tempo  documentano che la strada di vallata  già nel 1228 era interamente posta sotto  controllo riminese; cosa che consentì, tra l’altro, ai commercianti rivieraschi di muoversi liberamente e proficuamente verso i centri dell’entroterra e toscani.

Dopodiché la città di Rimini provvide ( per un secolo ancora) tanto a conservare  la Marecchiese quanto  a rafforzare ulteriormente i traffici mercantili, esentati da imposizioni per favorire l’afflusso alle fiere riminesi dei mercanti degli Stati alleati.  Tipo i Fiorentini, ad esempio, che ottennero da Carlo Malatesta l’utilizzo del corridoio vallivo per il commercio con Venezia e con gli altri porti dell’Adriatico. Altri inediti ( ma eloquenti ) indizi dell’interesse dei Malatesti  verso la Valmarecchia, giungono dall’esame degli obiettivi da loro perseguiti di dominio del territorio a partire dal momento in cui  la famiglia –  XIV secolo – assunse il  effettivo ruolo di guida della Città e dell’Entroterra. Qui l’ esempio più eloquente  lo  ha offerto  Carlo Malatesta.

Infatti sotto Carlo ( 1385/1429) la Valmarecchia più o meno ‘unificata’ e ‘controllata’, divenne parte ‘strategicamente integrante’ della realtà statuale forgiata dai Malatesti  per meglio tutelare e coordinare le relazioni del loro  Stato con quelli delle Signorie italiane ( secondo l’esempio di suo padre Galeotto), ma anche per non dissociare le ‘sorti’ malatestiane dal contesto  generale e competitivo del mercenatismo italiano e del rinnovamento della vita urbana nazionale. Per i Malatesti‘ scesi’ da Ponte Messa, si  vitale era il controllo della ‘parte nord e orientale dello Stato della Chiesa’, indebolita da un contesto di cronica instabilità generalizzata.  Carlo, in particolare, dovette allora ‘guardarsi’ le spalle oltre che dai Montefeltro anche da altre  minacce.
Ad esempio:   “ Lo scisma che paralizzava la Sede Apostolica, ma anche i violenti contrasti per la successione al Regno di Napoli e all’Impero; e inoltre: l’affermazione irresistibile d’un Gian Galeazzo Visconti e il lento polarizzarsi della scena politica italiana su alcuni grandi organismi regionali”. Provvidenziale fu, allora, la conferma di Carlo ( figlio di Galeotto) a rettore della Romagna  da parte di Urbano VI.  Carlo, ricalcando la tradizione familiare, fu soprattutto un guerriero. Nel 1382, tanto per citare qualche sua impresa, non sempre nota,  combattè al fianco dei Veneziani; negli anni Novanta passò invece  al soldo dei Fiorentini mentre, nel 1398, entrò nell’orbita di Gian Galeazzo Visconti.

Equilibrismi, questi,  che non sempre riuscirono come lui avrebbe desiderato; infatti qualche volta finirono col porlo in difficoltà.  Nonostante tutto però il prestigio militaresco suo e della famiglia si mantenne alto. Carlo, quando non si dedicava alla guerra, sepeva anche metter mano ( e  con grande perizia ) alle faccende del suo Stato. Ad esempio riformò l’anacronistica  struttura comunale che ( sotto  il suo attento controllo) fece funzionare egregiamente. Carlo fu per natura un conservatore. Capace però di assicurare  continuità di governo  e di resistere inoltre alle mire espansionistiche dei grandi protagonisti della scena politica italiana del tempo.

Carlo, non mancò mai, per quel che più ci interessa, d’un particolare riguardo verso il territorio limitrofo al capoluogo e ( in particolare) verso la Valmarecchia, intesa allora fin a Borgo San Sepolcro. Del resto i  Malatesti, che fuor di Romagna dovettero essere considerati dai più (  Dante compreso) come ‘gente nuova’ che puntava dritta al successo con in testa principalmente ‘i subiti guadagni’, avevano imparato ben presto il valore delle entrate derivanti ( ad esempio)  dal commercio del sale, intorno al quale ( già prima del 1383) organizzarono un vero proprio monopolio con l’acquisizione, tra l’altro, della città  Cervia.

In breve, quali furono i capisaldi territoriali  su cui poggiò il governo di  Carlo? Facile a dirsi:  Cervese, Cesenate oltre alle città di  Fano Pesaro; con l’aggiunta del ‘corridoio’,  originario, della valle del Marecchia. I lasciti , qui,  sono consistenti. La Valmarecchia infatti è piena di tracce dei Malatesti, tuttora visibili, come documenta Francesco Vittorio Lombardi nella sua dettagliata ricognizione storico-territoriale titolata   ‘ Le torri del Montefeltro e della Massa Trabaria’ ( B.Chigi Editore, Rimini, 1981).
Carlo Malatesta,  guerriero e umanista, si spense il 14 settembre 1429 in Longiano. Neppure un anno dopo la scomparsa,  papa Martino V intimò ( 23 gennaio 1430) ai tre suoi giovani eredi di ‘riconsegnare ( alla Curia)  le terre, concedendo( loro)  solo  il  diritto  di rivalsa’; il tutto, nel ‘chiaro intento di ridurre tutte le signorie a vicariato, in un più ampio quadro di affermazione dei diritti dello Stato della Chiesa’. Si avviò così il crepuscolo dei Malatesti. Per loro, infatti, da questo momento in poi, le cose non saranno più quelle di prima. Tanto che il loro potere andò rapidamente scemando. Con effetti negativi estesi all’intero loro ex dominio. E particolarmente alla Valmarecchia. Che finì smembrata  in tre diversi stati: il tratto mediano tornò ai Montefeltro, il bacino superiore divenne dominio Mediceo, mentre ai signori di Rimini restò (  per qualche tempo) il tratto pianeggiante sino a Verucchio,  tanto che l’importante strada di vallata cominciò da allora ‘ a perdere gran parte delle sue funzioni commerciali, imboccando una fase di declino che proseguì anche sotto il governo pontificio’.

DALLA CARTE AL CUORE. Questo dunque, in estrema sintesi, è quanto si può apprendere sui Malatesti  dalle ‘carte’ degli storici. Quelle stesse ‘carte’ che, come sosteneva Manzoni, non possono ( ovviamente) raccontarci tutto di tutto di personaggi e famiglie. Soprattutto delle loro  cose più intime e riservate. Dai meccanismi  (spesso e volentieri ) mai emergenti. Come accade del resto ( fin dalla notte dei tempi) un po’ per tutti,  grandi e piccoli, gente famosa e gente comune. L’intimità resta intimità.
Per spiegarsi. Molti anni fa, in un tardo pomeriggio estivo, una frotta di bambini prese d’assalto la fontanina che sta nel bel mezzo d’una piazzetta, in centro, a Novafeltria. Un bambino, aggrappato alla cannella, prese a bere avidamente. Si avvicinò a lui un vecchio minatore che dopo la chiusura di Miniera di Perticara era andato per anni a fare il minatore in Belgio, finendo, poi, col tornare a casa  per ragioni di salute. Il vecchio s’avvicinò a quello che stava trangugiando con una esclamazione, in dialetto: “ Bevi, ragazzo, bevi!  Sappi però che chi beve a queste fonti lascia per sempre il cuore da queste parti. E, qui, prima o poi, torna”.

Ma non s’è forse qui detto che anche i Malatesti hanno bevuto a quelle fonti? Allora, perché non lasciare all’immaginazione il compito di svelarci quando ci stiamo chiedendo da secoli? Che c’è di strano ipotizzare un loro ‘palpito’ speciale, intenso, riservato,  magari poco esplorato dagli storici o dai biografi,  per la Valle del Marecchia?
La loro Valle. Vero è che siamo difronte ad una genia capace di recitare per quasi due secoli un ruolo regionale e nazionale di primo piano, ma perché non pensare che anche gli occhi dei grandi, a volte, tornano quelli dei piccoli? Soprattutto quando scorrono sui luoghi che gli fecero – non dimentichiamolo mai –  da incubatrice, culla e casa? Diciamo questo, sia chiaro, in attesa di ulteriori ‘carte’.

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