Non solo calcio. La Signora passa al San Paolo. Vola la Roma, ma che sta nascendo a San Siro?

Non solo calcio. La Signora passa al San Paolo. Vola la Roma, ma che sta nascendo a San Siro?
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LA CRONACA DAL DIVANO. La novità, si fa per dire, è l’ex Ambrosiana-Inter tornata in vetta al Campionato. A dir il vero c’era stata anche di recente, un paio di anni fa sotto l’egida Mancini, ma poi s’era disfatta nel girone di ritorno finendo precipitosamente nel limbo dei normali. L’impressione però, questa volta, è che la squadra dell’ex Moratti si sia dotata di una consistenza insolita, tanto nell’organigramma quanto nel gioco, tale da far (ri)balenare alla mente quelle strepitose Beneamate che hanno scritto pagine di storia universale.  Sarà così? Ai posteri l’ardua sentenza, che non è manco lontana : sabato 9 dicembre, infatti, e in casa della Signora.

Tornata a far la voce grossa nientemeno che a Napoli, al San Paolo (ri)affollato e  (ri)carico di passioni, ma ancora una volta costretto a ridimensionare ( temporaneamente) i suoi sogni. La Signora infatti è passata, con un sol gol, dell’ex  Pipita, ma è passata. Nel frattempo va consumandosi il dramma del Diavolo, (ri)affidato ad un suo fido, ma ancora una volta fragile, giù di gamba, generoso al punto da consentire al caparbio Benevento di segnare ( finalmente) due gol e di portarsi a casa il suo primo, storico, punticino, in un campionato di Serie A. Per il Diavolo anche l’Europa, l’amata casa Europa, è ( al momento) terribilmente lontana.
A questo punto ( 15a giornata)  la classifica vede in lizza per il posto Champions ( e quindi per lo Scudetto): Inter (sola  in vetta, con 39 punti), Napoli ( 38 punti),  Juve ( 37 punti) e Roma ( 34 punti, una partita in meno).

La grande notizia è il ritorno alle corse dell’Alfa. La leggendaria Alfa. Mentre l’uomo dal maglioncino blu continua a mandare segnali  che i dirigenti Fca farebbero bene a non sottovalutare: ” Se si continua ad emanare regole a vanvera, la Ferrari valuterà se restare o se andarsene dalla F1″. Minaccia non solo seria, ma terribile: volete mettere una F1 senza la ‘ rossa’? Intanto, però, con l’ingresso di Alfa, l’uomo dal maglionicino blu s’è rafforzato. Di tanto. Nell’attesa d’un ( incredibile) ritrovato derby tra ‘rosse’.
S’è desta la nazionale di basket che, inaspettatamente, ha messo sotto la Croazia in Croazia. Ora guida il suo girone di qualificazione mondiale. E’ arrivata anche la presentazione del Giro, che partirà da Gerusalemme. Sicuri Froome ed Aru, probabili ( oltre all’innamorato) Dumoulin anche Nibali .
L’anglo, infatti, s’è ricordato che per passare alla storia del ciclismo non bastano le vittorie al Tour. I più grandi, quelli che hanno inciso il loro nome sulle più alte vette del ciclismo, sono passati dalla ineguagliabile corsa rosa. Dura, spettacolare, selettiva più della gara transalpina, che dalla sua ha sempre avuto il vantaggio  di qualcuno che ha  saputo venderla. Bene e meglio della corsa rosa.

L’ultima nota non possiamo che riservarla al buon Lewis ( Hamilton), re novello della F1. Nell’ultima sceneggiata in Abu Dhabi ha concesso la palma della vittoria al fido scudiero Bottas, e si è permesso di disquisire amabilmente  sui suoi valorosi avversari in livrea rossa. ‘ Bravo Vettel !- ha detto-. Peccato solo che non abbia avuto una macchina adeguata’.  Giusto. Visto che quella macchina, guarda caso proprio nel top della stagione, complice il  misterioso Oriente, hanno pensato bene di sfasciarla, prima lui ( tamponamento doc) poi il suo voucher Bottas ( anche con Kimi)  e quindi il tulipano killer, autore  di uno dei più mirabolanti ‘ colpi da biliardo’ mai esperimentati in pista.
Se ben si ricorda, infatti, in quell’ incredibile occasione, l’imberbe ( autorizzato non si sa da chi  a star col piede sull’acceleratore  sempre e comunque), ha eliminato in un sol ‘botto’  le due ‘rosse’, ancora in gara, eccome, per contendere il titolo al ( generoso) re novello della F1. Recriminare non serve, certo,  ricordare sì. Eppoi, per noi, da bravi fans della ‘rossa’, dal 1950 esistono due titoli: l’uno l’assegna la Fca, e vale per gli almanacchi; l’altro, invece, lo  distribuisce la nostra ’rossa’ e vale per quelli che nel mondo delle auto da corsa vogliono lasciare ( o hanno lasciato ) un segno profondo.
Ad esempio, è vero che Jean Alesi ha forse commesso un errore abbinarsi al tempo suo ad una ‘rossa’ non vincente, ma è anche altrettanto assodato che il suo nome resta tuttora depositato nel profondo  dell’infinito cuore della ‘rossa’. A questo punto dire se valeva la pensa pensare di più agli almanacchi o all’avere guidato una ‘rossa’, è fatto improbo. Anche perchè quelli della ‘rossa’  non sono quattro gatti, ma  milioni e milioni,  sparsi in ogni angolo della Terra.

 

NAZIONALE: IL FONDO DEL FONDO? Tanto piovve che arrivò il diluvio. Annunciato.  Da segni diversi e inequivocabili. La squadra azzurra versione Tavecchio-Ventura non è mai andata al di là dell’ordinario, e anche quando ha riportato successi lo ha fatto sempre convincendo poco o nulla. Non ha mai acquisto un’anima, non s’è mai dotata di un gioco all’altezza del suo blasone.
Il selezionatore, poi, ci ha messo tanto del suo, al punto che nell’ultimo appuntamento, quello davanti alla magnifica San Siro, l’unico vero confuso era proprio lui. Con le sue mani tristemente in tasca e  il suo agitarsi più da tifoso qualsiasi che fa condottiero d’una squadra quadristellata. E così, dopo sessant’anni, non ci iscriveremo al Mondiale. Una tragedia? Solo per noi o per l’intero calcio globalizzato?

Chissà se il presidente Fifa Infantino, calabrese jus sanguinis, svizzero jus soli, avrà pensato mai che  razza di  Mondiale potrà essere il ‘suo‘, senza l‘Italia? Sì, senza  quella maglia azzurra stipata di medaglie quanto quelle dei generali dell’Armata Rossa? In fondo è bello immaginare che altro potrà essere un  Mondiale di calcio senza Italia:  una Liga senza Real o Barca? Un torneo mondiale di rugby  ( Angli a parte)  senza una tra Nuova Zelanda, Sud Africa e Australia? Un circus di F1 senza  Ferrari o Mercedes?  Etc.
E tuttavia un precedente ( a nostra consolazione)  c’è. Eleggiamo ( paradossalmente) il campione per poi sfidarlo, come facevano molto tempo fa gli Angli, ad un  confronto diretto.  Spocchia esente. Ma chiarificatore.

 

RIFORMA DEL CALCIO. Mezza serie A, quella riformista, sta serrando le fila. L’obiettivo è evitare il commissariamento, ma per farlo correrà procedere ( piuttosto velocemente) a rinnovare gli organi di Lega. Si fanno alcuni nomi, inediti. Un’accoppiata presidente-amministratore delegato darebbe forma ad una nuova governance, d’impronta manageriale, da completare con i consiglieri federali ( Marotta in pole) e i consiglieri di Lega.
In primis andrà ritoccato quel ( ridicolo) 12% della serie A contro il 34 dei dilettanti. Eppoi, bisognerà, alzare lo sguardo e guadare lontano. La Premier League, così come la conosciamo dal 1992,  si separò a suo tempo dal campionato organizzato dalla Federazione e fondò un torneo tutto suo. Con grandi risultati economici. A partire dal reso dei contratti tivù, sopratutto sulle piazze estere, con ricavi odierni da far rabbrividire. Insomma, ora, la Premier League è una società per azioni privata, straricca, e legata da un contratto di servizio alla Football Association.

Riusciremo a fare altrettanto? Difficile a dirsi. E a farsi. In un Paese in preda alla demagogia e alla incompetenza.  Certo è che quella miseria di ricavi nella vendita del nostro calcio all’estero ( qualcosa come 180 mln ca nostrano contro un miliardo e passa degli Angli) va assolutamente fatta sparire. Il nostro negletto calcio ha bisogno di danari se non altro per dotare le squadre delle città maggiori (e minori ) di impianti ( leggi stadi e non soltanto) e vivai all’altezza del presente-futuro; danaro che è possibilissimo ricavare.
Visto che, nonostante gli esterofili e i menagrami ad oltranza, produciamo ‘ un prodotto‘ assolutamente unico, all’altezza altrui,  ben carico di storie e di interessi  variegati. Il tutto senza manco aspettare le calende greche.

IL TURNO DI COPPA. Così non va. La Signora deve decidersi una volta per tutte se vuol salire al rango che le compete oppure se vuol confondersi nella mediocrità.  L’Europa, quella corridora, quella dello stoccafisso,
quella che ci frega l’ Agenzia del farmaco, non ama i perditempo. Gli incerti. I pollastri. Per Lei o  si si frega o ci si fa fregare.
Basti chiedere al nostro Valentino, oppure a quelli della ‘rossa’, o ai milanesi che tutto avevano per diventare autorevole  sede europea Ema ma che, alla prova dei fatti,  grazie all’espediente monetina,  sono stati privati d’un merito palese. I don Rodrigo d’Ispagna, i  todeschi d’Oltralpe e  i tulipani delle terre basse, prima pensano per sè e poi per gli altri. Destiamoci, dunque, prima che ci portino via tutto, anche le mutande, per abbandonarci  poi sotto il nostro caldo sole mediterraneo  come mamma ci ha fatti. Destiamoci.  Guardate Sarri. Dopo gli encomi sperticati dei catalani, che stringe ora in pugno? Una qualificazione possibile diventata impossibile. O quasi.
E così mentre il ‘guardiolismo’ s’aggira come spettro per l’Europa, il ’sarrismo‘ è stato ricondotto alla sua dimensione domestica. Tenera.  Innocua.  Che lascia il tempo che trova. Ammonisce il proverbio: di se e ma son piene le fosse.

 

LE NOSTRE TRE TRE. In Champion tutto rinviato, in Europa League invece tutte promosse. Le nostre tre-tre  E’ il solito luce ed ombre del calcio nostrano, non più aitante ma  peregrino per l’Europa corridora e ricca, senza più le granitiche certezze d’un tempo. Dinone Zoff, ad esempio, dice che l’aver troppo sbirciato nell‘Altrove, e in particolare sui piccoletti del tiqui taca, ci ha snaturato. Privandoci di difese e di difensori.
Un tempo leggendari.Scordando che, mancando di personale di valore, dobbiamo arrabattarci qua e là, senza costrutto. E’ sparito pure l’antico valore, quello che nelle circostanze improbe ci vedeva balzare fuori dalle buie  tombe e salire determinati  verso l’ azzurro empireo del calcio. Volatilizzato, insieme all’Araba Fenice.
La stessa  maxima rappresentante, nostra Signora di Torino, in Champions  balbetta discorsi sconnessi, senza mostrare quella continuità di attributi che dovrebbe collocarla stabilmente tra le top del Vecchio continente calcistico. Gli è venuto a meno il Pipita, non emerge il Dybala, invecchia inesorabilmente  il mitico muro.
Altra nota negativa tra capo e collo ci è piombata addosso  dalla Roma, che per una volta ancora non ha perso l’occasione sempre in Coppa di liberarsi degli atavici complessi d’inferiorità.
Un segnale positivo ce l’ha inviato invece il Napoli, il bel Napoli di Sarri, che però, lui come le nostre altre auguste rappresentati, sembra star sul pezzo una volta ogni tanto. E questa volta, in ispecie, forse, purtroppo, assai in ritardo.

Sono invece andate in Europa League oltre previsione MilanDea e Lazio. La Dea, addirittura, è andata ad impartire ( una volta tanto) lezione di calcio anche in Albione. Convincente, inoltre, ha volato l’aquila biancoazzurra. Mentre per il Diavolo, restano in sospeso i soliti ultimi inquietanti discorsi. Con l’Austria Vienna  ( 5-1) ha avuto vita facile, collocandosi in vetta al suo girone, ma primeggia solo con i viennesi o anche con altri? Intanto le voci extra campo volano oscure e minacciose. I tanti dubbi sulla nueva proprietà cinese ( regia Fassone) non convincono i più. Che ci sia dietro all’oscuro passaggio rossonero, forse, forse, manco più Berlusca, il demiurgo Berlusca,  può spiegarcelo.

INCONTRI DI  CHAMPIONS. Gruppo c: Chelsea-Atletico, Roma-Qarabag; Gruppo D: Barca-Sporting, Olympiacos-Juve; Gruppo F: Feyenoord-Napoli, Shanktar- Manchester City.
CLASSIFICA UEFA LEAGUE. Gruppo D: Milan ( prima del girone) , punti 11; Gruppo E: Atalanta 10 punti; Gruppo K: Lazio( prima dl girone) punti 13 : tutte e tre qualificate.

Sono già qualificate al turno successivo le tre della League, attendono d’esserlo quelle di Champion. Passassero in sei per il ranking Uefa sarebbe un gran colpo.

CAMPIONATO DI CALCIO. 
 TURNO 14a GIORNATA. ( sabato 25) Bologna-Samp 3-2 ( ore 15), Chievo-Spal 2-1(ore 18), Sassuolo-Verona( ore 18), Cagliari-Inter o-2 (ore 20,45); ( domenica 26) Genoa-Roma 1-1( ore 15), Milan-Torino 0-0, Udinese-Napoli o-1, Lazio-Fiorentina 1-1 (ore 18), Juve-Crotone 3-0 ( ore 20,45); (lunedì 27) ( ore 20,45) Atalanta-Benevento 1-0.

TURNO 15a GIORNATA. ROMA-SPAL 3-1, Napoli-Juve 0-1, Toro-Atalanta 1-1, Benevento-Milan 2-2, Inter-Chievo 5-0, Samp-Lazio 1-1.
CLASSIFICA 14a GIORNATA ( incompleta): Inter punti 39, Napoli 38, Juve 37, Roma 34 ( una partita in meno), Lazio 29 ( una partita in meno), Samp 26, Milan 21.
MARCATORI 15a GIORNATA ( provvisoria) . 15 reti Immobile ( Lazio), 14 reti Icardi ( Inter), 12 Dybala (Juve)

ALTRI ARGOMENTI

PENSIONI E MOBILITAZIONE CGIL. La lunga vita crea problemi. Al Governo, in particolare. Che è costretto a incontrare i sindacati un giorno sì ed uno no. Nell’ultimo incontro la Cgil  è uscita minacciando mobilitazioni perchè vorrebbe che il premier Gentiloni e il ministro dell’Economia Padoan tirassero fuori dalla borsa pubblica altri danari. Tutto qui? Ma che vuole in realtà la Cgil?
Vediamolo in breve. Intanto, che si metta mano al sistema pensionistico in modo da garantire un assegno anche a quelli che oggi hanno trent’anni. Poi chiede di estendere ad altre categorie, oltre alle quindici fissate dal Governo, la possibilità di deroga ai 67 anni.
La Camusso ha commentato : ” Sono 50 mila le persone che  per vecchiaia vanno in pensione ogni anno. Il Governo dice che si parla del 10% e quindi di 5 mila persone. In più, la questione riguarderebbe soltanto chi ha 30 anni di contributi, restringendo ulteriormente il campo. Per noi i numeri non sono quelli dichiarati, al punto che chiediamo di non ignorare ulteriormente il tema pensioni di anzianità.Il Governo dichiari dunque i suoi veri obiettivi e poi ne riparleremo”.

Le proposte Gentiloni-Madia non hanno creato ripensamenti nella Cgil. Che no solo non concorda ma rincara: ” Il Governo ha perso un’occasione di dare risposte ai giovani e alle lavoratrici che hanno discontinuità contributiva. Il premierci ha spiegato più volte che non intende modificare il perimetro delle proposte fatte e che il prossimo incontro servirò solo a fare chiarimenti.
Aggiungendo così un’altra incertezza. Perciò la valutazione di grande insufficienza che avevamo manifestato viene confermata. Ricorreremo dunque alla mobilitazione generale”.

REALISMO EUROPEO. La ‘rosea’ ha resa pubblica una ricerca condotta dalla Swg ( società certificata dal 1999) sui ‘sogni’ dei tifosi, sognatori per definizione ma che all’occorrenza hanno imparato  anche  di stare coi piedi per terra, valutando le diverse situazioni possibili col necessario realismo.
Ebbene, che indica la ricerca frutto di interviste realizzate ( ball’interno di un campione di 1000 soggetti maggiorenni residenti in Italia) tra il 24 e 25 ottobre scorsi?
Swg ha preso come punto di riferimento il Real, ultimo campione d’Europa. E ha chiesto ai tifosi ‘ di misurare proporzionalmente il livello di tutte le altre squadre’. Il punteggio maggiore ( 81%) è andato al Barca, considerato ( in genere) alla pari se non superiore ( 26%) al Real. Dopodichè viene collocato il Psg,  la spendacciona  squadra di stato del Qatar parcheggiata in Europa,  a Parigi. La Juventus , prima delle italiche, rientra nelle top 10, con un 44% che la colloca ( almeno) allo stesso livello del Real. A seguire vengono il Napoli ( bastonato dal City, con sette gol in rete nei due incontri del girone) e la Roma ( che invece  dapprima ha pareggiato e poi bastonato il Chelsea, campione d’Inghilterra).

Tra l’altro la Coppa dalle grandi orecchie è considerata ormai dagli afecionados la competizione di punta del calcio mondiale. E dunque ancor più appetita del Campionato italiano. Diversa valutazione corre per l’Europa League, considerata ( maldestramente) dai più un vero e proprio ‘fastidio‘. Se non un ’danno‘.
E questo, molto probabilmente, perchè ai tifosi nostrani non hanno ancora ben spiegato quale importanza rivesta il secondo torneo continentale. Intanto perchè favorisce numerose necessità   delle squadre ( continuo confronto internazionale, utilizzo di rose spesso esagerate,  etc) eppoi perchè attribuisce punti preziosi per la collocazione nel ranking, che è poi quello che assegna o meno i posti validi in particolare per la partecipazione alla Champions. In questo momento l’amabilmente  sottovalutato calcio italiano in realtà sta sul podio del ranking Uefa ( terzo), dietro ( d’una inezia alla Premier, seconda) e davanti ( di oltre un punto e mezzo) alla Bundes ( quarta). Autoflagellarsi e autolimitarci, considerandoci più competitivi soltanto dei francesi ( quindi) è come ( al solito) quello strano esercizio di prolungato complesso d’inferiorità sul quale prosperano, da anni, a go go, i tanti esterofili pronti  ad elargire ad ogni piè sospinto ( più o meno) dotte omelie al popolo (  bue ) dei tifosi nostrani.

I CORRIDORI DI COPPA. Gli abituali anglo&esterofili associati  alla prime avvisaglie d’una Premier tornata in forza nelle Coppe donde era  rimasta ( quasi) assente da un lustro ( almeno) al primo confronto diretto ( City/Napoli eChelsea/Roma) non hanno mancato di ricordarci  il ‘ divario abissale’ che corre(rebbe)  tra le nostre squadre e quelle di Albione. La onnipresente Albione. 
Tutto quanto gli sarebbe tornato a fagiolo, se non che due ribalde italiote hanno osato perpetrare una sorta di ‘ribaltone agonistico’ praticamente andando a seminare terrore laddove il terrore dovrebbe  nascere. Per catechizzare.  Tutti gli altri. E soprattutto gli italioti, che in questi anni di calcio miserrimo hanno poco da dare e poco da prendere. Eppure il mite Ciuccio, per un nonnulla, o se volete per un rigore regalato, non ha strappato  un meritato pareggio con il City (2-1), la miliardaria squadra di stato qatariota ubicata in Inghilterra; mentre  la timida Lupa, il pareggio l’ha preso ( 3-3), ma con una rammarico grande quanto un grattacielo per non avere creduto di più ( sul 2-3) nei suoi mezzi. Che non distavano affatto un oceano mare da quelli messi in campo dai plurideclamati avversari, ma solo qualche dettaglio in più o in meno. Inezie, insomma, che se messe in atto potevano regalargli ( davvero)  un risultato ‘ clamoroso’.

Sul tema della ‘diversità’ sarebbe molto utile chiarirla. Perchè (  dal divano) se  differenza  c’è tra angli ed italioti quella ( sembrerebbe) stare  ( principalmente) nella corsa e nella resistenza,  oltre ( ovviamente)  sulle diverse  ’diete’ che ai primi consentono di correre come forsennati per 95′ (almeno) e ai secondi per qualche ‘vampata’ o poco oltre.

Di Francesco, mister giallorosso, così catechizza i suoi  ” Prima cominciamo a correre. Correre, già, correre. Come ( e più ) di quanto si fa ( abitualmente) nelle Coppe europee. Dopodichè cominciamo a mettere  in funzione la testa. Visto che solo con  questo mix si può  fare la differenza”. Gli studi televisivi sono ricolmi di sapienti che trascorrono ore a spiegare  concetti, tattica, tecnica e quant’altro complica la ( reale) comprensione di un gioco elementare come quello  del pallone. Sfinendo chi ascolta.
Anche perchè chi ascolta, dal divano o meno, scemo o no, non rinuncia a pensare. A porsi domande. Questa, tra le altre : ” Ma  in Albione se hanno tanta forza e resistenza, di che si nutrono? Della bresaola cara a Pippo Inzaghi, o dello stoccafisso dei mari del  Nord consigliato da qualche druido locale? Che mangiano? Si può capire una volta per tutte? Anche perchè non ci vuol molto notare che non appena quelli lassù calano di gamba poveri mortali tornano.

 

RANKING UEFA ( classifica aggiornata fine novembre): Spagna, punti 98,569; Inghilterra, 72,319; Italia, 68,794;Germania, 67,712; Francia, 53,081; Russia, 49,382; Portogallo, 44,082.  Alle prime quattro leghe del ranking  vengono assegnate quattro squadre in Champions senza preliminari, e tre in Uefa. Un bel dono di Natale, non c’è che dire, per il nostro calcio. Che dovrà però metterci del suo, positivamente, cominciando intanto ( come hanno fatto Torino, Udine, Reggio e Frosinone) ad allestire nuovi e  moderni impianti, seguendo poi con un aggiornamento tecnico-tattico-agonistico ormai ( assolutamente) indispensabile.

 

 GLI UFO DELLA MOTO. L’Ufo di Tavullia deciderà in primavera se insistere o meno in sella ad una moto. L’Ufo di Catalunia  invece ha celebrato il suo sesto mondiale ( 4 in MotoGp), una impresa che ottenuta a soli 24 anni mostra i segni della eccezionalità.
Il sorridente ragazzo catalano, infatti, grande esperimentatore dei limiti estremi della guida motoristica, più volte caduto e più volte rialzato, ogni volta, senza danno alcuno, ha tutto il tempo di sverniciare qualsiasi record finora ottenuto dagli avversari ancora in sella e dai suoi predecessori, Agostini compreso.  Poco o nulla da aggiungere sulle altre due categorie: nella 350 il re resta l’imbattibile Mir, nella 250 l’amabile  Morbido ( pronto al trasbordo in MotoGp).

HAMILTON CAMPIONE PER LA QUARTA VOLTA. L’Oriente, l’ineffabile Oriente, è stato ancora una volta amichevole con Lewis,  il re nero, incoronandolo per la quarta volta campione del Mondo di F1. Ad aggiudicarsi l’ultima gara è stato il tulipano nero, arrogante prima dopo e durante la prova. Fatto è che, colpe o no, ancora una volta è riuscito ad eliminare la ‘rossa’ con il solito sorpasso a piede abbassato concesso a lui e a nessun altro. Chi lo protegga sempre e comunque non è dato a sapere. Il bello è che, quando qualcuno gli fa notare qualcosa di irregolare, lui, come bimbo viziato fino all’incredibile, s’arrabbia, reagisce, offende. Liberamente, ai quattro venti.
Qualche ( nostro e altrui) cronista ( sorvolando ) ha cominciato ad apostrofarlo ‘ il magnifico Max‘, con quel ( sempre più numeroso) codazzo orange che ormai lo segue ovunque, con un entusiasmo che a noi  spiace non poter condividere anche perchè ( ad essere sinceri)  l’unica vera eccezionalità che abbiamo notata quest’anno  nell’imberbe fenomeno è quel magistrale colpo da biliardo col quale ha eliminato contemporaneamente due ’rosse’. Due ‘rosse’ in corsa per i titoli, mica niente. Togliamogliela, come da regolamento, riportandolo tra i mortali, poi vedremo se  la sua conclamata abilità è vera gloria o altro. Tra l’altro, una domanda curiosa:  è proprio certo che senza il tulipano nero ( specializzato in elimina Ferrari) che le ‘frecce d’argento‘ e il suo  ductator maximo si sarebbero incoronati campioni del Mondo?

In questa, facciamo notare, che siamo bel consapevoli di quel che vanno dicendo sulla ‘rossa’  il meritorio Minardi e il sedotto e abbandonato Alonzo. Per il primo la ‘rossa’ è solo sulla strada di riavvicinamento al mostro todesco, per il secondo invece sta solo arappandosi alla bell’è meglio destinata com’è  l’anno prossimo a prendere il posto ( tuttalpiù) della safety car. Fosse per lui  infatti la ’rossa‘ del  futuro,  non solo è destinata ai tubi di scarico di  Mercedes, di Red Bull e della ( annunciata) McLaren-Alonzo, ma manco dovrebbe (ri)tornare in pista Evidentemente, beato lui, la storia è un’opinione sulla quale si può tranquillamente sorvolare. In Asturia non hanno niente di meglio?

 

PODIO MONDIALE F1 PILOTI:  Hamilton ( Mercedes) campione del Mondo ( quarto titolo),    Vettel (Ferrari),  Bottas ( Mercedes).

 

OPINIONI IN CIRCOLO.

 

GENDER EQUALITY INDEX. Secondo il ‘ Gender equality index’ negli ultimi dieci anni l’Italia è il paese europeo che ha fatto registrare i più significativi miglioramenti nella direzione dell’ ugualianza di genere.
Il nostri indice è aumentato di 13 punti contro i 4,2 della media europea. Eppure le donne sedute in Italia ‘ si sono sedute al tavolo, ma continuano a non distribuire le carte’. Ad ammetterlo è Lella Golfo, presidente della fondazione ‘Marisa Bellisario. Eppure l’opinione pubblica- sottolinea – ritiene ‘ buona l’idea di una formazione politica a guida femminile‘.

” La Germania - dice Lella  Golfo - ha la Merkel, l’Inghilterra Theresa May, mentre gli Usa ci hanno provato con Ilary Clinton. Da noi  invece una donna presidente del Consiglio o della Repubblica cono argomenti considerati di fantapolitica”. La Golfo coglie anche l’occasione di fare una bilancio della legge sulle quote di genere,  visto che per il 2022 è previsto l’esaurimento dell’efficacia della norma.
Tutto giusto. Con una domanda, però: siamo così certi che Merkel e May siano due conduzioni tanto esemplari? La Germania, col suo rigorismo, abbinato ad una (anacronistica)  visione pangermanica dell’Europa, sta spingendo verso lo sgretolamento ( Catalogna) di quanto realizzato sul Vecchio continente nel Dopoguerra; mentre l’Inghilterra, con quella sua brexit tirata fuori da un giorno all’altro dal cilindro della politica, sembra incoraggiare un processo volto  più che a creare un nuovo impero inglese  a ridimensionare anche i rimasugli ( Regno unito) di quel che resta.

 

CESARI E IL SUO ( NOSTRO) MEDIOCRE CAMPIONATO. Cesari, ex arbitro, a precisa domanda sul nostro Campionato così avrebbe sentenziato “ Mediocre! “. Ognuno, ovvio, ha le sue verità e se le tiene. Noi, ad esempio, non siamo proprio dell’avviso che il nostro calcio abbia qualcosa da invidiare agli altri, sennò come faremmo a seminare tecnici, addetti vari  e giocatori in ogni angolo del Pianeta? Eppoi, se vogliamo proprio guardarci attorno, quali sarebbero gli altrui i paradisi ? In Germania, ambito Bundes,  da anni spadroneggia una squadra e una soltanto.
In Ligue, da quel che a tuttora risulta, tutto sta nel pugno della miliardaria squadra di Stato del Qatar ubicata a  Parigi, con  nome Psg. InSpagna, dal Dopoguerra in qua, tranne in casi di calamità naturali, economico-politiche e sociali, due restano le contendenti  allo scudetto iberico. Arcinote . Quando una delle due avanza l’altra dai 6/7 punti  e oltre  ( come ora il Barca  sul Real) il campionato viene dichiarato  chiuso ( o quasi ) ben prima di Natale.
In Albione, invece, gran latitante in Coppa nell’ultimo lustro, le cose sono più dibattute, normalmente, anche se già a settembre si pronostica la squadra vincente. Senza errare. L’anno scorso si diceva il Chelsea di Conte, quest’anno il City di Guardiola. E così è stato.
Da noi, invece, dopo l’epopea Juventus, sono tornati  a suonar le loro campane gli innumerevoli ed inconciliabili  campanili, e se ben si pone orecchio non si può evitare d’ascoltare melodie all’infinito.
All’ombra della Madonnina, al cospetto del sangue di San Gennaro,  davanti ai fasti imponenti del Cupolone. Con l’ aggiunta di alcune  terribili ‘rompiballe’ di periferia che accantonare è quasi possibile. Si pensi, ad esempio, alla rinata magnifica Dea, che sotto la guida del Gasp  quando è in vena di giocare può rendere messa e benedizione a tutti. Anche alle inglesi. Signor Cesari: siamo proprio così mediocri?

Altra opinione in circolo è quella di Adani, visionario ed enciclopedico commentatore Sky. Lui, più chirurgico del signor  Cesari, al quesito su chi è la più bella del reame calcistico europeo ha  idee precise: la Liga. Una opinione, la sua, autorevole, rispettabile, ma come diciamo poco sopra, non proprio  ( del tutto) condivisibile.
Perchè? Scusate l’ingombro, ma preferiamo il suono dei nostri campanili. Con le loro storie, trame, personaggi. Di cui si diceva sopra. Sempre che si sbrighino, è ovvio,  a costruirgli (sotto)  quei benedetti nuovi  stadi.

L’UOMO DAL MAGLIONCINO BLU.   Meglio se in Asia non fossimo mai venuti!”. Così ha esclamato Sergio  Marchionne, l’uomo dal maglioncino blu, grande mentore di Fiat-Chrysler e Ferrari, a chi gli chiedeva lumi sull’andazzo della ‘rossa’. Infatti, non ci vuol un esperto in economia, per fare due conti e vedere quanto siano state negative le tre tappe asiatiche per la prodigiosa macchina di Maranello. Aveva dato l’avvio un tamponamento ad hoc ( Hamilton), che aveva creato non pochi problemi alla macchina più prestigiosa al Mondo. Hanno continuato, in rapida e ( apparentemente) involontaria sequenza, gli assalti furibondi d’ un imberbe tulipano nero ( Vestappen), gli sbadigli distratti d’un ragazzotto messo in pista a farsi le ossa ( Stroll), le amnesie fatali  di fornitori (esterni ) e  tecnici ( interni), fin alla candela di Motegi che ha tolto di mezzo (  fin dal via del Gp del Giappone)  l’unico avversario che potesse infastidire il formidabile re nero alla guida di una ‘freccia d’argento’ .

Marchionne, l’uomo dal maglioncino blu, continua intanto a non mandarle a dire. Basta con i ( furbeschi) regolamenti anti Ferrari ( caso fosse, gli americani nuovi padroni del circus  si facciano pure una F1 a loro immagine e somiglianza e senza la ’rossa’); basta con aiuti, aiutini  e aiutoni;  basta con mandanti e mandatari più o meno occulti  e distratti ad usum delphini; basta con i paraculi; basta con amnesie e carlonerie interne. Basta. Basta. Basta. Perchè la gente del Mondo ( non si fosse  capito) ama la ’rossa’ e vuol continuare a sognare con la ‘rossa’.
Ma in un agone industriale e sportivo  ’leale’ e non inficiato dalla mediocrità di chi vuol vincere sempre e comunque. A tutti i costi. .. senza curarsi di nulla e del prossimo.

 Intanto l’Alfa Romeo, cinque mondiali, rientra nel circus. Con la Sauber. 

 

ALTRE ( NON SOLO) DI SPORT

 

L’INDIPENDENZA CATALUNA. Alla ( ormai lontana) dichiarazione di indipendenza della  Catalogna , Madrid ha risposto con durezza. Il premier Mariano Rajoy ha sciolto il Parlamento di Barcellona, destituito Carles Puigdemont (   fuggito Belgio per  evitare l’  arresto), definito criminali gli indipendentisti e stabilito la data delle nuove elezioni. Intanto la giudice spagnola Carmel Lamela  ha emesso un mandato di cattura nazionale e internazionale per l’ex presidente della Generalitat, Carles Puigdemont e per i quattro ex ministri del governo catalano riparati ( anche loro) in Belgio. Carles Puigdemont dal suo rifugio ha tenuto a precisare di non ‘ essere fuggito’  per evitare la giustizia spagnola, assicurando inoltre  ‘ d’essere pronto a candidarsi dall’estero‘.
Ma come andrà a finire? Restiamo fermi tuttora su quanto ha indicato qualche tempo fa   Elisabetta Rosaspina sul ‘Corriere’ : lotta armata ( Mossos contro gli agenti inviati da Madrid), disobbedienza generalizzata ( con  forzatura degli sbarramenti agli uffici pubblici),  contro potere dei 700 sindaci indipendentisti con il tesoretto dei fondi regionali e delegati al posto dei leader locali.

IL DIO DANARO. Il dio danaro s’è impossessato delo sport e ( in primo luogo) del calcio. E se tutto al mondo va misurato con quello, diciamo pure che la nostra Serie A è in chiara rimonta sulle maggiori restanti consorelle europee. La Serie A, infatti, durante questa torrida e lunga estate di calciomercato , ha sfondato il tetto del miliardo; qualche centinaio di milioni sotto alla paperona Premier, la quale però s’avvantaggia sulla Serie A  grazie agli enormi introiti dei diritti televisivi esteri ( oltre un miliardo contro i 180 mln nostrani, più o meno); ma molto più in alto di Liga, Bundes e Ligue 1 ( quest’ultima sui 600 mln,  grazie   alle sparate della squadra di stato del Qatar battezzata, all’uopo, Paris Saint Germain). Dal 2012 la nostra Lega ha triplicato gli investimenti, passando dai 373 del 2012 ai 1.o37 del 2017.
Tra le squadre in evidenza il Milan ( 228 mln); ma anche Roma, Inter, Samp, Toro e perfino il Cagliari non sono stati di certo con le mani in mano. La Serie A sta rimontando alla brutta, su tutto e tutti, e se come si auspica anche gli introiti esteri daranno i frutti sperati non è detto che tra qualche anno ( o mese) diventi proprio la bistrattata  la Serie A il campionato più ricco del pianeta. Con qual fondamento e costrutto non è dato a sapere. Cresciamo, alla grande,  e questo ( al momento)  basta. Speriamo solo che tra tanta grazia non dimentichiamo la sostanza vera, quella di far nuovi stadi.

Saranno  afflitti i menagrami, ma andranno in delirio  i facitori del libero mercato, i quali, gatton gattone, da gran liberali,  stanno giocherellando sui prezzi con inusitata goduria e avidità. Intanto, se Dio vuol,  hanno chiuso le porte del Calciomercato. In tutta Europa. Con N’peperempè, Nebbelelè e Coutintino finiti ( o quasi)  grazie a centinaia di milioni nelle braccia dei ’poveri fessi’ che gettano dalla finestra soldi altrui. Per costoro il fair play finanziario manco esiste; comprano con tutti gli espedienti del caso, gonfiando qua e deprimendo là, svolazzando come nugoli di cavallette arrivati dalla steppa o dai deserti.
Guarda caso i loro habitat naturali. Dire che il Psg sia una squadra di calcio fa ridere.

Quella è una squadra di Stato, come il City, acquistata  e foraggaita da danaro pubblico solo perchè comodo veicolo per portare a compimento operazioni varie. E non sempre chiare. Certo, molti di quei soldi non solo non resteranno nel calcio ( vedi le assurde commissioni a procuratori ultra miliardari) ma voleranno via, qua e là, con destinazioni tutte da (ri)costruire. Il pericolo c’è. D’inflazionare ( o di infettare) il tutto.  Non limitatamente al sistema calcio, che nello sport agonistico fa da traino. Alto.  Molto alto. La senora Uefa, per caso, dorme?

 

 

 FATECI NUOVI STADI. Sottoscriviamo il testo diffuso a pagine intere da Sky per salutare  il nuovo inizio del calcio italiano.  ” E’ il momento. Sono grato della fiducia che tutti ripongono in me, fiducia che però io non merito, perchè da solo non sono niente. Pronti a dare tutto, ce ne sono tanti come me: dieci, trenta, centomila. E cresceremo ancora. Qualcuno proverà a dividerci, ma si ingannano se pensano di riuscirci. Perchè noi siamo destinati a fare grandi cose“.

( Giuseppe Garibaldi, giorno di Pasqua 1861)

 STADIO ROMA. SI MUOVE IL GOVERNO. Non facciamo il tifo per nessuno, se non per il negletto sport italiano. Valutiamo intenzioni e progetti. Sperando che crescano in numero e qualità.
Sulla vexatia questio impianti sportivi ( leggasi stadi e non solo), indispensabili per rilanciare lo sport e il Paese, non facciamo altro che stare in orecchio. Buone nuove sembrano in arrivo da Bergamo, proprietà Atalanta, novità importanti sono inoltre annunciate dall’Urbe,  proprietà Roma.

In quest’ultima città capace di snobbare ( con un colpo di ciglia) la ( possibile) attribuzione di una Olimpiade, il problema di dotarsi uno stadio, moderno, degno di una metropoli mondiale,  è mille volte assai più complesso di quello che incontrarono i Flavi per erigere  il Colosseo. Non ne va bene una.
Tutti parlano e sparlano. Finalmente, si fa per dire, qualcosa si muove. Qualcosa di ( teoricamente) decisivo, come il governo del Paese. Tramite il ministro allo Sport Lotti, che sembra aver assicurato i fondi per risolvere uno dei tanti pelosi distinguo che bloccato l’iter operativo dell’opera.

Quel ponte per lo stadio ( zona Tordivalle) si farà, superando così le mille prescrizioni (  talvolta  in contrasto tra loro) aggiunte in calce ad ogni ( presunta) autorizzazione pubblica. La partita non è finita, ammonisce la ‘rosea‘, anche perchè ( a questo punto)  è come stare in vantaggio di un paio di gol a pochi minuti dalla fine.

ARGOMENTI & ATTUALITA’

 IL ROMPIBALLE SURGELATO. In casa sua, tra le renne, di buone non ha rimediato nulla, tanto che i suoi lo hanno mandato a rompere balle in Consiglio europeo. E lui,  Jyrki Katainen, surgelato finnico doc, vice presidente Ue, non perde colpi nel perseguitare i paesi del Sud, quelli luminosi e caldi, in particolare, la Bella Italia, la quale nonostante ( da qualche tempo in qua) metta in cassa progressi economici sofferti ma significativi (   chiuderà l’anno  con  +1,6/1,8 del Pil) a lui proprio non quadra. Qualche chiarimento sul comportamento del findus finnico sta giungendo anche dal Nord, anche perchè gli orbi di carattere è  bene che si esibiscano in separata sede  che in un consesso pubblico.

Il Pil dell’Italia, lo capisca o no  Jyrki , cresce come la Francia e  meglio del Regno Unito anche se sta sotto di un punticino a Spagna e Germania. Dopo anni di magra, gli spiragli di ripresa sono concreti. Tuttavia, la commissione Ue invierà una lettera all’Italia con richiesta di chiarimenti e impegni in merito alla manovra in corso, paventando una ulteriore interferenza  sulla Legge di Bilancio a maggio 2018.
A girare il coltello nella ferita ancora aperta d’un Italia in via di guarigione, è manco a dirlo lui, il glaciale Jyrki , che non crede affatto ai ‘miglioramenti del Bel paese‘. Onde per cui, come un frequentatore di pub intorbidito da fumo e birra, continua a reiterare deliri Vuol vederci chiaro. Nei conti, soprattutto.
” Gli Italiani – sbeffeggia  il finnico – devono sapere qual è la loro reale situazione”. ” Sì, certo, ma noi diciamo sempre la verità agli Italiani”  gli ha risposto  a distanza Sandro Gozi, sottosegretario agli Affari europei. E del resto, a parte gli Jyrki Katainen o i Sandro Gozi che siano,  i popoli del Belpaese hanno imparato ormai da secoli a capire da soli dove spira il vento. Magari ci vanno a spannella, ad un pressachepoco, come facevano un tempo gli uomini dei campi o i marinai, ma al nocciolo della situazione arrivano. Stia certo il buon Jyrki. Se andasse male come sospetta lui, se lo direbbero da soli, anche perchè non riempirebbero bar, ristoranti, palestre, etc etc. La venga in Romagna, Jyrki .

IL SOVRANISMO. Il sovranismo, secondo la Treccani, è una dottrina politica che propugna la difesa o la riconquista della sovranità nazionale da parte di un popolo o di uno Stato, in antitesi alle dinamiche della globalizzazione e in contrapposizione alle politiche sovranazionali di concertazione. Ma chi è affetto da sovranismo ai giorni nostri? Guarda un po’ quelli che (  molto tempo fa ) davano ( sostanzialmente) corpo e sangue al vecchio Impero asburgico.

Con adesione aggiornata di  Austria, Ungheria,  Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia. Costoro, cristiani e riformati che siano, non vogliono sentire parlare di immigrati. Quelli, per gli ex asburgici, caso mai ce ne fossero, stazionassero pure nei paesi donde approdano. Null’altro.  A costoro  poco importa infatti veder naufragare giornalmente decine, centinaia, di poveri diavoli, tra cui tanti sguardi increduli di bambini.
Per loro una ‘ nazione incapace di difendere i suoi interessi è meglio che scompaia’. Un concetto, questo, chiaramente sovranista e usato in totale contrapposizione con quello comunitario  dell’Europa. Insomma, questi signori, peggio ancora di quelli ( infidi) d’Albione, non riescono pensare ad  altro che auto  conservarsi, proteggersi, guardarsi ( spensieratamente) all’indietro. Pensare poi che questo sia il modo migliore di ‘ difendere i propri interessi per non scomparire ‘ è tutto da dimostrare. Anche perchè chi assicura agli ex asburgici   che  a dover levare le tende dalla storia non debbano essere  proprio loro e non altri i quali la storia, pur con tutte le sue ferite e contraddizioni, le sue porcate e le sue speranze, la storia vera, sanno guardare negli occhi ( intanto) con infinito coraggio e  generosità?

EXCURSUS STORICI

MASNADE MERCENARIE.  L’origine dei capitani di ventura va ricercata  tra i rami cadetti della nobiltà, spazzati via fin dalla nascita nelle rivendicazioni del casato. Alcuni di questi capitani ( o condottieri) arrivarono perfino, fra Tre/Quattrocento, a fondare stati. A certe condizioni resta difficile affermare che i capitani di ventura siano stati la rovina e la maledizione dell’Italia, perchè potrebbe essere vero anche il contrario. Essi si ergono protagonisti di un particolare momento storico, con forza vitale incredibile, grandiosa, al limite del brutale, immagine nuda e cruda  del potere militare riflesso sul potere politico. Il capitano di ventura è figura centrale per tre secoli. E in quattro tempi.
Da quello dei ‘precursori’ ai primi significativi rappresentanti ( per lo più al seguito delle compagni straniere calate sulla Penisola); dai capitani dell’età aurea ( per lo più italiani, talvolta fondatori di stati) agli epigoni, quando l’Italia  ( insipienza sua) concesse ad altri di trasformarla  un campo da battaglia e di conquista, fin al ( definitivo) predominio spagnolo. Il ‘fenomeno‘ trovò  una sua prima comparsa ( a partire)  da fine Duecento /inizi Trecento allorquando numerose ‘ masnade mercenarie straniere‘ presero l’abitudine a calare in Italia, da sole o a seguito di qualche re o imperatore, voglioso di mettere mano sui tanti tesori del paese ( più bello) e ( più ricco)  del Mondo.
Si trattava allora di bellatores, ovvero di soldati di mestiere, in gran parte di bassa estrazione, disposti ad aggregarsi per una impresa che portasse loro danaro e bottino.
Provenivano dalla Germania o  dal Brabante,  quest’ultimi  chiamati ’ Brabanzoni‘; ma anche dall’ Aragona e dalla Cataluna  come gli Almogavari o Almovari, che permisero a Pietro d’Aragona di conquistare  nel 1282 il Sud d’Italia.
Michele Amari li descrive così: ” Breve saio a costoro, un berretto di cuoio, una cintura, non camicia, non targa, calzati d’uose e scarponi, lo zaino sulle spalle col cibo, al fianco una spada corta e acuta, alle mani un’asta con largo ferro, e due giavellotti appuntati, che usavan vibrare con la sola destra, e poi nell’asta tutti affidavansi per dare e schermirsi.

I loro capitani chiamavansi con voce arabica ‘adelilli’. Non disciplina soffrivano questi feroci, non avevano stipendi, ma quanto bottino sapessero strappare al nemico, toltone un quinto per re.
Indurati a fame, a crudezza di stagione, ad asprezza di luoghi; diversi, al dir degli storici,  dalla comune degli uomini, toglieano indosso tanti pani quanti dì proponeansi di scorrerie; del resto mangiavan erbe silvestri, ove altro non trovassero: e senza bagagli, senza impedimenti, avventuravansi due o tre giornate entro terre de’nemici; piombavano di repente, e lesti ritraenvansi; destri e temerari più la notte che il dì; tra balze e boschi più che pianura”.

( I PARTE)

I bellatoreso se si vuole  i masnadieri, una volta terminata la spedizione, perlopiù, non se la sentivano di tornare donde erano venuti, anche perchè il Bel Paese era terra troppo ghiotta per mettersi da parte  un gruzzolo senza troppo inferire. Restarono, infatti, tutti, seminando lutti e devastazioni, praticamente impuniti. Del resto le rivalità nostre lasciarono campo aperto ad ogni avventuriero.
I nostri capitanei, oggi come ieri, preferivano ( e preferiscono)  farsi depredare più che combattere. Ma il ’casino’ diventò tale che qualcuno cominciò a chiedere L’introduzione di una certa disciplina. Pisa, ad esempio, ci provò subito, stendendo un codice apposito per regolare i rapporti con certa gente. Inutilmente, è ovvio. Ma tentò. Si passò allora all’emarginazione, ma anche di questa, quelli, se ne fotterono.

” Che nessuno di detta masnada possa mangiare e bere con alcun cittadino pisano in casa sua o in qualunque altra casa…” recitavano i testi, peraltro impossibili  a leggersi da masnade analfabete. I mercenari venuti in Italia nel 1333 al seguito di Giovanni di Boemia restarono quasi tutti nella Penisola; un gruppo  si raccolse nel Piacentino, alla badia della Colomba, sotto il nome di ‘ Cavalieri  della colomba’, vivendo di rapine, finchè vennero assunti al soldo da Perugia che voleva liberarsi del giogo di Arezzo. Ne compirono, i nostri amici, di tutti colori, eppure grazie a ciò trovano  ingaggio presso il comune di Firenze. Diciamo che in  questi frangenti non si tratta ancora di vere proprie compagnie. I loro vessilli non sono bandiere ma banderuole. I loro ‘capitani‘, usciti dai ranghi feudali e dai milites, costituiscono uno ‘ strato sociale che gira, con scadenze annuali o semestrali, per l’intera Penisola e l’Italia centrale.  Al suo interno si differenzia un circuito guelfo o ghibellino. Il mestiere della guerra viene tramandato di padre in figlio’. Guerrieri, dunque, di professione, ma non ancora dei professionisti. Questi, infatti, al momento, sono soltanto i precursori del fenomeno ben più ampio e disastroso che verrà. E che metterà ai margini,  senza lacrima alcuna,  quello che era  il più bello, ricco ed evoluto paese della Terra.

( II PARTE)

 Le cose si complicarono ulteriormente  quando assaltarono la Penisola ‘ trascinatori nati’ di truppe mercenarie, come il duca Werner von Urslingen o il conte Konrad von Landau. Essi arrivano nel 1339 per unirsi alla massa di venturieri tedeschi che da più di vent’anni, in gruppi isolati, avevano eletto l’Italia come terra di saccheggio e che, guarda un po’, un italiano, Lodrisio Visconti, radunava nella ‘Compagnia di san Giorgio’.

Le masnade poterono così raggrupparsi, trasformarsi in una prima nefasta grande compagnia, travolta però, non molto dopo, dall’accozzaglia più o meno organizzata  di un altro capitano italiano, Ettore da PanigoWerner, in quella, scelse di proseguire da solo, combattendo al soldi di diverse bandiere in Lombardia e Toscana, finchè non andò a riesumare l’idea di Lodrisio, (ri)proponendo la costituzione di una libera compagnia ‘ per guerreggiare i più deboli e i più doviziosi’.Impose anche una disciplina di ferro. Gli ingaggi ai venturieri davano diritto al soldo, che sarebbe dipeso dall’entità dei bottini che la compagnia riusciva a fare. Si costituì dunque la ‘ Grande compagnia’ al comando, ovviamente,  di von Urslingen ribattezzato all’uopo  duca Guarnieri, parimenti ad altri macellai stranieri.

La ‘Grande compagnia’  forte di tremila ‘barbute‘, costituita ognuna di un cavaliere e di un sergente, anche lui a cavallo, trovò ‘ richieste di lavoro‘ a volontà. Toscana e Umbria, in ispecie,  vennero intinte nel sangue. Devastate senza scrupolo proprio da uno che aveva scolpito sulla sua armatura il suo ideale ” Duca Guarnieri, signore della Gran Compagnia, nimico di Dio, di pietà et di misericordia”. Guarnieri si offriva a chi meglio pagava. Dopo avere fatto guerra ai Malatesti di Rimini passò, molto amabilmente, al servizio degli stessi. Conteso  e disprezzato dai ‘ datori di lavoro‘, saccheggiò per almeno due anni la Penisola, finchè i ‘datori di lavoro’ decisero di toglierselo di mezzo versandogli, nel 1343, una grossa somma di danaro a titolo di liquidazione. Lui si ritirò in Friuli.Per quattro anni soltanto, però, perchè già nel 1347 s’era accodato a Luigi I d’Ungheria  diretto a  Napoli per eliminare Giovanna d’Angiò, colpevole d’avere ucciso il marito Andrea, suo fratello.  Quella guerra durò tre anni.

Con enorme prodigarsi della ‘Grande Compagnia’. La quale, una volta dipartito il re d’Ungheria, restò sul posto fiancheggiando il voivoda d’Ungheria rimasto in Italia. La masnada si (ri)prese un ‘periodo di riflessione’  quando  il capo nel 1351  si ritirò nella nativa Svevia, colà morendo tre anni dopo. Perchè,  a dirla tutta, l’operato della ‘Grande Compagnia’ non cessò con la morte del duca Guarnieri, proseguendo la sua nefasta attività agli ordini di Fra Moriale, che la guidò ora contro ora a favore del pontefice di turno. A decretare la fine della ’Grande Compagnia‘ furono  quelli della ‘Compagnia bianca‘ come  Albert Sterz e John Hawkwood, inglese italianizzato col nome di Giovanni Acuto.
A quel punto le compagnie create e dirette dai capitani stranieri non si contavano più. Tuttavia, per completare il quadro, occorre non sorvolare sulle compagnie italiane sorte alla stregua delle straniere con truppe e comandanti ( in gran parte)  italiani. Famose divennero la ‘Compagnia della stella‘ di Astorre Manfredi e  la ‘Compagnia del cappelletto’ di Niccolò da Montefeltro.

E comunque, queste, tutte guidate da personaggi d’estrazione nobiliare ma ( sostanzialmente) di ‘mezza tacca‘. Semmai, la compagnia ‘tutta italiana‘  che segnò una svolta epocale fu senz’altro quella formatasi all’indomani dell’eccidio di Cesena. Si faceva chiamare  la  ’Compagnia di San Giorgio’ di Alberico da Barbiano. Questa, infatti, ottenne  la ( clamorosa)  santa benedizione di papa Urbano VI. Con benefici enormi. Alberico da Barbiano   ( tra l’altro) apre l’epoca d’oro dei capitani di ventura italiani che subentrarono, nei modi e nei tempi più favorevoli, a quelli stranieri. Le masnade nostrane non nascono però a caso come gran parte delle precedenti, visto che è il capitano a scegliere i suoi uomini. Dal primo all’ultimo. Trasformandosi così  da ‘ capitano’ a  ’condottiero‘.

( PARTE III)

Tante sono le novità. Come il reclutamento ‘ in massa‘, tra vecchi camerati;  oppure ‘ a bandiera’ con uomini da selezionare ed istruire. Tutti, comunque, alle sue dipendenze. Il capitano ( come sopra si diceva) si fa condottiero. Cresce di peso. Le prime condotte regolari risalgono alla seconda metà del Trecento. Firenze fu tra le prime città ad organizzarsi.

Con la creazione di speciali magistrature come quella degli ‘officiali di condotta’ e degli ‘officiali sopra‘, che controllavano ( in particolare) disciplina e armamenti. Si diffusero forme diverse ed articolate di condotta. ( Inizialmente)  gran campo presero quelle a ‘ soldo disteso’  ( alla diretta dipendenza d’un signore o di un capitano generale della città); e quelle a ‘ mezzo soldo‘ ( con capitano aggregato ma in posizione sussidiaria, oltre a  paga e rischi ridotti). Col tempo i controlli ( e i contratti) saltarono, ovviamente, data la crescente forza d’imposizione dei gruppi armati. Il condottiero era tenuto al rispetto di un periodo di ‘ferma’ e anche ‘ d’aspetto’. Terminato il quale, poteva o rinnovare l’impegno o recederlo. Comunque terminato ’l'aspetto‘ il condottiero poteva andare dove meglio credeva. Anche passando al campo ( fin a poco prima) nemico. Un particolare tipo di condotta veniva stipulato per i mercenari del mare, si chiamava ‘ contratto d’assento’, cioè d’ingaggio di forze navali nemiche.

Genova cominciò a stipulare contratti con mercenari agli inizi del Quattrocento. Così lo Stato pontificio. Venezia invece considererà il contratto ’ d’assenso‘ come un umiliante (  pericoloso)  ripiego.  Cercò così di evitare mercenari. Ma quanto poteva mettere in tasca un ( buon) condottiero? La risposta ( ovviamente) non è semplice. Poichè come in tutti i rapporti di forza ( e necessità) a fare il prezzo è chi tiene il coltello del manico. Inoltre, pare incredibile, da considerare era anche il pericolo inflazione a cui andavano soggette le monete del tempo, fiorino o ducato compresi. Micheletto Attendolo, cugino di Muzio, nel 1432, incassava da Firenze mille fiorini al mese. Francesco Gonzaga, nel 1505,  sotto contratto con il Giglio, metteva in cassa 33 mila scudi annui per una compagnia di 250 soldati; mentre Francesco Maria della Rovere strappò ( al Giglio)  oltre 100 mila scudi annui,   ma con soli 200 uomini.

In ogni caso, pur  fatte anche  le debite distinzioni, e adattamenti,  si trattava di cachet notevoli. Che impoverivano ogni ora di più le casse di Signorie e Città.

Inoltre, visto che il pollo si poteva  spennare con poca fatica, di ‘condottieri‘ ne nacquero tanti quanto i soliti funghi dopo una intensa pioggia d’autunno. Molti di loro diedero vita a dinastie. Anche durature. Visto che, prima o poi, riuscivano ad imporre la forza delle loro armi  contro gli improvvidi che li chiamavano  ( si fa per dire) al loro servizio. Costoro, poi,   quasi tutti venuti dalla gavetta,  autentici parvenu,  una volta diventati  gli unici padroni della situazione,  iniziarono bene ad alimentare aloni leggendari. Da ( autentica) grandeur medievale, sulle gesta degli antichi cavalieri o dei più valenti uomini d’arme.
Qualcuno si ripulì la fedina, grazie anche a  (  lodevoli) intenti mecenatistici. Ci fu anche chi azzardò  atteggiarsi  ad umanista, pur  restando ( per lo più) ignorante o  semianalfabeta. I meglio posizionati non resistettero  (perfino)  al sogno dell’immortalità. Cosa non difficile a farsi  declamare. Visto che nelle loro ( sempre più ricche) case gli adulatori si sprecavano. Nella celebre ‘ Vita Scipionis Jacopo Piccininis’ il nostro condottiero viene  paragonato ( addirittura)  al vincitore di Zama. Roba da non credere. Roba da ridire. Ma tanto accadde. In  epoche lontane. E così via.

( PARTE IV)

La pace di Lodi del 1454, consolidando un temporaneo equilibrio strategico-politico, mette in crisi i capitani di ventura. Chi era arrivato al vertice, resta, ma chi aspirava deve rinunciarci. Sono le invasioni estere a far saltare il banco. Dall’Alpi alla Sicilia. E’ l’inizio della decadenza del paese più importante al Mondo. I sovrani stranieri non s’appoggiano più alle milizie locali, ma reclutano armate in proprio. Capaci di sferrare, al contrario delle altre sul mercato, attacchi micidiali, con armi micidiali. Le artiglierie formano il cuore delle armate di Carlo VIII, Luigi XII , Francesco I, Massimiliano I e Carlo V. Giungono sui campi le colubrine ( sessanta colpi al giorno) con tiro fin oltre due chilometri. E anche il falcone. E poi l’archibugio. Contro queste armi anche la corazza più robusta poco oppone.
I venturieri italiani devono (ri) cedere così il passo ai mercenari stranieri. Come i brutali Lanzichenecchi. Altro non resta, ai nostri, che arruolarsi con gli eserciti stranieri. Diventando, spesso, e nonostante gli ostacoli che dovevano superare, famosi. I loro nomi si ripetono ancora. Ma è vana gloria. Gli ultimi capitani di ventura arrivati (in precedenza ) ai vertici del potere si consumeranno mortalmente in rivalità comunali e familiari. Orsini, Colonna, Baglioni, Borgia e Della Rovere finiranno così per trovarsi su fronti contrapposti in fratricidi combattimenti. Il sangue del Belpaese colerà (ancora) a fiumi. Senza colpevoli, ma solo con tante vittime.

San Quintino di Lepanto,  in questo frangente, è  una fiammella di speranza, breve, e comunque  già parte d’un altra storia.

 

TIRIAMO LE SOMME. Ci siamo permessi una breve ricognizione storica per evincere quanto segue. Intanto un concetto tuttora chiaro: mercenario è chi presta la propria opera per danaro. Inoltre non sempre un mercenario è anche un professionista. La specializzazione, semmai, arriva col tempo, quando caduti tutti i valori e i sacri paramenti   altro non resta che aggrapparsi al danaro. Subito, tanto, non importa se maleodorante o meno. Ovviamente sul mercato c’è professionista e professionista. Del resto gli umani da sempre  sono diversi. E tuttavia la stragrande maggioranza dei prestatori d’opera ( cosiddetti) professionali continuano a prediligere  ( al di là delle loro buone intenzioni) i danari  sopra ogni altra cosa. Questo è certissimo. Ieri, oggi, domani. Di mercenari, professionali o meno, ce n’erano e ce ne saranno sempre. Anche laddove non appare. Visto che sono abilissimi a rigenerarsi e a mimetizzarsi sotto  mentite spoglie, ovvio. Oggi di mercenari ne troviamo ancora disseminati qua e là.  In gran copia. Impegnati in imprese belliche, ma anche in realtà economico-finanziarie, culturali e finanche in quelle sportive. Ad esempio nell’atletica,  dove,  che serve continuare a  fasciare di colori nazionali individui che a quei colori aderiscono soltanto per ragioni di opportunità ( soprattutto) economica? E  in particolare nel miliardario habitat calcistico , dove mercenari vecchi e nuovi sono attratti  a nugoli come  api dal miele.

Eppure, a ben pensarci, quel  calcio  vive e vegeta sulla passione spassionata di milioni di individui che una volta affezionatesi ai colori di una maglia le restano fedeli per tutta la vita. Stranamente, a tutti costoro, ora dopo ora, vien chiesto di dar luogo nel loro cuore a soggetti che di quella maglia si vestono finchè non arriva qualcuno a proporgliene un’altra coi dovuti rincari. E questo fanno da mane a sera.
Un giorno li vedi mettere le mani sul cuore di un colore, il giorno dopo ripetono il nobile gesto  su altro colore, magari  antagonista. E mentre i sudditi del regno di Eupalla sono chiamati ad essere sinceri, devoti, incrollabili; i professionisti  possono permettersi il lusso di risultare   cinici, imprevedibili,  (ri)motivabili. Costoro passan infatti la notte a scrutare l’alba. Situazioni, caratteri, soggetti,  questi, tutti ben noti a noi negletti d’Italia, e fin dal lontano  passato. Anche se, spesso,  ce lo scordiamo.

Per queste ragioni abbiamo cercato di rinfrescarci  la memoria con  qualche pagina di storia. Anche perchè le cose non sono mai del tutto semplici e definite.  Qualcuno dei  mercenari storici infatti trovò perfino la forza d’impadronirsi del territorio o della città  dove era stato chiamato per proteggerla. Dando vita a Signorie ( o ad altre forme di governo) che, tutto sommato, non son poi state la disgrazia del Belpaese.
Certo sarebbe davvero curioso se un soggetto come certo  Raiola da Nocera Inferiore,  ex pizzaiolo e al momento dominus incontrastato  di tanti veri o presunti campioni, si presentasse al botteghino della storia sportiva odierna per acquistare una società. Anche blasonata. E farsela tutta sua. Libri mastri e soggetti in carico, campo e spogliatoi, maglie e calzettoni, insomma tutto, dal capo ai piedi, ogni vivente e cosa  compresa. Come a suo tempo fecero, con le dovute differenze, è ovvio,  uno Sforza o un Malatesta o un Montefeltro. Dapprima al servizio altrui e poi padroni assoluti.

Che ridere, e  se fosse questo l’avvio del tanto vaticinato Rinascimento del nostro calcio.

I PIU’ CELEBRI CAPITANI DI VENTURA. I nomi (  italiani o italianizzati) di alcuni capitani di ventura sono rimasti scolpiti. Da quelli degli anticipatori del movimento, come Ruggiero da Flor ( 1268 ca/1305), Uguccione della Faggiola( 1240/1319), Castruccio Castracani ( 1281/1328) Cangrande della Scala( 1291/1329); a quelli dei primi, veri, grandi capitani di ventura, come Lodrisio Visconti( 1280/1364), Malatesta Guastafamiglia ( 1299/1372), Galeotto Malatesta ( 1305/1385). Tra i numerosi  ’ big’   di Tre/Quattrocento questi, in particolare, hanno acquisito fama duratura: Pandolfo Malatesta( 1369/1427), Muzio Attendolo Sforza( 1369/1424), Gattamelata ( 1370/1443), Francesco Sforza( 1401/1466), Federico II da Montefeltro ( 1422/1482).

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