Valmarecchia. Non fu ‘ gentile’ come il Passatore. E’ morì a 37 anni, in circostanze non ancora chiarite.

Valmarecchia. Non fu ‘ gentile’  come il Passatore. E’ morì a 37 anni, in circostanze non ancora chiarite.
Perticara miniera

VALMARECCHIA. (  personaggi della Valmarecchia) Secondo una versione molto popolare furono otto suoi ‘camerati’ a ‘farlo fuori’, in una umida e buia notte tra il 18 e il 19 novembre 1872, sulla strada sterrata che dalla Serra di Tornano conduceva a Pedimonte e, di qui, abbastanza rapidamente, alla Perticara.
Il fuorilegge Martino non morì subito, anzi, pur ferito gravemente in più parti, ebbe tempo e modo di ‘accogliere’ con una smorfia di dolore mista a sarcasmo  i carabinieri che, avvisati da ignoti, lo raccolsero morente sul ciglio della strada alle prime luci dell’alba per trasportarlo, in rigoroso incognito onde evitare la Perticaradove non erano da escludere situazioni difficili’, dapprima alla Serra Masini e, poi, una volta spirato, presso il ponte delle Avellane verso il Bornotto, precisamente nella chiesa della Perticara. Cosìcchè lui, Martino Manzi detto ‘Martignon’, di anni 37,  assassino e latitante, dopo gli accertamenti di legge potè essere seppellito ‘ in un angolo ( esterno, mai individuato) del vecchio cimitero, nei pressi dell’edificio sacro’.
Anticipare la versione più diffusa sulla sua morte in questo modo, ridimensiona forse l’idea di cosa abbia realmente rappresentato nella vallata, ai suoi tempi,  un personaggio come ‘Martignon’. Una ‘leggenda’ negativa certo,  anzi ‘feroce’, perché insanguinò per anni le contrade altrimenti pacifiche e laboriose dell’Alto Montefeltro; ma anche uno di quei  clamorosi e complessi ‘fenomeni’ criminali e sociali per molti aspetti  tuttora da decifrare e da comprendere soprattutto, qui, in questi luoghi, abitati da gente tradizionalmente non dedita alla pratica violenta e criminale.
Francesco Sapori, morto a Mercatino nel 1914, autore tra gli altri dei romanzi ‘La casa dei nonni’ e ‘L’aquilone’, fu il ‘primo scrittore che ebbe Perticara’, come riconobbe  Amedeo Varotti in ‘ Perticara attraverso i soprannomi’ ( Bruno Ghigi Editore, 1983).

Non a caso è di Sapori  la prima descrizione del ‘terribile’ bandito  di Casalecchio: “Il suo solo nome – sottolinea il biografo – terrorizzò per anni il Montefeltro. Martino era alto, quadrato come un granatiere di Sardegna. Portava ( abitualmente) un cappellaccio conico, stretto pel capo, che ( perché violento ) gli premeva alla sgherra o di sbieco, sulla fronte bianca. Aveva inoltre baffi pieni, a forma di fuso; che s’assommavano ad una fitta barba, corta e scura”.

La ‘leggenda’ di ‘Martignon’  nasce e cresce all’indomani dell’Unità d’Italia. Eventuali accostamenti al pascoliano Passatore, però, sono abbastanza fuor di luogo. Perché ‘Martignon’ non ha mai mostrato  animo gentile e generoso; né mai si battè contro nessun Stato oppressore e neppure  mai si schierò dalla parte dei poveri e dei diseredati. Anzi, come testimonia Varotti nella sua ricognizione storico-biografica “ fu lui stesso a costringere ( con minacce) i dirigenti della Miniera ad assumerlo  come sorvegliante alla Marazzana, per la ‘buga’ o la ‘galleria’, ( per cui) tutti lo temevano ( e molti lo odiavano), ( perché violento )  costretti com’erano a subire le sue ( continue ed impunite ) angherie”.

I suoi anni – continuando così a ‘sverniciare’ senza riguardo taluni aspetti della  sua leggenda – segnarono un ventennio senza precedenti  di morte e di terrore. Basta scorrere la sua biografia. ‘Martignon’ nacque il 13 febbraio 1836 a Casalecchio di Sopra. Lo appellavano con il soprannome, perché fu di mole grossa e robusta fin da bambino. Aveva due fratelli e quattro sorelle. Più o meno della stessa risma, dicevano, soprattutto  per quel che riguardava i fratelli i quali, nel 1872, a San Donato di Sant’Agata, lo spalleggiarono in prima linea nell’efferato assassinio di tre carabinieri.

Un crimine, quest’ultimo, reso possibile da particolari circostanze e da numerosi accoliti. Che non dovettero essere né occasionali nè scarsamente influenti sul territorio. Mentre, con tutta probabilità, non mancò  in alto loco chi lo protesse fino al limite del possibile. Illazioni? Sospetti? Certo è invece che,  per paura o per opportunismo, la gente comune ‘taceva, ignorava o fingeva di ignorare’ ogni sua ‘bravata’. Anche la più crudele ed esecrabile.

Di lui, fin da giovane, tramandarono  ‘aneddoti’ difficili da elencare, selezionare e assemblare. E tuttavia  molto  significativi  per accendere qualche barlume di nuova luce in particolare sul versante più strettamente privato.
‘Martignon’ sposò Lucia Amadori, anch’essa di Perticara; i due si accasarono a Tornano ed ebbero otto figli ( praticamente anonimi), due maschi e sei ( detestate e maltrattate) femmine. E’ documentato che nel 1859 il Manzi s’arruolò per partecipare alla II Guerra per l’Indipendenza d’Italia unitamente ad un manipolo di concittadini; quella fu però una breve avventura  perché, poco dopo avere indossato la divisa, accusato d’un omicidio mai ben precisato, finì in prigione. E da quella volta, di questioni sociali, politiche o patriottiche, mostrò di non volerne più sapere.
‘Martignon’ mai trascurò, invece, in divisa o no che fosse, per interesse personale o per qualche altra riposta ragione, quanto gli era più congeniale. Ovvero l’uso premeditato e sistematico della prevaricazione. Racconta Tencajoli nel libro ‘Il Crocefisso di Talamello’ che, una tarda sera d’estate,  il proprietario d’un isolato casolare mentre prendeva il fresco vide avanzare “un’ombra indistinta di persona a cui intimò il chi va là”. Si sentì rispondere: ” Martignon!”. Al che, il poveretto, fece buon viso a cattiva sorte. ‘Martignon’ entrò in casa, armato com’era, e volle mangiare e bere; si fece consegnare il denaro che l’altro custodiva nel magro portafoglio e, minacciandolo di morte, pretese anche la violazione del letto coniugale.
Il tutto senza conseguenze. Ma c’è dell’altro. All’alba del 15 agosto del 1859 un certo Giacinto Masi di Pietro, celibe, di appena vent’anni, venne trovato cadavere all’altezza del mulino della Marazzana colpito da undici coltellate. Anche qui sull’autore del delitto si fecero diverse ipotesi. Tutte riconducibili, per una ragione o per l’altra, ad una sola persona .

“ E infatti – sottolinea Amedeo Varotti -   caratteristiche di luogo, tempo e modalità  furono tali da nutrire poche alternative circa la paternità di quell’efferato delitto”.
Le ‘leggende’, anche quelle ‘nere’,  quando affiorano in determinati contesti storici e sociali finiscono con il partorire  più d’una versione. Nulla di strano. Capita in ogni angolo di Mondo. Sull’ uscita di scena di ‘Martignon’, ad esempio, di racconti ne circolarono più d’uno.
Uno (almeno) risultò assai diverso da quello in esordio anticipato, anche se restò solo orale e dunque tutto da verificare. Questa versione la si ascoltava in una casa con tettoia e officina da fabbro e maniscalco situata nel‘Gioco’, a due passi dal centro storico di Mercatino. La tramandava ai suoi nipoti nonno Eolo, fabbro e maniscalco, al fuoco del caminetto nei periodi di ferma invernale. Eolo era il figlio minore del ‘brigadiere’ Pietro Giovanni  della V Legione del Corpo dei carabinieri reali trasferito  negli anni postunitari dal Piemonte in Valmarecchia. L’uomo era  stato decorato di medaglia d’argento al valor militare dal Ministero della Guerra sabaudo per ‘ il valore ed il coraggio di cui diede prova’ durante una fase cruenta della battaglia combattuta nel settembre 1860, a Castelfidardo, tra piemontesi e pontifici. A lui venne assegnato l’incarico  di operare  in Valmarecchia negli anni in cui il famigerato ‘Martignon’ spadroneggiava da un capo all’altro della Vallata.
Pietro Giovanni, congedato nel dicembre del 1867 e divenuto in seguito guardia municipale a Talamello, non si sa bene come e a quale titolo, riuscisse ad infiltrarsi all’interno della ‘variegata combriccola’ formatasi attorno a Martignon, prendendo utili informazioni e agevolando (con grande rischio personale) il tradimento dei compagni ormai stanchi dell’incomoda  presenza del pluriricercato di Casalecchio di Sopra. La fine di ‘Martignon’ raccontata da nonno Eolo risultava, però, un po’più cruenta e anche un po’ più legalista  della versione anzi citata.

Il bandito, infatti, colpito più volte dai carabinieri ( e non dai suoi) si oppose all’assalto per una notte intera, ‘otturandosi ogni volta i fori prodotti sul suo corpo dalle schioppettate dei militari con della stoppa subito impregnata di sangue’. Poi, il resto, torna a combaciare. Ad unificare le storie. Infatti anche secondo quest’altro racconto il corpo fu fatto sparire. Era il 19 novembre 1872. Nessuno mai lo rintracciò. Inspiegabilmente. Alimentando  le tante storie diffuse sulla sua sorte; storie vere, quasi vere o addirittura  (solo)  immaginate.

E rimaste tuttavia intatte. Come fantasmi di Martino detto ‘Martignon’ vaganti nella Valle. Perché, si sa, che le ‘leggende’ quando sono ‘leggende’ anche dolorosamente tristi o efferate, non muoiono mai del tutto; anzi, divergendo tra loro, si alimentano e si stimolano a vicenda, radicando ogni volta di più. Senza scolorire nel tempo.

 

 

                                                                          Roberto Vannoni

 

 

Nella foto, minatori all’interno della miniera di zolfo.

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