Non solo sport. Il Diavolo è tornato. La Signora, la Beneamata e il Ciuccio sono preoccupati. Così l’Europa.

LA CRONACA DAL DIVANO. Le truppe del Duca, il duca di Milano, dopo lunga assenza dai campi di battaglia, hanno ritirato fuori i carri, i santi signacoli, gli armigeri pronti per tornare a (ri)mettere in soggezione la pianura padana. A ovest, per (ri)fare il morso ai ( tracotanti) Sabaudi; a sud, per togliere dubbi sui rapporti di forza con gli ( arditi) Pontifici e Borboni; a est per rimettere ordine tra Orobici, Bresciani, Veneti e Furlani, spingendosi fin ai varchi alpini, verso i quali già ai primi d’ estate con l’amichevole ( si fa per dire, aggiudicata per 4-0) contro i nerboruti della Bavaria è stato (ri)badida la novità che il Belpaese ( d’ora in avanti) più sarà terra di conquista. Una rondine non fa primavera. E così anche il primo tempo rossonero nella ospitale ( e appassionata) Crotone. Eppure ci son segni che gli aruspici del pallone sanno ben cogliere. E se una rondine non fa primavera, altrettanto vero è che il buon giorno si vede dal mattino. E il mattino del Diavolo ( sembra) proprio quello delle annate migliori.
E sì che i rampolli di Montella oltre ad oliare i meccanismi, attendono ancora inserimenti importanti come quelli( già acquisiti ) di Biglia e di Kalinic e, altri, in (possibile ) arrivo. Tra l’altro c’è in questa squadra rinnovata dalle fondamenta, una sorta di ‘spina dorsale‘ italiana, che va dal Gigio, al Leo e al Cutrone, che allarga il cuore anche ai colori azzurri. Volendo però dilatare il discorso oltre l’ottima prestazione del Milan, si può aggiungere che il Campionato che si prospetta potrà risultare il frutto, sostanzialmente, di una cinquina di pretendenti, rafforzate rispetto lo scorso anno con l’aggiunta delle Lumdard.
Inoltre, non manca una fascia intermedia che potrà recitare la sua parte. Da rompiballe. Come la Viola, il Toro o la Lazio. Per un torneo tornato di colpo ancora una volta difficile. Tanto difficile. Forse il più difficile che esista sul Pianeta. Forse. Di certo però carico di contenuti, valori e storie, ( come poc’altro) metafora di vita per una Paese dall’identità unica, inimitabile, nuova eppur perenne.
E ORA BANDO ALLE CIANCE: FATECI NUOVI STADI. Sottoscriviamo il testo diffuso a pagine intere da Sky. Per salutare il nuovo inizio del calcio italiano. ” E’ il momento. Sono grato della fiducia che tutti ripongono in me, fiducia che però io non merito, perchè da solo non sono niente. Pronti a dare tutto, ce ne sono tanti come me: dieci, trenta, centomila. E cresceremo ancora. Qualcuno proverà a dividerci, ma si ingannano se pensano di riuscirci. Perchè noi siamo destinati a fare grandi cose“. ( Giuseppre Garibaldi, giorno di Pasqua 1861)
CAMPIONATO SERIE A. I GIORNATA. Juventus-Cagliari 3-1 ( sabato, ore 18), Atalanta-Roma 0-1 ( sabato, ore 18), Verona-Napoli 1-3 ( stadio Bentegodi, sabato 19 agosto, ore 20,45); Bologna-Torino 1-1 ( domenica, ore 20,45), Crotone-Milan 0-3 ( ore 20,45), Inter-Fiorentina 3-1 ( ore 20,45), Lazio-Spal 0-0 ( ore 20,45), Sampdoria-Benevento 2-1 ( ore 20,45), Sassuolo-Genoa 0-0 ( ore 20,45), Udinese-Chievo 1-2 ( domenica, ore 20,45).
PROSSIMO TURNO. II CAMPIONATO. ( sabato 26 agosto) Benevento-Bologna ( ore 18), Genoa-Juventus( ore 18), Roma-Inter( ore 20,45); ( domenica 27) Torino-Sassuolo 8 ore 18) Chievo-Lazio( ore 20,45), Crotone-Verona, Fiorentina-Samp, Milan-Cagliari, Napoli-Atalanta, Spal-Udinese.
STANNO TORNANDO AUTO E MOTO. Stanno per scendere ( di nuovo) in pista auto ( Spa, Belgio, 27 agosto) e moto ( Silverstone , Gb, 27 agosto); stanno per partire ( con speranze zero) anche gli Europei di basket ( settembre); mentre vanno in letargo i ragazzi del nuoto ( dopo i loro bei Mondiali). E’ partita la Vuelta, con Froome, Nubali e Aru favoriti. Sono andati nel cantuccio a vergognarsi quelli dell’atletica ( mai così indecorosa); prosegue ( ovvio) il tormentone del calciomercato ( fino al 31 agosto), mentre le squadre dei maggiori campionati di calcio del Continente da tempo hanno lustrato gli scarpini. In Albione, ad esempio, da ( veri o presunti) primi della classe hanno già sfornato le prime sentenze, tra le altre quelle dedicate al nostro Conte, prima sconfitto e poi vincitore . Il brutto e il bello degli isolani. Tra le inglesi ai preliminari Champions il (pericoloso) Liverpool ( 5 Champions) s’è sbarazzato in trasferta dell’innocuo Offenheim. Altra news extracalcio: Matuidi, 30 anni, centrocampista, è arrivato alla Juve.
Kalinic ( dopo la multa) s’è accasato presso l’amato Milan, che ha lasciato andare Bacca al Villareal. Sarà Buffon il miglior calciatore Uefa 2017? Difficile a dirsi, visto che gli antagonisti sono i soliti pigliatutto ( a prescindere), ovvero Messi e Cr7 ( squalificato in Liga per cinque turni).
Assegnare il premio Uefa a Buffon sarebbe doveroso, anche per segnalare a tutti che in campo non vanno solo due o tre attaccanti. Totti inizia qui la sua carriera da dirigente della Roma. Non sarà facile continuare a vederlo in giacca e cravatta, come fece Buffalo Bill ai tempi del suo Gran Circus in giro per il Mondo, ma gli auguri glieli facciamo tutti. Di cuore.
Sempre la Roma, bypassata la meteora Mahrez, lasciata ai taccagni del Leicester, sta virando su Cuadrado. Difficile. Tante le novità giovani in casa Viola: Cholito, Pezzella e altri. Che poco o nulla hanno potuto a San Siro contro la rinata Beneamata. Kongo, che poco ha fatto (proprio) con la Beneamata, se ne va ( finalmente) al Valencia in cambio di Cancelo. Il sogno per Spalletti resta comunque ( l’inarrivabile) Vidal.
CALCIOMERCATO E NON SOLO. E mentre Neymar ( inascoltato dai più ) continua a giurare ( dopo il lauto incasso) eterno amore alla torre Eiffel , i nostri cercano di fare acquisti appropriati per non farsi trovare impreparati agli appuntamenti di Coppe ( Napoli, Milan ) e Campionato. Bene il Napoli ( 2.-0) al Nizza per la Champions. E così anche il Milan, già liberatosi col minimo sforzo del Mangia e del suo Craiova, che con quel 6-0 tennistico ai bravi ragazzi ragazzi macedoni ha posto una ipoteca per i gironi Uefa che andranno a sorteggiarsi. La Beneamata ( libera da coppe) dopo tante felici amichevoli continua a rinforzarsi. Sta trattenendo Perisic ma non il Kongo, furente, trasferito ( con cambio) al Siviglia. E’ saltato il turco Emre Cam ( e così l’ alternativa Strootman) ma non il brasiliano Dalbert, 23 anni; resta in corsa ( forse) Schick. La Roma del Monchi ha rinunciato alla meteora Mahrez. I suoi 37 mln euro, non sono bastati ai taccagni di Leicester che ne volevano almeno 40, in sterline. Lodevole , a questo punto, mollarli con tanto di baci e abbracci e un bigliettino d’auguri.
L’INNO DI GLORIA. A chi dedicare il canto della vittoria se non al Dovi di Frampulla, che a Zeltwelg ha mandato ‘ a quel paese‘ nientemeno che fenomeno Marquezito? Il Dovi è uno di quegli eroi tanto cari agli dei. Per il loro carattere, certo, mite sì, ma anche da non prendere sotto gamba. Un po’ come è successo al ( falso mansueto ) Enea, piuttosto che al ( bel) fratello Paride, al ( sempre cornuto) re Menelao o all’ ( invincibile ) guerriero Achille. Gli dei, quando vogliono, sanno ripagare. Magari con qualche ritardo sui tempi, ma alla fine tornano sui loro conti e sborsano.
Ed è stato (forse) così che sulla ostica pista tracciata in un angolo verde d’Austria, hanno concesso al Dovi l’impresa capace di meravigliare il mondo ( sportivo). E prima degli altri, il suo avversario. Che lo ha riconosciuto, occhi sbarrati, e per nulla risentito dell’invito speditogli istintivamente a due passi dal traguardo dal suo avversario. Che ora diventa, in mancanza d’altri, visto l’affondare dei due Yamaha, il suo avversario principal. Mica pasta frolla, però.
Come quella ( ghiotta) di cui insegna Pellegrino Artusi, anche lui del bel paese di Frampulla. Tutti ora si chiedono: ce la farà l’ astuto Marc mettere ai bordi del mondiale anche il pio Dovi di Frampulla? Ce la farà? Chissà? All’uopo bisognerebbe sondare il volere degli dei, i quali, fino ad oggi, ( compatti) hanno tenuto Marc sotto la loro ala protettrice.
Tra l’altro agli dei piace anche parteggiare. Cambiar di campo. Giocherellare con gli umani. Basta dargliene l’occasione. Si veda infatti come hanno trattato quei poveracci di Ilion (Troia). E qui sarebbe (davvero) bello poter capire cosa essi intendano fare. Intanto però, da umani, accontentiamoci di ammirare due centauri da tempi mitici. Entusiasmanti, Memorabili. Peccato che tra i due non sia della partita quel magister Tavulliae che come centauro ha scritto (finora) le pagine più entusiasmanti ( ed incredibili) di questo ( asperrimo) sport!
Una nota speciale va fatta per Franco Morbidelli, re della Moto2, in Austria alla sua settima vittoria stagionale davanti al ( più giovane) Marquez e a (volpone) Luthi. Non sarà mai l’erede di Vale visto che di Vale ne può nascere uno soltanto. Sarà però il Morbido, per modo di dire, però, perchè in gara ( e fuori) il ragazzo ha tutta la consistenza del (grande) campione.
MOTO. QUESTIONI IN SOSPESO. CLASSIFICHE MOTO GP: Marquez ( Honda) punti 174, Dovizioso ( Ducati) 158, Vinales ( Yamaha) 150, Rossi ( Yamaha) 141. MOTO2: Morbidelli( Kalex) punti 2o7; Luthi ( Kalex) 181. MOTO3: Mir( Honda) punti 215, Fenati ( Honda) 151; Canet ( Honda) 137. PROSSIMO GP: Silverstone (Gb) 27/8
LA FERRARI CHE VOGLIO. ” Questa è la Ferrari che voglio!” sbotta, con insolito trasporto emotivo, il gran capo di Maranello vestito solo da maglioncini blu. E, in effetti, davanti ai due amiconi Mercedes, l’uno fuor di senno e l’altro che lo scruta allibito, che altro poteva si poteva chiedere di meglio alla prodigiosa ‘rossa’, trionfante in coppia nell’ affollatissimo Gp d’Ungheria ( finalmente ) da tempi andati? Il commento è chiaro. Il risultato pure. Eppure, dopo il Gp d’Inghilterra, a Silverstone, tutto sembrava essersi incanalato a favore delle ‘frecce d’argento’, e del suo principal driver. Tutto, infatti, era pronto a celebrarlo per un altro dei suoi infiniti record ( esempio le 68 pole di Schumi), eppure, questa volta il re nero, ha dovuto chinare il capo davanti ai due ‘ragazzi’ meravigliosi della ‘rossa‘.
Non che Kimi sia contento di far da guardaspalle a Seb , perchè il suo istinto spinge a ben altro, ma questo ha fatto per un interminabile numero di giri consentendo infine, al suo compagno di scuderia, di arrivare primo in porto con un volante scassato o impazzito. Una situazione molto curiosa e che ci ha fatto ricordare il nostro Nivola. Raccontano infatti, ovviamente con il beneficio d’inventario che alimenta le leggende, che in un duello con le ‘frecce d’argento’ trovandosi senza volante lo sostituisse con una chiave inglese. Con gli stessi, risultati di Seb, evidentemente, che al volante di una ‘rossa’ sta riempiendo ( di nuovo) e di folle ( quasi monocolori) i tanti circuiti mondiali. Ora, Seb, alla vigilia della sosta estiva, s’è (ri)riportato a 14 punti sul rivale, che tutto di tutto ha fatto, compreso il ‘sorpasso’ imposto dal muretto a voucher Bottas, per volare a (ri) prendere il rivale.
Che stava domando un volante, e qui sono ancora in molti a non capirla ancora, non d’un auto ma d’un sogno. Che all’Ungaro ha volato alto, dall’inizio alla fine, tra una folla enorme tinta di rosso, pur tra difficoltà ( normalmente) insuperabili, e arrivando al traguardo in coppia, con i suoi due ‘ magnifici’ ragazzi ( pressochè) affiancati. CLASSIFICA MONDIALE F1 PILOTI: Vettel (Ferrari) punti 202, Hamilton ( Mercedes) 188, Bottas ( Mercedes) 169.
CLASSIFICA MONDIALE F1 COSTRUTTORI: Mercedes punti 357, Ferrari 318.
PROSSIME GARE. Belgio (27 agosto, Spa), Italia ( 3 settembre, Monza), Singapore( 17 settembre).
I DUE (TRE) REGISTRI. Nel gran circus dell’auto agonistica ( e in ispecie) della F1 ( se ben si guarda) spadroneggiano due registri. L’uno, tenuto dalla Fia ( e enti e istituzioni collegati), che tien conto della ’quantità’ delle cose che accadono ( titoli, pole, doppiette etc etc); l’altro, invece, che si sofferma soltanto sulla ’qualità‘, o meglio, sul ‘come’ avvengono gli eventi e sul ‘come’ si comportano i suoi interpreti. Nel primo registro, si tratta di una lunga dettagliata sequenza di dati; nel secondo invece di un tourbillon di volti, gesti ed emozioni. Col primo registro ci si informa; col secondo ci si appassiona. All’interno del secondo registro ce n’è poi un altro, un terzo, tenuto quanto un caro album di famiglia da un auto speciale a tutti nota come la ’rossa‘, figlia prediletta di un mitico costruttore padano soprannominato Drake.
Essere ( anche solo ) citati in questo speciale ( terzo) volumetto consente l’ingresso in un pantheon d’eroi senza tempo. I registri, belli o brutti, ovviamente, hanno tutti ragion d’essere, ma se si va a chiedere agli uomini della pista dove si vuol veder ‘scolpito’ il proprio nome, pochi scelgono quello ( ufficiale) della Fia e tanti quello ( privato) della ‘rossa‘. Solo che, come accade per ogni ambizione o desiderio umano, l’inghippo non manca: la fascinosa ‘rossa’ infatti non allarga ( facilmente) il suo cuore a tutti. Anche perchè ama uomini driver dalla tempra speciale. Tant’è che qualcuno, anche di recente, sedotto e abbandonato, è rimasto deluso. Finendo con lo spargere veleni con poco costrutto, visto che anche il solo accenno tra i fogli della ‘rossa’ garantisce ( comunque) ricordo ( ed affetto) indelebile.
Ogni tanto la ‘rossa’ consente di sbirciare tra i suoi appunti. Sorprendente è scoprire allora la lista dei piloti a lei più stretti. Nivola, ad esempio, tanto caro al Drake così come Giles, indimenticabili occhi di bimbo con coraggio da leone; e inoltre Ascari, Alesi, Barri, Massa, Alonso; e (perfino) l’ingrato ( austroungarico) del Niki e ( ovviamente) il campione dei campioni, Schumi, che gli dei invidiosi hanno costretto ad un epilogo amaro. Seb ( Vettel) quadricampione del Mondo, all’Ungaro, ha (forse) scoperto cosa preferire tra i quattro titoli finora vinti e l’ essere trascritti sull’album della ‘rossa’, dopo aver domato per una corsa intera un volante impazzito; e così anche l’uomo di ghiaccio, il finnico Kimi, che ( per ragioni di scuderia) ha preferito rinunciare ad una vittoria ( pressochè) certa pur di generosamente proteggere il compagno in corsa per il titolo dal livore rimontante d’una ‘freccia d’argento‘.Ora, Kimi, sul registro Fia sarà soltanto un nome; su quello della ‘rossa’ invece, figurerà tra i suoi preferiti. In bella vista. Adesso e finchè una ‘rossa‘ continuerà a far sognare esseri umani d’ogni colore ed età in ogni angolo del Pianeta. Che dici ’uomo di ghiaccio‘ : meglio apparire o essere ?
ITALIA, QUESTO DEVI FARE PER RESTARE IN EUROPA. Dice Wolfgang Munchau: ” Se mi chiedessero di indicare quale dovrebbe essere l’obiettivo politico dell’Italia nel grande dibattito sulla governance della zona euro, direi: riformate la zona euro in modo tale da garantire una presenza permanente. Tra i programmi specifici da intraprendere occorre non dimenticare: maggiori investimenti, crescita più robusta, nuova occupazione e maggiore capacità di resistere agli scossoni. Non so se questi risultati siano possibili. So però che se l’Italia abbandonasse abbandonare dibattito e negoziati a Germania e Francia, questi risultati non saranno mai raggiunti”.
In soldoni, l’imberbe Macron cercherà di portare acqua ( come sempre ) dalla sua parte; mentre l’impiegata Merkel punterà ad una proposta congiunta, con unione fiscale alle condizioni tedesche. Praticamente una versione economica-finanziaria stilata dal liquidatore stesso della zona euro, tramite un meccanismo di stabilità rafforzato . Proprio l’esatto contrario di quel che occorre all’Italia.
La quale ( davanti a tale evenienza) farebbe meglio ( oggi come oggi ) opporre il suo veto, lasciando in vigore il sistema attuale, e affidando alla Banca centrale europea il compito di assorbire il debito sovrano tramite vari programmi. Insomma, dovrà impegnarsi, e molto. Inoltre l’Italia, aggiunge Wolfgang Munchau, dovrebbe puntare ad una unione bancaria funzionante, alla fine del fiscal compact e degli obiettivi fiscali specifici, ad una unione fiscale con forte capacità d’investimento e propensione alla stabilizzazione macroeconomica, all’impegno della Banca centrale europea a non far salire lo spread del debito sovrano oltre un certo limite.
Se l’Italia non fa tutto questo che le succede? Eccolo il suo futuro: quello dominato da una Germania avviata verso una ( finora) sconosciuta forma di nuova colonizzazione.
Che è poi il mai dimenticato retaggio del suo eterno reich . Per tutti costoro, l’aria d’Oltralpe spinge a non imparare. Costoro iniziano con la banda, finiscono con la catastrofe. Lo facevano, lo rifanno.
Dopo quanto hanno dovuto passare nel passato, dovrebbero essere loro a chiedere di essere ‘temperati’ da una saggezza politica ed economica ben più antica e collaudata, anche se con qualche problema in corso. Invece che fanno? Se ne vanno, imperterriti, per Gli (inutili) tratturi ( tante volte) dolorosamente usati.
IL SOVRANISMO. Il sovranismo, secondo la Treccani, è una dottrina politica che propugna la difesa o la riconquista della sovranità nazionale da parte di un popolo o di uno Stato, in antitesi alle dinamiche della globalizzazione e in contrapposizione alle politiche sovranazionali di concertazione. Ma chi è affetto da sovranismo ai giorni nostri? Guarda un po’ quelli che ( molto tempo fa ) davano ( sostanzialmente) corpo e sangue al vecchio Impero asburgico.
Con adesione aggiornata di Austria, Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia. Costoro, cristiani e riformati che siano, non vogliono sentire parlare di immigrati. Quelli, per gli ex asburgici, caso mai ce ne fossero, stazionassero pure nei paesi donde approdano. Null’altro. A costoro poco importa infatti veder naufragare giornalmente decine, centinaia, di poveri diavoli, tra cui tanti sguardi increduli di bambini.
Per loro una ‘ nazione incapace di difendere i suoi interessi è meglio che scompaia’. Un concetto, questo, chiaramente sovranista e usato in totale contrapposizione con quello comunitario dell’Europa. Insomma, questi signori, peggio ancora di quelli ( infidi) d’Albione, non riescono pensare ad altro che auto conservarsi, proteggersi, guardarsi ( spensieratamente) all’indietro.
Pensare poi che questo sia il modo migliore di ‘ difendere i propri interessi per non scomparire ‘ è tutto da dimostrare. Anche perchè chi assicura agli ex asburgici che a dover levare le tende dalla storia non debbano essere proprio loro e non altri che la storia, pur con tutte le sue ferite e contraddizioni, le sue porcate e le sue speranze, sanno guardare negli occhi ( intanto) con infinità generosità?
MASNADE MERCENARIE STRANIERE. L’origine dei capitani di ventura è tra i rami cadetti della nobiltà, spazzati via fin dalla nascita nelle rivendicazioni del casato. Alcuni di questi capitani ( o condottieri) arrivarono perfino, fra Tre/Quattrocento, a fondare stati. A certe condizioni resta difficile affermare che i capitani di ventura siano stati la rovina e la maledizione dell’Italia, perchè potrebbe essere vero anche il contrario. Essi si ergono protagonisti di un particolare momento storico, con forza vitale incredibile, grandiosa, al limite del brutale, immagine nuda e cruda del potere militare riflesso sul potere politico. Il capitano di ventura è figura centrale per tre secoli. E in quattro tempi. Da quello dei ‘precursori’ ai primi significativi rappresentanti ( per lo più al seguito delle compagni straniere calate sulla Penisola); dai capitani dell’età aurea ( per lo più italiani, talvolta fondatori di stati) agli epigoni, quando l’Italia ( insipienza sua) concesse ad altri di trasformarla un campo da battaglia e di conquista, fin al ( definitivo) predominio spagnolo. Il ‘fenomeno‘ trovò una sua prima comparsa ( a partire) da fine Duecento /inizi Trecento allorquando numerose ‘ masnade mercenarie straniere‘ presero l’abitudine a calare in Italia, da sole o a seguito di qualche re o imperatore, voglioso di mettere mano sui tanti tesori del paese ( più bello) e ( più ricco) del Mondo.
Si trattava allora di bellatores, ovvero di soldati di mestiere, in gran parte di bassa estrazione, disposti ad aggregarsi per una impresa che portasse loro danaro e bottino. Provenivano dalla Germania o dal Brabante, quest’ultimi chiamati ’ Brabanzoni‘; ma anche dall’ Aragona e dalla Cataluna come gli Almogavari o Almovari, che permisero a Pietro d’Aragona di conquistare nel 1282 il Sud d’Italia.
Michele Amari li descrive così: ” Breve saio a costoro, un berretto di cuoio, una cintura, non camicia, non targa, calzati d’uose e scarponi, lo zaino sulle spalle col cibo, al fianco una spada corta e acuta, alle mani un’asta con largo ferro, e due giavellotti appuntati, che usavan vibrare con la sola destra, e poi nell’asta tutti affidavansi per dare e schermirsi.
I loro capitani chiamavansi con voce arabica ‘adelilli’. Non disciplina soffrivano questi feroci, non avevano stipendi, ma quanto bottino sapessero strappare al nemico, toltone un quinto per re. Indurati a fame, a crudezza di stagione, ad asprezza di luoghi; diversi, al dir degli storici, dalla comune degli uomini, toglieano indosso tanti pani quanti dì proponeansi di scorrerie; del resto mangiavan erbe silvestri, ove altro non trovassero: e senza bagagli, senza impedimenti, avventuravansi due o tre giornate entro terre de’nemici; piombavano di repente, e lesti ritraenvansi; destri e temerari più la notte che il dì; tra balze e boschi più che pianura”.
( I PARTE)
I bellatores, o se si vuole i masnadieri, una volta terminata la spedizione, perlopiù, non se la sentivano di tornare donde erano venuti, anche perchè il Bel Paese era terra troppo ghiotta per mettersi da parte un gruzzolo senza troppo inferire. Restarono, infatti, tutti, seminando lutti e devastazioni, praticamente impuniti. Del resto le rivalità nostre lasciarono campo aperto ad ogni avventuriero.
I nostri capitanei, oggi come ieri, preferivano ( e preferiscono) farsi depredare più che combattere. Ma il ’casino’ diventò tale che qualcuno cominciò a chiedere L’introduzione di una certa disciplina. Pisa, ad esempio, ci provò subito, stendendo un codice apposito per regolare i rapporti con certa gente. Inutilmente, è ovvio. Ma tentò. Si passò allora all’emarginazione, ma anche di questa, quelli, se ne fotterono.
” Che nessuno di detta masnada possa mangiare e bere con alcun cittadino pisano in casa sua o in qualunque altra casa…” recitavano i testi, peraltro impossibili a leggersi da masnade analfabete. I mercenari venuti in Italia nel 1333 al seguito di Giovanni di Boemia restarono quasi tutti nella Penisola; un gruppo si raccolse nel Piacentino, alla badia della Colomba, sotto il nome di ‘ Cavalieri della colomba’, vivendo di rapine, finchè vennero assunti al soldo da Perugia che voleva liberarsi del giogo di Arezzo. Ne compirono, i nostri amici, di tutti colori, eppure grazie a ciò trovano ingaggio presso il comune di Firenze.
Diciamo che in questi frangenti non si tratta ancora di vere proprie compagnie. I loro vessilli non sono bandiere ma banderuole.
I loro ‘capitani‘, usciti dai ranghi feudali e dai milites, costituiscono uno ‘ strato sociale che gira, con scadenze annuali o semestrali, per l’intera Penisola e l’Italia centrale. Al suo interno si differenzia un circuito guelfo o ghibellino. Il mestiere della guerra viene tramandato di padre in figlio’. Guerrieri, dunque, di professione, ma non ancora dei professionisti. Questi, infatti, al momento, sono soltanto i precursori del fenomeno ben più ampio e disastroso che verrà. E che metterà ai margini, senza lacrima alcuna, quello che era stato il più bello, ricco ed evoluto paese della Terra.
( II PARTE)
Le cose si complicarono ulteriormente quando scesero lungo la Penisola ‘ trascinatori nati’ di truppe mercenarie, come il duca Werner von Urslingen o il conte Konrad von Landau. Essi arrivano nel 1339 per unirsi alla massa di venturieri tedeschi che da più di vent’anni, in gruppi isolati, avevano eletto l’Italia come terra di saccheggio e che, guarda un po’, un italiano, Lodrisio Visconti, radunava nella ‘Compagnia di san Giorgio’.
Le masnade poterono così raggrupparsi, trasformarsi in una prima nefasta grande compagnia, travolta però, non molto dopo, dall’accozzaglia più o meno organizzata di un altro capitano italiano, Ettore da Panigo. Werner, in quella, scelse di proseguire da solo, combattendo al soldi di diverse bandiere in Lombardia e Toscana, finchè non andò a riesumare l’idea di Lodrisio, (ri)proponendo la costituzione di una libera compagnia ‘ per guerreggiare i più deboli e i più doviziosi’.Impose anche una disciplina di ferro. Gli ingaggi ai venturieri davano diritto al soldo, che sarebbe dipeso dall’entità dei bottini che la compagnia riusciva a fare. Si costituì dunque la ‘ Grande compagnia’ al comando, ovviamente, di von Urslingen ribattezzato all’uopo duca Guarnieri, parimenti ad altri macellai stranieri. La ‘Grande compagnia’ forte di tremila ‘barbute‘, costituita ognuna di un cavaliere e di un sergente, anche lui a cavallo, trovò ‘ richieste di lavoro‘ a volontà. Toscana e Umbria, in ispecie, vennero intinte nel sangue.
Devastate senza scrupolo proprio da uno che aveva scolpito sulla sua armatura il suo ideale ” Duca Guarnieri, signore della Gran Compagnia, nimico di Dio, di pietà et di misericordia”. Guarnieri si offriva a chi meglio pagava. Dopo avere fatto guerra ai Malatesti di Rimini passò, molto amabilmente, al servizio degli stessi. Conteso e disprezzato dai ‘ datori di lavoro‘, saccheggiò per almeno due anni la Penisola, finchè i ‘datori di lavoro’ decisero di toglierselo di mezzo versandogli, nel 1343, una grossa somma di danaro a titolo di liquidazione. Lui si ritirò in Friuli.
Per quattro anni soltanto, però, perchè già nel 1347 s’era accodato a Luigi I d’Ungheria diretto a Napoli per eliminare Giovanna d’Angiò colpevole d’avere ucciso il marito Andrea, suo fratello. La guerra durò tre anni. Con enorme prodigarsi della ‘Grande Compagnia’. La quale, una volta dipartito il re d’Ungheria, restò sul posto fiancheggiando il voivoda d’Ungheria rimasto in italia. La masnada si (ri)prese un ‘periodo di riflessione’ quando il capo nel 1351 si ritirò nella nativa Svevia, colà morendo tre anni dopo. Perchè, a dirla tutta, l’operato della ‘Grande Compagnia’ non cessò con la morte del duca Guarnieri, proseguendo la sua nefasta attività agli ordini di Fra Moriale, che la guidò ora contro ora a favore del pontefice di turno. A decretare la fine della ’Grande Compagnia‘ furono quelli della ‘Compagnia bianca‘ come Albert Sterz e John Hawkwood, inglese italianizzato col nome di Giovanni Acuto. A quel punto le compagnie create e dirette dai capitani stranieri non si contavano più. Tuttavia, per completare il quadro, occorre non sorvolare sulle compagnie italiane sorte alla stregua delle straniere con truppe e comandanti ( in gran parte) italiani. Famose divennero la ‘Compagnia della stella‘ di Astorre Manfredi e la ‘Compagnia del cappelletto’ di Niccolò da Montefeltro. E comunque, queste, tutte guidate da personaggi d’estrazione nobiliare ma ( sostanzialmente) di ‘mezza tacca‘. Semmai, la compagnia ‘tutta italiana‘ che segnò una svolta epocale fu senz’altro quella formatasi all’indomani dell’eccidio di Cesena. Si faceva chiamare la ’Compagnia di San Giorgio’ di Alberico da Barbiano. Questa, infatti, ottenne la ( clamorosa) santa benedizione di papa Urbano VI. Con benefici enormi. Alberico da Barbiano ( tra l’altro) apre l’epoca d’oro dei capitani di ventura italiani che subentrarono, nei modi e nei tempi più favorevoli, a quelli stranieri. Le masnade nostrane non nascono però a caso come gran parte delle precedenti, visto che è il capitano a scegliere i suoi uomini. Dal primo all’ultimo. Trasformandosi così da ‘ capitano’ a ’condottiero‘.
( PARTE III)
Ora è il reclutamento ‘ in massa‘, tra vecchi camerati; ora ‘ a bandiera’ con uomini da selezionare e istruire. Tutti, comunque, alle sue dipendenze. Il capitano ( come sopra si diceva) si fa condottiero. Le prime condotte regolari risalgono alla seconda metà del Trecento. Firenze fu tra le prime città ad organizzarsi.
Con la creazione di speciali magistrature come quella degli ‘officiali di condotta’ e degli ‘officiali sopra‘, che controllavano ( in particolare) disciplina e armamenti. Si diffusero forme diverse ed articolate di condotta. ( Inizialmente) gran campo presero quelle a ‘ soldo disteso’ ( alla diretta dipendenza d’un signore o di un capitano generale della città); e quelle a ‘ mezzo soldo‘ ( con capitano aggregato ma in posizione sussidiaria, oltre a paga e rischi ridotti). Col tempo i controlli ( e i contratti) saltarono, ovviamente, data la crescente forza d’imposizione dei gruppi armati. Il condottiero era tenuto al rispetto di un periodo di ‘ferma’ e anche ‘ d’aspetto’. Terminato il quale, poteva o rinnovare l’impegno o recederlo. Comunque terminato ’l'aspetto‘ il condottiero poteva andare dove meglio credeva.
Anche passando al campo ( fin a poco prima) nemico. Un particolare tipo di condotta veniva stipulato per i mercenari del mare, si chiamava ‘ contratto d’assento’, cioè d’ingaggio di forze navali nemiche. Genova cominciò a stipulare contratti con mercenari agli inizi del Quattrocento. Così lo Stato pontificio. Venezia invece considererà il contratto ’ d’assenso‘ come un umiliante ( pericoloso) ripiego. Cercò così di evitare mercenari. Ma quanto poteva mettere in tasca un ( buon) condottiero? La risposta ( ovviamente) non è semplice.
Poichè come in tutti i rapporti di forza ( e necessità) a fare il prezzo è chi tiene il coltello per il manico. Inoltre, da considerare era anche il pericolo inflazione a cui andavano soggette le monete del tempo, fiorino o ducato compresi. Micheletto Attendolo, cugino di Muzio, nel 1432, incassava da Firenze mille fiorini al mese. Francesco Gonzaga, nel 1505, sotto contratto con il Giglio, metteva in cassa 33 mila scudi annui per una compagnia di 250 soldati; mentre Francesco Maria della Rovere strappò ( al Giglio) oltre 100 mila scudi annui, ma con soli 200 uomini. In ogni caso, pur fatte anche le debite distinzioni, si trattava di cachet notevoli. Che impoverivano le casse di Signorie e Città.
Inoltre, visto che il pollo si poteva spennare con poca fatica, di ‘condottieri‘ ne nacquero tanti quanto i soliti funghi dopo una intensa pioggia d’autunno. Molti di loro diedero vita a dinastie. Anche durature. Visto che, prima o poi, riuscivano ad imporre la forza delle loro armi contro gli improvvidi che li chiamavano ( si fa per dire) al loro servizio. Costoro, poi, quasi tutti venuti dalla gavetta, autentici parvenu, una volta diventati gli unici padroni della situazione, iniziarono bene ad alimentare aloni leggendari. Da ( autentica) grandeur medievale, sulle gesta degli antichi cavalieri o dei più valenti uomini d’arme.
Qualcuno si ripulì la fedina, grazie anche a ( lodevoli) intenti mecenatistici. Ci fu anche chi azzardò atteggiarsi ad umanista, pur restando ( per lo più) ignorante o semianalfabeta. I meglio posizionati non resistettero (perfino) al sogno dell’immortalità. Cosa non difficile a farsi declamare. Visto che nelle loro ( sempre più ricche) case gli adulatori si sprecavano. Nella celebre ‘ Vita Scipionis Jacopo Piccininis’ il nostro condottiero viene paragonato ( addirittura) al vincitore di Zama. Roba da non credere. Ma tanto accadde. In altre epoche. E così via.
( PARTE IV)
La pace di Lodi del 1454, consolidando un temporaneo equilibrio strategico-politico, mette in crisi i capitani di ventura. Chi era arrivato al vertice, resta, ma chi aspirava deve rinunciarci. Sono le invasioni estere a far saltare il banco.
Dall’Alpi alla Sicilia. E’ l’inizio della decadenza del paese più importante al Mondo. I sovrani stranieri non s’appoggiano più alle milizie locali, ma reclutano armate in proprio. Capaci di sferrare, al contrario delle altre sul mercato, attacchi micidiali, con armi micidiali. Le artiglierie formano il cuore delle armate di Carlo VIII, Luigi XII , Francesci i, Massimiliano I e Carlo V. Giungono sui campi le colubrine ( sessanta colpi al giorno) con tiro fin oltre due chilometri. E anche il falcone. E poi l’archibugio. Contro queste armi anche la corazza oiù robusto poco oppone. I venturieri italiani devono (ri) cedere il passo ai mercenari stranieri.
Come i brutali Lanzichencchi. Altro non resta, ai nostri, che arruolarsi con gli eserciti stranieri. Diventando, spesso, famosi. I loro nomi si ripetono ancora. Ma è vana gloria. Gli ultimi capitani di ventura arrivati (in precedenza ) ai vertici del potere si consumeranno mortalmente in rivalità comunali e familiari. Orsini, Colonna, Baglioni, Borgia e Della Rovere finiranno così per trovarsi su fronti contrapposti in fratricidi combattimenti. Il sangue del Belpaese colerà (ancora) a fiumi. Senza colpevoli, ma solo vittime. San Quintino di Lepanto è qui una fiammella di speranza, breve, ma già parte d’un altra storia.
TIRIAMO LE SOMME. Dalla veloce ricognizione storica si evince quanto segue. Mercenario è chi presta la propria opera per danaro. Non sempre un mercenario è anche un professionista. La specializzazione, semmai, arriva col tempo, quando caduti tutti i valori e i sacri paramenti altro non resta che aggrapparsi al danaro. Subito, tanto, non importa se maleodorante o meno. Ovviamente c’è professionista e professionista. Del resto gli umani da sempre non sono tutti eguali. E tuttavia la stragrande maggioranza dei prestatori d’opera professionali prediligono i danari ad altro.
Questo è certo. Ieri, oggi. Di mercenari, professionali o meno, ce n’erano e ce ne saranno sempre. Anche laddove non sembra. Visto che sono abilissimi a rigenerarsi sotto mentite spoglie, ovvio. Ad esempio, lo sportivo professionista che un giorno si batte la mano su una maglia e qualche ora dopo su un’altra, chi altri è? Un professionista, solo mercenario o altro? L’argomento è invitante. Attuale. Ne riparleremo.
I PIU’ CELEBRI CAPITANI DI VENTURA. I nomi ( italiani o italianizzati) di alcuni capitani di ventura sono rimasti scolpiti. Da quelli anticipatori come Ruggiero da Flor ( 1268 ca/1305), Uguccione della Faggiola( 1240/1319), Castruccio Castracani ( 1281/1328) Cangrande della Scala( 1291/1329); a quelli dei primi, veri, grandi capitani di ventura, come Lodrisio Visconti( 1280/1364), Malatesta Guastafamiglia ( 1299/1372), Galeotto Malatesta ( 1305/1385). Tra i ‘ big’ di Tre/Quattrocento questi hanno acquisito fama duratura: Pandolfo Malatesta( 1369/1427), Muzio Attendolo Sforza( 1369/1424), Gattamelata ( 1370/1443), Francesco Sforza( 1401/1466), Federico II da Montefeltro ( 1422/1482).