Non solo sport. Auguri a tutti di Buon 2018. Ma con l’auspicio di altri nuovi stadi nella calza della Befana.

LA CRONACA DAL DIVANO. Chiudiamo l’anno salutando quello che arriva. Fare un bilancio del trascorso è, con il senno del poi, abbastanza agevole.
Dal calcio abbiamo avuto quel che ci meritiamo da anni, ovvero, la non qualificazione della Nazionale quadristellata al Mondiale di Russia. Peggio di così. Cercano di rialzare la testa le nostre squadre di club. Al momento ne contiamo sei in Europa ( 2 Champions, 4 Uefa). Mentre nel ranking Uefa siamo risaliti al terzo posto ( davanti alla Bundes).
Nella pallavolo, maschile e femminile, ci siamo abituati ai secondi posti. Nel basket sarebbe meglio prendersi un periodo di riflessione e non insistere oltre nel collezionare illusioni ( se non umiliazioni). Peggio dicasi per il rugby. Non stiamo andando male sulla neve, e qualche speranza di tornare da Olimpia con qualche medaglia pregiata c’è.
Non stiamo andando male manco nel nuoto, dove alla Fede e al Greg si sono accodati tanti giovani interessanti. Buoni all’uopo ( per quel che sono valsi) gli Europei in vasca corta.
Restiamo nullità in atletica leggera. Ci confermiamo invece negli sport minori tanto prodighi e sicuri: tiro, scherma, arco, judo, pallanuoto, danza, etc. Teniamo due big per le corse a tappe nel ciclismo, mentre sulla ( negletta) pista sono (ri)apparse ( nonostante tutto) giovani speranze non da poco.
Restiamo ai vertici nei motori. Due ruote, quattro ruote.Sulle due ruote, oltre al campione della nostra epoca, stanno via via accoccolandosi giovinastri di gran talento; sulle quattro, invece, a parte Giovinazzi, nostra prossima speme per la F1, resta sul tavolo il futuro della ‘rossa’.
Visto che con i nuovi padroni del Circus c’è poco da prendere sù. Infatti chissà mai se, tra un milione di dollari e l’altro, si chiedono cosa diventerebbe la F1 senza quel mito che rabbrividisce le folle ovunque echeggi il suo ruggito?
CAMPIONATI ( DAVVERO) AL TOP? Fine / inizio anno con il calcio. Italiano ed estero. Con il nostro a restare tuttora un enigma, conteso da almeno quattro squadre; con l’altrui, invece, dove tutto è già acclarato senza dubbio alcuno.
Riassumiamo: nella Premier al Qatar City con vantaggio a doppia cifra lo scudetto non glielo strappa più nessuno; nella Liga, al Real campione ovunque ma non in Spagna, dopo la batosta casalinga, manca passa più l’idea di rinnovare l’obiettivo scudetto per il campionato in corso; in Bundes, primeggia come al solito il solito Bayern; in Francia, al Qatar Psg mancano ( addirittura) avversari.
Morale: quattro ( dei cinque) acclamati campionati continentali sono già stati depositati ( con stucchevole anticipo) sotto l’albero di Natale, alla faccia ( ovviamente) degli infiniti esterofili che ci ammaniscono continuamente, ad ogni piè sospinto, quanto siano più belli i giardini degli altri rispetto al nostro.
Il nostro, però , che è tutt’altro che deciso. Visto che il Ciuccio non molla e la Lupa ( pur sbagliando a iosa) non intende alzare bandiera bianca. Resta in lizza anche l’Inter cinese, improvvisamente (ri)scomparsa, dopo avere illuso mare e monti per l’aver trovato valido accesso ad una nuova vita. La Beneamata, infatti, al momento, resta quella di sempre; e pur senza Coppe, continua a ribadire pregi e difetti suoi. Così, di certo, non va da nessuna parte, tanto meno resta in lizza per lo scudetto, che per lei sarebbe il 19°, ovvero due passi sotto la seconda stella. Ma tant’è.
Per le altre news di sport bisognerà attendere il nuovo anno.
Onde chiarire tante cose. Ad esempio la nostra spedizione alle Olimpiadi della neve e pure l’intenzione della ’rossa’ se restare o meno in un agone motoristico che qualcuno, Oltreoceano, vuol trasformare in un circus delle meraviglie alla stregua del Buffalo Bill Circus di storica memoria.
Ben fa quindi l’uomo col maglioncino blu a cantargliele chiaro e forte, anche perchè di ‘bidonicini e bidoncetti’ la ‘rossa’ ne ha avuti abbastanza. E senza rispetto alcuno. Toto, che di queste cose se ne intende, dice: ” Ragazzi d’America, non scherzate con il fuoco!”.
CHI BATTE E CHI NO. Batte un colpo ( in Coppa) la Joya, riappare il Balo, ha ripensamenti il Bonucci, fuoriesce dalla tomba il Berlusca nel mentre l‘Inter sogna rinforzi, la Roma viene sbattuta fuori di Coppa dal Sinisa e il Della Valle ( pur giurando eterno amore per la Viola) annuncia il suo non ritorno allo stadio. Che dire? Carne sul fuoco non manca, anche se alcune di queste ( si fa per dire) news sono poco o nulla accattivanti.
Sulla Joya speriamo che lui ( e il suo fratello agente) capiscano che non è che ad ogni piè sospinto si possano puntare i piedi e minacciare di alloggiare Altrove. Un giovane che lascia la Juventus va (solo) perdonato perchè non sa quel che fa. Si dia intanto a tempo perso una bella occhiata attorno e valuti quanti in Europa possano offrite tanto quanto la Signora: le squadre di Stato in Francia e Inghilterra? Che basterebbe mettere sotto ( giusta) inchiesta per rintracciare donde arrivano tanti danari a dismisura da convogliare su questo o quel presunto o vero campione tanto per far suonare la grancassa dei media qua e là pel Mondo, per capire quanto questa sia gloria fittizia?
O comunque, che poco o nulla ha a che fare con il vecchio e caro mondo del pallone. Sul Balo e il Bonucci, poi, men parlano meglio è. Facciano di discrezione la loro maggiore virtù. Sul Berlusca, inoltre, sarebbe ora che invece di continuare a fantasticare da tecnico, spiegasse chiaramente a tutti come ha fatto a lasciare in così tanto affanno il suo ( ex) amatissimo Milan. In drammatica difficoltà, certo, anche se Umberto Lago, 53 anni, ex presidente della Camera del Financial Control Uefa, assicura: ” Il piano rossonero è solido, e andava fatto passare“.
Sulla Roma, invece, potremmo chiedere più attenzione, perchè distrarsi quando occorre fare gol può significare tanto. E non solo l’indolore uscita dalla Coppa Italia. Al Della Valle, infine, consigliamo di smetterla di prendersela con quelli di Firenze ad ogni levare di vento contrario: quelli del giglio, infatti, sono così da tempi immemorabili. Pensi cosa avrebbe dovuto borbottare il più grande poeta dell’Occidente ( non solo) cristiano quando lo braccavano per portarlo a morte a causa d’un reato tutto da dimostrare? Oppure, quel genio universale del Leo, che nella sua città ha rischiato ( davvero) di fare una brutta fine?
ULTIME. Alcuni risultati della XVII Giornata: Inter-Udinese 1-3; Torino-Napoli 1-3; Roma-Cagliari 1-0; Verona-Milan 3-0; Bologna-Juventus 0-3. Primi risultati anche dalla Coppa Italia.
Non se la sta cavando male manco la Roma, passata in extremis a Cagliari, ma pur sempre col fiato sul collo delle prime e una partita in meno. Sul ( caro) tema nuovi stadi, è stato annunciato che il Cagliari ha selezionato tre progetti, da presentare all’autorità preposte all’inizio della prossima primavera. Anche la Viola sembra intenzionata a rifarsi casa un tre o quattro anni. Sarebbe un bel gesto d’amore, e di lungimiranza, questo, per la città del Giglio.
VEDERCI CHIARO, GIUSTO! Ce l’avessero chiesta, la news, modestamente, gliela avremmo anticipata con qualche buon risparmio di risorse singole e collettive. Ci spieghiamo: che il Gigio fosse stato ( si fa per dire) venduto fin dalla scorsa estate ad una spendacciona dell’Altrove lo avevamo capito. Il suo cachet è ghiotto. Il problema semmai era quello di ‘ calmierare’ nel modo giusto i tifosi cercando di attutirgli un colpo duro da ricevere, soprattutto nell’orgoglio di una squadra che ( al momento) avrà anche meno danari di altre ( chissà perchè non afflitte da fair play finanziario) ma ( soprattutto) una storia agonistica-sportiva unica e ( forse) irripetibile.
Che un giovane di belle speranze lasci un Milan per andare a costruire il suo avvenire alla QatarPsg ( forse) lo può spiegare solo uno di quei sempre più avidi factotum che, ultimamente, hanno preso in mano le redine della cassa calcistica europea e mondiale, disponendo e progettando a piacimento loro perfino il destino di società che hanno fatto ( e fanno) la storia e l’attualità del pianeta calcio. Soldi a fiumi, che vanno a finire chissà dove, di certo non a migliorare il mondo da cui lo prelevano, e senza che uno straccio d’autorità che si ponga seriamente il problema dando avvio ad un provvidenziale e sistematico controllo dell’intero fenomeno.
Nessuno. O quasi, che si sappia. I controlli sulla ( odierna) proprietà Milan sono sacrosanti, tutti vogliono vederci chiaro, ma ci chiediamo se siano fatti con lo stesso rigare anche in squadre o ( eccessivamente) spendaccione o finanziate da risorse non provenienti dal mondo del calcio. Il sospetto che qualcuno abbia ( artatamente) creato squadre di stato anche nel calcio non è peregrino. Tutt’altro.
Basta avere il coraggio di tirare fuori qualche ‘ manneggio‘, qualche ‘ bilancio’, o anche solo qualche ‘domanda‘: come si può valutare infatti un solo giocatore, manco determinante tra l’altro, centinaia e centinaia di milioni, oltre ogni rischio, oltre ogni logica, impunemente? Regole di mercato? Quale mercato? Piuttosto, non avrà ( forse) il mercato preso il posto di colui che l’uomo e il suo mondo ha creati? Immutabile, fino all’autodistruzione?
Sembrerà strano, ma in questo mondo può accadere che anche partendo dall’umile argomento di sport ( o di calcio) si può arrivare dove men si può immaginare. E tuttavia converrà che qualcuno, anche partendo dal caso dell’imberbe Giogio e del suo navigato procuratore, possa salire un gradino sopra la banalità e tutelare uno svago sacrosanto che per attecchire nelle persone, e fin da piccoli, chiede tutto fuorchè il ‘ vil danaro’.
E mentre si ciacola, il Diavolo ha lasciato le sue penne anche a Verona, fino a domenica scorsa penultima in classifica, con 10 punti. Qualcuno ha inteso la sconfitta quale ulteriore atto di bontà meneghina nei confronti delle ultime del Campionato. Prima in Benevento, poi gli scaligeri. E questo ci può stare, soprattutto in clima natalizio. Il problema semmai è che ancora una volta chi lo dirige non deve avere azzeccato mossa alcuna. Ci sta che il buon Montella non dovesse proseguire oltre in un rapporto ( forse) più grande di lui; ci sta anche che si tenti con una bandiera di lungo corso come il Ringhio.
Il problema è che manco la ricetta di Gattuso sembra quella giusta per riportare l’ex squadra più titolata al mondo ( 5 Champions, 18 Scudetti) ai suoi fasti. Nell’impresa calcistica servono fame, servono grinta, d’accordo, ma non bastano. Perchè all’anima vanno sempre accompagnate le idee, che in quella squadra latitano. Chiaramente. Adesso poi che il suo ‘unico pericolo’, Suso, è stato ingenerosamente cacciato da un arbitro troppo zelante, non c’è che da attendersi il peggio. Il peggio in campo, dopo quello fuori campo decretato da una Uefa pronta a colpire chi ‘ peggio sta’ e a sorvolare su ‘ squadre di Stato’ che se la stanno bellamente spassando ( in Francia e Inghilterra) con risorse tutte da controllare.
La gettiamo lì, da profani del divano: e se l’unico a risolvere i problemi del Milan fosse ( ancora una volta) il ( risorto ) Berlusca? Ovvero colui che, da eterno demiurgo, ha cacciato in questa situazione il suo ex amore abbandonato?
LE FRASI CHE COLPISCONO. Capita di ascoltare spesso frasi interessanti alle quali, difficilmente, dare risposta. Ne abbiamo raccolte alcune, spaziando su temi e personaggi diversi. Par conditio.
* ( 17 dicembre) Dybala ancora in panza. Allegri commenta “ Dipende da lui“. Noi invece aggiungiamo: non è detto che essere bravi voglia dire anche essere fenomeni. Bravi si diventa, fenomeni si nasce. In pratica, il tecnico ci par voglia dire al suo giovane giocatore: qui hai tutto quanto ti serve per esprimere al meglio quanto Madre Natura di ha concesso. Rimboccati le maniche e datti dare. Se poi credi poi che andando Altrove tutto ti diventerebbe più facile fai pure. Accomodati. Noi ti saremo sempre riconoscenti per quanto hai fatto da noi.
* Il Milan ’ affamato’ del Ringhio era volato a Verona per svoltare. Il problema è che non solo non ha svoltato ma si è pure ( ulteriormente) infognato. Ora il Ringhio non fa altro che urlare al vento: ” Serve fame, dobbiamo invertire la rotta”. Per quel che ci riguarda, anche qui, appaiono sacrosante le parole della vetusta bandiera milanista. Sacrosante, e basta, però.
Perchè ( anche) qui il problema non è quello di fare venire l’appetito ( calcistico) a qualcuno che benchè imberbe è già sazio, ma quello di ridare anima, senso, valore a colori dall’antico e tuttora non scalfito prestigio mondiale. Non è cosa che scaturisce da un’ora altra. E soprattutto bisognerebbe chiedere al sor Berlusca, demiurgo dell’indecrifrato closing, come tirar fuori la sua ex amata da una situazione che vede come responsabile principale proprio lui. Il sor Berlusca.
* Andrea della Valle lamenta: “ Viola da Europa, ma non tornerò allo stadio”. Noi invece al Della Valle consigliamo di smetterla di prendersela con quelli di Firenze ad ogni levare di vento contrario: quelli del Giglio, infatti, sono così da tempi immemorabili.
Pensi cosa avrebbe dovuto borbottare il più grande poeta dell’Occidente ( non solo) cristiano quando lo braccavano per portarlo a morte a causa d’un reato tutto da dimostrare? Oppure, quel genio universale del Leo, che nella sua città( se non se la dava a gambe levate) rischiava ( davvero) di fare una brutta fine?
PARADISI LONTANI. Il giovane Jakub Jankto, 21 anni, riposizionato nel ruolo di mezzala grazie all’intuito di Oddo nuovo mister friulano, sogna la Premier. Dall’infanzia, dicono. Per cui non vede l’ora di partire. Di lasciare il Friuli, Udine, col suo nuovo bel stadio, e volare via. Verso l‘Eldorado evocato giorno e notte dai nostri anglofili, e nonostante che le cose stiano rapidamente cambiando sotto gli occhi di tutti. E in ambiti diversi.
Vero è infatti che, al momento, Albione incassa ( sopratutto dai diritti televisivi esteri) cifre incredibilmente lontane dalle nostre ( oltre 1 mld contro i ca 180 mln nostrani), che i suoi stadi sono più moderni ed appetibili e che la sua visibilità calcistica ( grazie anche alla lingua) sia ( effettivamente) planetaria. Altrettanto verò però è che stiamo risalendo. Lemme lemme, ma significativamente.
Intanto negli investimenti ( c.a 1 mld) , poi nella visibilità e negli introiti televisivi (anche ) esteri ( l’ obiettivo futuro sale a ca 300 mln), negli impianti ( Udine ne è un esempio) e nel ( famigerato) ranking Uefa ( al momento terzi a 3,5 punticini di distanza dagli angli, colmabili). Non stiamo andando male manco sotto l’aspetto agonistico.
Nel proseguo di Coppa, guarda un po’, le nostre saranno sei ( due in Champions, quattro in Europa ) come le inglesi ( cinque in Champions, una in Europa). Eppoi, se vogliamo dirla proprio tutta, è ora che ai tanti ‘quaqquaraqquà’ che affollano i media venga instillato ( almeno) il dubbio se sia o meno ( e per davvero) il nostro un torneo tanto negletto, al punto, caso fosse, non è dato a sapere, da spingere giovani come Jakub a by-passarlo per andare a pigiar erba in un altro campionato e che ( alla prova realtà) potrebbe anche non risultare quello pubblicizzato, nonostante quanto gli si vada tuttora ampiamente elargendo.
Anche perchè il nostro Campionato ( sogni a parte) è tornato ad essere l’unico non deciso ( o quasi) prima ancora di Natale. Segno di credibilità, si diceva un tempo. Infatti, dopo la vittoria ( 2-1) nel derby concittadino, al Manchester Qatar-City ( ora con 11 punti di vantaggio sui rivali) manco uno tzumani potrebbe strappargli un titolo già ficcato in tascoccia; stesso discorso va fatto per la Bundes, eterno feudo Bayern nonostante qualche ‘sceneggiata’iniziale; e pure per la Ligue, neo campo di conquista della squadra di Stato ( ubicata in Francia) detta Qatar-Psg. Un piccolo dubbio resta per la Liga, ma è cosa da poco, visto che tra le due ( solite) contendenti al titolo scorrono ( al momento) distacchi oscillanti, mediamente dai 6 ai 10 punti, voragini ( storicamente) difficili da colmare, anche per il Real delFlorentino, vincitore di tutto.
A proposito di rimonte, forse non a tutti sono note alcune cifre ( fonte ‘Corriere della Sera‘, a firma Alessandro Bocci) riferibili in ispecie al Derby d’Italia, tra l’altro finito 0-0. Mantenendo tutti sulla storica disfida per lo Scudetto col fiato in sospeso. Come tosto campionato comanda. Ebbene, qui, il fatturato Juve è ( ora) in linea con quello dei grandi club europei, Real, Barca, United: 562 mln nel totale. Inoltre l’utile di bilancio, il terzo consecutivo, si conferma superiore ai 40 mln ( 42,6). Notevole. Mentre all’Inter i numeri restano ( al momento) più bassi.
L’ultimo fatturato infatti ha superato i 300 mln ( 318,2), 32,7% in più rispetto a quello di due anni fa. Con l’Europa potrà avvicinarsi ai 400 mln, mentre le perdite sono state sensibilmente ridotte. Nell’ultimo bilancio infatti ammontano a 24,6 mln, pienamente in linea con i criteri del fair play finanziario.
Morale: allo Juventus Stadium per celebrare l’ennesimo, coinvolgente e ( non ancora) decisivo Derby d’Italia, sono scesi sul campo circa 900 mln di euro, cifra che con le aggiunte dei bilanci dell’anno in corso potranno varcare per il derby di ritorno la formidabile soglia del miliardo ( sempre in due). Più che un auspicio, questo, per il prossimo Derby d’Italia, che dovrà disputarsi a San Siro, magari con uno scudetto bell’e pronto ad essere cucito addosso sull’una o sull’altra maglia. Però in primavera, e non alla vigilia di Natale.
SITUAZIONE COPPE. Il nostro calcio peregrino ed umiliato cerca di rialzare il capoccione. Partendo da quel che gli è rimasto, ovvero le Coppe europee donde ( dopo anni) la Uefa è tornata ad attribuire ( dal 2018 ) all’Italia quattro squadre Champions ( senza i terribili preliminari) e tre Uefa. Diciamo che anche il ranking in questa ci sta premiando, visto che ( a fine novembre) restiamo avanti ( per il terzo posto) alla Bundes ( d’un punticino) e arretriamo ( per il secondo posto) di qualche incollatura dalla Premier ( 3,5 punticini ).
Al momento loro ne hanno confermate 6 ( su 7, con 5 Champions e una Europa) e anche noi sei ( 2 Champions, quattro Europa). Basterebbe dunque conseguire una buona annata e, angli e todeschi permettendo, potremmo rimetterci alla caccia del vertice Uefa. Non male dopo un lungo, insopportabile battage che tende a collocarci sempre e comunque tra gli infimi della Terra, pure nel calcio, è ovvio, dove poc’ oltre un lustro fa ci concedevamo ( Inter) un memorabile triplete.
E comunque, le nostre, nei gironi di Coppa, sono andate niente male: promosse Roma ( prima nel girone) e Juve ( seconda) con bocciatura del Napoli ( sedotto e disilluso dal ‘generoso’ Guardiola, e costretto a precipitare in Uefa) ; promosse ( con anticipo) le tre di Uefa ( Milan, primo (nonostante la debacle a Fiume); Lazio, prima ( nonostante il flop con lo Zulte) ; Atalanta, prima (con esemplare vittoria sul Lione). Un bel vedere.
Sì, nell’insieme. Col rammarico tuttavia dell’impresa mancata dal bel Napoli di Sarri in Champions che andando avanti così, diciamo alla zemaniana, con tanti complimenti e poco fieno in cascina, non potrà che restare ai margini del buon momento che stanno attraversando in Europa le squadre italiane .
SORTEGGI OTTAVI DI FINALE
CHAMPIONS: Juventus-Totthenam, Roma -Shakhtar. Chelsea-Barca, Basilea-City, Porto-Liverpool, Siviglia-United, Real-Psg.
EUROPA LEAGUE. Atalanta-Borussia D., Milan-Ludogorersts, Lazio-Steaua B., Napoli-Lipsia.
GLI STADI DELLA LUPA E DELLA DEA. Hip hip hurrà, lo stadio si farà! Le possibilità infatti sembrano sempre più concrete, dopo che con il Governo si sono mossi anche comune di Roma e regione Lazio, giustamente, mirabilmente, per realizzare di un impianto sportivo che consentirà di ricollocare nella modernità (oltre al calcio ) anche Roma e l’intero movimento sportivo nazionale.
Parliamo ovviamente dello stadio di proprietà Roma.
Che ha ottenuto gli ultimi attesi nullaosta, dopo un iter burocratico avviato circa sei anni fa, e che forse già dalla prossima primavera permetterà di cominciare a scavare le prime fondamenta. Perfino Raggi, la giovane sindaca di Roma, dopo la imperdonabile, enorme, scappellata olimpica, sembra aver capito che lo sport, il calcio, a Roma, in Italia, non è l’ultima ruota del carro.
Lo sport ( il calcio) come poco altro ( nonostante folle di sfigati e bastian contrari di mestiere avversi ad ogni progresso) coinvolge milioni di persone, unisce, crea situazioni socio-culturali che ( se ben gestite) possono risultare provvidenziali per il buon vivere. Inoltre lo sport, e il calcio in questo caso, possono contribuire significativamente alla ripresa economico-sociale del Paese attraverso impianti ( potenzialmente in grado, indotto compreso) di creare migliaia di nuovi posti di lavoro. Come sarà attorno e per lo stadio romano.
Al contempo l’Atalanta (Dea) che vola in Europa impartendo lezioni pure ai maestri inglesi, avrà presto una sua nuova e accogliente casa. Lo ha annunciato il presidente Percassi. Nel 2020, all’interno dello stesso spazio di circa 6 ettari oggi occupato dall‘Atleti d’Italia, nascerà una nuovo impianto. Avveniristico, da far invidia.
E che cambierà nome ( conseguentemente all’accordo col nuovo sponsor, che sarà annunciato a breve), ma che si trasformerà in un gioiellino di cui andare fieri. La capienza salirà a ca 25 mila posti, tutti a sedere e coperti, con curve rialzate e pubblico sempre più vicino ai giocatori. ” Confermo: sarà una struttura europea- commenta con soddisfazione il presidente Percassi - ; europea come la mia Atalanta“. E ora sotto col prossimo impianto. Che dovrebbe nascere a Cagliari. Nell’attesa di notizie all’altezza dell’argomento anche dalla nobile sede di San Siro, contesa tra due regine. Non è che l’Itala truppaglia si è rimessa in moto?
ALTRE DALLA CRONACA.
Infine, un richiamo sulla Russia del doping, estromessa dall’Olimpiade invernale. Una catastrofe. Il problema resta però quello che ci angustia da decenni: la malapianta della disonestà sportiva ha radicato soltanto al gelo delle steppe o anche in qualche altra intoccabile plaga del Pianeta? Magari su qualche isola, o in qualche sport protetto, dove continuano a sfoggiare erculei eroi e corridori indefessi pronti però a ‘ sgonfiarsi‘ al primo vero colpo di vento? O meglio, al primo vero sistematico controllo?
LA RIFORMA DEL CALCIO. Mezza serie A, quella riformista, sta serrando le fila. L’obiettivo è evitare il commissariamento, ma per farlo correrà procedere ( piuttosto velocemente) a rinnovare gli organi di Lega. Si fanno alcuni nomi, inediti. Un’accoppiata presidente-amministratore delegato darebbe forma ad una nuova governance, d’impronta manageriale, da completare con i consiglieri federali ( Marotta in pole) e i consiglieri di Lega.
In primis andrà ritoccato quel ( ridicolo) 12% della serie A contro il 34 dei dilettanti. Eppoi, bisognerà, alzare lo sguardo e guadare lontano. La Premier League, così come la conosciamo dal 1992, si separò a suo tempo dal campionato organizzato dalla Federazione e fondò un torneo tutto suo. Con grandi risultati economici. A partire dal reso dei contratti tivù, sopratutto sulle piazze estere, con ricavi odierni da far rabbrividire. Insomma, ora, la Premier League è una società per azioni privata, straricca, e legata da un contratto di servizio alla Football Association.
Riusciremo noi a fare altrettanto? Difficile a dirsi. E a farsi. In un Paese in preda alla demagogia e alla incompetenza. Certo è che quella miseria di ricavi nella vendita del nostro calcio all’estero ( qualcosa come 180 mln ca nostrano contro un miliardo e passa degli Angli) va assolutamente fatta sparire. Il nostro negletto calcio ha bisogno di danari se non altro per dotare le squadre delle città maggiori (e minori ) di impianti ( leggi stadi e non soltanto) e vivai all’altezza del presente-futuro; danaro che è possibilissimo ricavare.
Visto che, nonostante gli esterofili e i menagrami ad oltranza, produciamo ‘ un prodotto‘ assolutamente unico, all’altezza altrui, ben carico di storie e di interessi variegati. Il tutto senza manco aspettare le calende greche.
FATECI NUOVI STADI. Sottoscriviamo il testo diffuso a pagine intere da Sky per salutare il nuovo inizio del calcio italiano. ” E’ il momento. Sono grato della fiducia che tutti ripongono in me, fiducia che però io non merito, perchè da solo non sono niente. Pronti a dare tutto, ce ne sono tanti come me: dieci, trenta, centomila. E cresceremo ancora. Qualcuno proverà a dividerci, ma si ingannano se pensano di riuscirci. Perchè noi siamo destinati a fare grandi cose“.
( Giuseppe Garibaldi, giorno di Pasqua 1861)
LE NOSTRE TRE TRE. In Champion passano in due, in Europa League invece tutte promosse. Le nostre tre-tre . In questo turno volta con più luci che ombre.
La nostra maxima rappresentante, la Signora di Torino, in Champions ( nonostante il passaggio del turno in extremis ad Atene) continua a balbettare discorsi non sempre connessi, evitando di mostrare quella continuità di attributi che dovrebbe collocarla stabilmente e senza patemi tra le top del Vecchio continente calcistico. Del resto che volete? Gli si accende a luce alternata il Pipita, non diventa definitivamente adulto il Dybala, invecchia inesorabilmente il mitico muro. La Roma, invece, dopo il penultimo passaggio a vuoto, ha (forse) trovato il modo di liberarsi per sempre in Coppa degli atavici complessi d’inferiorità. Speriamo.
Un segnale negativo ce l’ha ( inaspettatamente) inviato il Napoli, il bel Napoli di Sarri, ogni volta carico di tanti elogi ma poi con scarso bottino nel tascapane, sconfitto da una modesta d’Olanda e retrocesso in Uefa League. Peccato per lui, e soprattutto per i tifosi napoletani e inoltre per il ranking Uefa. Sei passaggi di girone ( tre in Champions, tre in Uefa) ci avrebbero fatto carne e sangue.
Hanno superato l’ Europa League oltre previsione Milan, Dea e Lazio. La Dea, addirittura, è andata ad impartire ( una volta tanto) lezione di calcio anche in Albione. Convincente, inoltre, ha volato l’aquila biancoazzurra. Mentre per il Diavolo, restano in sospeso i soliti ultimi inquietanti discorsi. Con l’Austria Vienna ( 5-1) ha avuto vita facile, collocandosi in vetta al suo girone, ma primeggia solo con i viennesi o anche con altri? Intanto le voci extra campo volano oscure e minacciose. I tanti dubbi sulla nueva proprietà cinese ( regia Fassone) non convincono i più. Che ci sia dietro all’oscuro passaggio rossonero, forse, forse, manco più Berlusca, il demiurgo Berlusca, può spiegarcelo.
INCONTRI DI CHAMPIONS. Gruppo C: Roma ( prima) e Chelsea ( secondo) ; Gruppo D: Barca e Juve qualificate nell’ordine; Gruppo F: Napoli bocciato.
CLASSIFICA UEFA LEAGUE. Gruppo D: Milan ( prima del girone) , punti 11; Gruppo E: Atalanta 10 punti; Gruppo K: Lazio( prima dl girone) punti 13 : tutte e tre qualificate.
Avrebbero dovuto passare in sei e per il nostro ranking Uefa sarebbe un gran colpo. Probabile a questo punto che le inglesi ( e non le tedesche) si avvantaggino di qualche altro punticino.
CAMPIONATO DI CALCIO SERIE A.
TURNO 19a GIORNATA.( venerdì 29 dicembre) Crotone-Napoli ( ore 20,45); ( sabato 30 dicembre) Fiorentina-Milan ( ore 12,30), Atalanta-Cagliari ( ore 15), Benevento-Chievo, Bologna-Udinese, Roma-Sassuolo, Samp-Spal, Torino-Genoa, Inter-Lazio ( ore 18), Verona-Juve ( ore 20,45).
CLASSIFICA 18a GIORNATA. Napoli 42, Juve 41, Inter punti 40, Roma 38, Lazio 33 , Samp 27, Atalanta e Milan 24, Fiorentina 23 ( da completare)
MARCATORI 18a GIORNATA ( arretrata ) : 17 reti Icardi ( Inter); 15 Immobile ( Lazio); 12 Dybala (Juve); 10 Mertens ( Napoli).
COPPA ITALIA 2017/2018. Qualificate: Juventus-Torino ( andata 31/01/2018) Napoli-Atalanta, Milan-Inter ( andata 31/01/2018) e Lazio-Fiorentina.
ARGOMENTI ( NON SOLO) DI SPORT
GLI ALTOATESINI. Gli austriaci, da provetti europeisti, entrano a gamba tesa sugli affari internazionali. Il neo esecutivo guidato dall’imberbe Sebastian Kurz ( in mancanza d’altro) ha rilanciato la vecchia questione della cittadinanza austriaca ai cittadini altoatesini appartenenti al gruppo linguistico italiano. Praticamente per concedere una sorta di doppio passaporto, già dal prossimo anno o a partire dal 2019. Con quale fondamento non si sa, ma con i capi popolo che imperversano nella Vecchia Europa tutto è possibile. Saranno esclusi i trentini.
Il problema però è ( soprattutto) questo: ( ammesso e non concesso che tutto sia in regola) che convenienza avrebbero gli altoatesini ad unirsi all’Austria? Intanto sdoganare la cittadinanza su base etnica avrebbe un effetto dirompente su altre zone d’Europa, i Balcani ad esempio, eppoi resterebbe un pericoloso precedente di cui in tanti potrebbero approfittare. A livello pratico i benefici la regione tedescofona ha ottenuto nel tempo più di qualsiasi altra regione italiana.
” Hanno spremuto l’Italia – per citare Siegfred Brugger - più d’un limone, fino all’ultima goccia”.
Oggi gli altoatesini vantano un reddito pro capite intorno ai 42mila euro, ben superiore a quello degli austriaci fermo a 39 mila euro. Altri vantaggi veri o presunti non sarebbero poi nè tanti, nè significativi. Quelli che potevano ottenere li hanno già. Lasciamo inoltre a parte spese ed appannaggi vari. Infine ” E se fosse ‘l’ Italia - si è chiesto l’ex presidente del Parlamento austriaco Andreas Khol - a togliere la cittadinanza italiana a chi ottiene quella austriaca? Che succederebbe?”. Nuovi capi popolo in arrivo, dunque, agli orizzonti non più tersi della sempre più cupa ( e retrograda) Europa. Vedremo. Purtroppo, non basta quanto va succedendo che s’avverte anche il bisogno impellente d’un ritorno ai secoli andati, con altro spezzatino etico-linguistico quale soluzione innovativa per la leggiadra Europa . Incredibile. Gli altoatesini che parlano tedesco sarebbero, secondo l’ultimo censimento, il 69% per un totale di 330 mila persone.
REALISMO EUROPEO. La ‘rosea’ ha resa pubblica una ricerca condotta dalla Swg ( società certificata dal 1999) sui ‘sogni’ dei tifosi, sognatori per definizione ma che all’occorrenza hanno imparato anche di stare coi piedi per terra, valutando le diverse situazioni possibili col necessario realismo.
Ebbene, che indica la ricerca frutto di interviste realizzate ( ball’interno di un campione di 1000 soggetti maggiorenni residenti in Italia) tra il 24 e 25 ottobre scorsi?
Swg ha preso come punto di riferimento il Real, ultimo campione d’Europa. E ha chiesto ai tifosi ‘ di misurare proporzionalmente il livello di tutte le altre squadre’. Il punteggio maggiore ( 81%) è andato al Barca, considerato ( in genere) alla pari se non superiore ( 26%) al Real. Dopodichè viene collocato il Psg, la spendacciona squadra di stato del Qatar parcheggiata in Europa, a Parigi. La Juventus , prima delle italiche, rientra nelle top 10, con un 44% che la colloca ( almeno) allo stesso livello del Real. A seguire vengono il Napoli ( bastonato dal City, con sette gol in rete nei due incontri del girone) e la Roma ( che invece dapprima ha pareggiato e poi bastonato il Chelsea, campione d’Inghilterra).
Tra l’altro la Coppa dalle grandi orecchie è considerata ormai dagli afecionados la competizione di punta del calcio mondiale. E dunque ancor più appetita del Campionato italiano. Diversa valutazione corre per l’Europa League, considerata ( maldestramente) dai più un vero e proprio ‘fastidio‘. Se non un ’danno‘.
E questo, molto probabilmente, perchè ai tifosi nostrani non hanno ancora ben spiegato quale importanza rivesta il secondo torneo continentale. Intanto perchè favorisce numerose necessità delle squadre ( continuo confronto internazionale, utilizzo di rose spesso esagerate, etc) eppoi perchè attribuisce punti preziosi per la collocazione nel ranking, che è poi quello che assegna o meno i posti validi in particolare per la partecipazione alla Champions. In questo momento l’amabilmente sottovalutato calcio italiano in realtà sta sul podio del ranking Uefa ( terzo), dietro ( d’una inezia alla Premier, seconda) e davanti ( di oltre un punto e mezzo) alla Bundes ( quarta). Autoflagellarsi e autolimitarci, considerandoci più competitivi soltanto dei francesi ( quindi) è come ( al solito) quello strano esercizio di prolungato complesso d’inferiorità sul quale prosperano, da anni, a go go, i tanti esterofili pronti ad elargire ad ogni piè sospinto ( più o meno) dotte omelie al popolo ( bue ) dei tifosi nostrani.
CALCIO RANKING UEFA ( aggiornamento fine novembre): Spagna, punti 98,569; Inghilterra, 72,319; Italia, 68,794; Germania, 67,712; Francia, 53,081; Russia, 49,382; Portogallo, 44,082. Alle prime quattro leghe del ranking vengono assegnate quattro squadre in Champions senza preliminari, e tre in Uefa. Un bel dono di Natale, non c’è che dire, per il nostro calcio. Che dovrà però metterci del suo, positivamente, cominciando intanto ( come hanno fatto Torino, Udine, Reggio e Frosinone e stanno facendo Roma e Bergamo) ad allestire nuovi e moderni impianti, seguendo poi con un aggiornamento tecnico-tattico-agonistico ormai ( assolutamente) indispensabile.
PODIO FINALE MONDIALE F1 PILOTI: Hamilton ( Mercedes) campione del Mondo ( quarto titolo), Vettel (Ferrari), Bottas ( Mercedes).
L’ESEMPIO ( EMBLEMATICO?) DEL SOMMERGIBILE VIGILANT. Avrete nelle orecchie i continue omelie propinate da decenni dai nostri saggi. Per costoro, l’ ameno mondo italico è (ri)colmo di culture da svecchiare, di comportamenti condizionati da una infinità di anacronistici e deleteri tabù ( sessuali in primis), da famiglie che allevano mammoni e non giganti capaci di affrontare da soli le immani sfide del nostro tempo. Avrete, di certo, nelle orecchie.
E se qualcosa dovremmo cambiare a quali altri esempi ( o culture) dovremmo ispirarci? I nostri saggi, in proposito, non hanno dubbi: alla cultura anglosassone con tutti i suoi derivati, figli o figliolini, in Patria ed Oltreoceano.
Lasciando in pace l’Oltreoceano ( soprattutto quello a stelle e strisce) che proprio in questi giorni sta facendo di tutto per farsi odiare dal resto del Mondo, accontentiamoci ( si fa per dire) d’un frammento ( esemplare) di cultura evoluta e senza tabù che ci arriva grazie ad una normalissima news di cronaca.
Fornita ( in ispecie) dal fondino di una rivista mensile di carattere tecnico-specialistico ( Panorama &Difesa, dicembre 2017) che nulla ha a che fare con i periodici dediti agli scandali.
Questa è la news: nove marinai del sottomarino di Sua Maestà britannica Vigilant, sottoposti ad un controllo di routine, sono risultati positivi ad un test sull’assunzione di cocaina mentre erano in servizio; un ‘vizietto’, l’uso di stupefacenti, già noto e ritenuto abbastanza diffuso.
Le statistiche parlano infatti di 63 marinai espulsi dalla Royal Navy tra il 2007 e il 2011 per episodi di droga, mentre nel 2016 il numero dei casi è salito a 80 coinvolgendo gli equipaggi di alcuni sottomarini nucleari d’attacco e personale della base di Farslane, in Scozia, alla quale questi fanno capo.
Tornando al Vigilant, un decimo marinaio è stato accusato di avere avuto rapporti sessuali con una prostituta e di averla poi derubata, mentre un undicesimo è stato sottoposto alla corte marziale per essersi allontanato imbarcato su un volo di linea per rientrare in Gran Bretagna a (ri)abbracciare la sua amichetta.
Ma l’elenco degli episodi di cattiva condotta non finisce qui: il comandante del Vigilant, il 41enne Stuart Armstrong, sotto indagine dall’inizio di ottobre, è stato rimosso per avere intrattenuto a bordo del sottomarino una relazione con uno degli ufficiali sottoposti, la 25enne sottotenente di vascello Rebecca Edwards, mentre il comandante in seconda, Michael Seal ( 36 anni), è stato sbarcato assieme alla 27enne tenente di vascello Hannah Litchfield, ufficiale tecnico d bordo, dopo la scoperta del loro coinvolgimento in una relazione extraconiugale.
La vicenda del Vigilant ha suscitato commenti vari. Che non possono esimersi dal rimarcare la ‘ sregolatezza diffusa regnante a bordo del sottomarino’, indice ( evidente) di un grave allentamento della vigilanza e di una tolleranza ( in qual misura affiorata? ) altrettanto inaccettabile. Le fonti vere di preoccupazione, costumi e tabù ( sessuali o meno ) a parte, sono almeno un paio. La prima: è davvero possibile che un compito di vitale importanza quale l’esercizio della deterrenza nucleare possa finire in mani tanto esplicitamente inidonee?
Il numero dei soggetti coinvolti nel ‘caso Vigilant‘ ammonta ( ufficialmente) a circa un decimo dell’intero equipaggio del sottomarino: una percentuale non di certo trascurabile, e che qualcuno addirittura la ritiene inaudita se si considera che basta uno di questi battelli per scatenare una irreversibile catastrofe mondiale. La seconda: non è che ( mandando in altro loco i saggi) invece di inseguire paradisi inesistenti possiamo tenerci ben stretti ( magari con qualche aggiornamento) i nostri? Quelli domestici, certo, tanto vituperati, donde dalla notte dei tempi si punta ad affetti radicati e certi piuttosto che a rapporti mutevoli come il vento, frutto amaro d’ una sregolatezza allo sbando?
Paradisi disegnati da millenni, e che sono stati l’anima, la carne e il sangue d’ una solidissima visione della vita e della società trasferita, poi, attraverso strumenti e fasi diverse, e sia pur con qualche contraddizione, all’intero Pianeta?
IL DIO DANARO. Il dio danaro s’è impossessato delo sport e ( in primo luogo) del calcio. E se tutto al mondo va misurato con quello, diciamo pure che la nostra Serie A è in chiara rimonta sulle maggiori restanti consorelle europee. La Serie A, infatti, durante questa torrida e lunga estate di calciomercato , ha sfondato il tetto del miliardo; qualche centinaio di milioni sotto alla paperona Premier, la quale però s’avvantaggia sulla Serie A grazie agli enormi introiti dei diritti televisivi esteri ( oltre un miliardo contro i 180 mln nostrani, più o meno); ma molto più in alto di Liga, Bundes e Ligue 1 ( quest’ultima sui 600 mln, grazie alle sparate della squadra di stato del Qatar battezzata, all’uopo, Paris Saint Germain). Dal 2012 la nostra Lega ha triplicato gli investimenti, passando dai 373 del 2012 ai 1.o37 del 2017.
Tra le squadre in evidenza il Milan ( 228 mln); ma anche Roma, Inter, Samp, Toro e perfino il Cagliari non sono stati di certo con le mani in mano. La Serie A sta rimontando alla brutta, su tutto e tutti, e se come si auspica anche gli introiti esteri daranno i frutti sperati non è detto che tra qualche anno ( o mese) diventi proprio la bistrattata la Serie A il campionato più ricco del pianeta. Con qual fondamento e costrutto non è dato a sapere. Cresciamo, alla grande, e questo ( al momento) basta. Speriamo solo che tra tanta grazia non dimentichiamo la sostanza vera, quella di far nuovi stadi.
Saranno afflitti i menagrami, ma andranno in delirio i facitori del libero mercato, i quali, gatton gattone, da gran liberali, stanno giocherellando sui prezzi con inusitata goduria e avidità. Intanto, se Dio vuol, hanno chiuso le porte del Calciomercato. In tutta Europa. Con N’peperempè, Nebbelelè e Coutintino finiti ( o quasi) grazie a centinaia di milioni nelle braccia dei ’poveri fessi’ che gettano dalla finestra soldi altrui. Per costoro il fair play finanziario manco esiste; comprano con tutti gli espedienti del caso, gonfiando qua e deprimendo là, svolazzando come nugoli di cavallette arrivati dalla steppa o dai deserti.
Guarda caso i loro habitat naturali. Dire che il Psg sia una squadra di calcio fa ridere.
Quella è una squadra di Stato, come il City, acquistata e foraggaita da danaro pubblico solo perchè comodo veicolo per portare a compimento operazioni varie. E non sempre chiare. Certo, molti di quei soldi non solo non resteranno nel calcio ( vedi le assurde commissioni a procuratori ultra miliardari) ma voleranno via, qua e là, con destinazioni tutte da (ri)costruire. Il pericolo c’è. D’inflazionare ( o di infettare) il tutto. Non limitatamente al sistema calcio, che nello sport agonistico fa da traino. Alto. Molto alto. La senora Uefa, per caso, dorme?
ARGOMENTI & ATTUALITA’
IL ROMPIBALLE SURGELATO. In casa sua, tra le renne, di buone non ha rimediato nulla, tanto che i suoi lo hanno mandato a rompere balle in Consiglio europeo. E lui, Jyrki Katainen, surgelato finnico doc, vice presidente Ue, non perde colpi nel perseguitare i paesi del Sud, quelli luminosi e caldi, in particolare, la Bella Italia, la quale nonostante ( da qualche tempo in qua) metta in cassa progressi economici sofferti ma significativi ( chiuderà l’anno con +1,6/1,8 del Pil) a lui proprio non quadra. Qualche chiarimento sul comportamento del findus finnico sta giungendo anche dal Nord, anche perchè gli orbi di carattere è bene che si esibiscano in separata sede che in un consesso pubblico.
Il Pil dell’Italia, lo capisca o no Jyrki , cresce come la Francia e meglio del Regno Unito anche se sta sotto di un punticino a Spagna e Germania. Dopo anni di magra, gli spiragli di ripresa sono concreti. Tuttavia, la commissione Ue invierà una lettera all’Italia con richiesta di chiarimenti e impegni in merito alla manovra in corso, paventando una ulteriore interferenza sulla Legge di Bilancio a maggio 2018.
A girare il coltello nella ferita ancora aperta d’un Italia in via di guarigione, è manco a dirlo lui, il glaciale Jyrki , che non crede affatto ai ‘miglioramenti del Bel paese‘. Onde per cui, come un frequentatore di pub intorbidito da fumo e birra, continua a reiterare deliri Vuol vederci chiaro. Nei conti, soprattutto.
” Gli Italiani – sbeffeggia il finnico – devono sapere qual è la loro reale situazione”. ” Sì, certo, ma noi diciamo sempre la verità agli Italiani” gli ha risposto ( piccato) a distanza Sandro Gozi, sottosegretario agli Affari europei. E del resto, a parte gli Jyrki Katainen o i Sandro Gozi che siano, i popoli del Belpaese hanno imparato ormai da secoli a capire da soli dove spira il vento.
Magari ci vanno a spannella, a un pressachepoco, come facevano un tempo gli uomini dei campi o del mare, ma al nocciolo della situazione ci arrivano. Eccome. Stia pur certo il buon Jyrki. Se la nazione andasse male come ( pregiudizialmente) sospetta lui, se lo direbbe da sola, anche perchè non sarebbe in grado di riempire ( quotidianamente) bar, ristoranti, palestre, etc etc. Per credere si disgeli un po’ e la venga in Romagna, mister Jyrki .
IL SOVRANISMO. Il sovranismo, secondo la Treccani, è una dottrina politica che propugna la difesa o la riconquista della sovranità nazionale da parte di un popolo o di uno Stato, in antitesi alle dinamiche della globalizzazione e in contrapposizione alle politiche sovranazionali di concertazione. Ma chi è affetto da sovranismo ai giorni nostri? Guarda un po’ quelli che ( molto tempo fa ) davano ( sostanzialmente) corpo e sangue al vecchio Impero asburgico.
Con adesione aggiornata di Austria, Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia. Costoro, cristiani e riformati che siano, non vogliono sentire parlare di immigrati. Quelli, per gli ex asburgici, caso mai ce ne fossero, stazionassero pure nei paesi donde approdano. Null’altro. A costoro poco importa infatti veder naufragare giornalmente decine, centinaia, di poveri diavoli, tra cui tanti sguardi increduli di bambini.
Per loro una ‘ nazione incapace di difendere i suoi interessi è meglio che scompaia’. Un concetto, questo, chiaramente sovranista e usato in totale contrapposizione con quello comunitario dell’Europa. Insomma, questi signori, peggio ancora di quelli ( infidi) d’Albione, non riescono pensare ad altro che auto conservarsi, proteggersi, guardarsi ( spensieratamente) all’indietro. Pensare poi che questo sia il modo migliore di ‘ difendere i propri interessi per non scomparire ‘ è tutto da dimostrare. Anche perchè chi assicura agli ex asburgici che a dover levare le tende dalla storia non debbano essere proprio loro e non altri i quali la storia, pur con tutte le sue ferite e contraddizioni, le sue porcate e le sue speranze, la storia vera, sanno guardare negli occhi ( intanto) con infinito coraggio e generosità?
EXCURSUS STORICI
MASNADE MERCENARIE. L’origine dei capitani di ventura va ricercata tra i rami cadetti della nobiltà, spazzati via fin dalla nascita nelle rivendicazioni del casato. Alcuni di questi capitani ( o condottieri) arrivarono perfino, fra Tre/Quattrocento, a fondare stati. A certe condizioni resta difficile affermare che i capitani di ventura siano stati la rovina e la maledizione dell’Italia, perchè potrebbe essere vero anche il contrario. Essi si ergono protagonisti di un particolare momento storico, con forza vitale incredibile, grandiosa, al limite del brutale, immagine nuda e cruda del potere militare riflesso sul potere politico. Il capitano di ventura è figura centrale per tre secoli. E in quattro tempi.
Da quello dei ‘precursori’ ai primi significativi rappresentanti ( per lo più al seguito delle compagni straniere calate sulla Penisola); dai capitani dell’età aurea ( per lo più italiani, talvolta fondatori di stati) agli epigoni, quando l’Italia ( insipienza sua) concesse ad altri di trasformarla un campo da battaglia e di conquista, fin al ( definitivo) predominio spagnolo. Il ‘fenomeno‘ trovò una sua prima comparsa ( a partire) da fine Duecento /inizi Trecento allorquando numerose ‘ masnade mercenarie straniere‘ presero l’abitudine a calare in Italia, da sole o a seguito di qualche re o imperatore, voglioso di mettere mano sui tanti tesori del paese ( più bello) e ( più ricco) del Mondo.
Si trattava allora di bellatores, ovvero di soldati di mestiere, in gran parte di bassa estrazione, disposti ad aggregarsi per una impresa che portasse loro danaro e bottino.
Provenivano dalla Germania o dal Brabante, quest’ultimi chiamati ’ Brabanzoni‘; ma anche dall’ Aragona e dalla Cataluna come gli Almogavari o Almovari, che permisero a Pietro d’Aragona di conquistare nel 1282 il Sud d’Italia.
Michele Amari li descrive così: ” Breve saio a costoro, un berretto di cuoio, una cintura, non camicia, non targa, calzati d’uose e scarponi, lo zaino sulle spalle col cibo, al fianco una spada corta e acuta, alle mani un’asta con largo ferro, e due giavellotti appuntati, che usavan vibrare con la sola destra, e poi nell’asta tutti affidavansi per dare e schermirsi.
I loro capitani chiamavansi con voce arabica ‘adelilli’. Non disciplina soffrivano questi feroci, non avevano stipendi, ma quanto bottino sapessero strappare al nemico, toltone un quinto per re.
Indurati a fame, a crudezza di stagione, ad asprezza di luoghi; diversi, al dir degli storici, dalla comune degli uomini, toglieano indosso tanti pani quanti dì proponeansi di scorrerie; del resto mangiavan erbe silvestri, ove altro non trovassero: e senza bagagli, senza impedimenti, avventuravansi due o tre giornate entro terre de’nemici; piombavano di repente, e lesti ritraenvansi; destri e temerari più la notte che il dì; tra balze e boschi più che pianura”.
( PARTE I )
I bellatores, o se si vuole i masnadieri, una volta terminata la spedizione, perlopiù, non se la sentivano di tornare donde erano venuti, anche perchè il Bel Paese era terra troppo ghiotta per mettersi da parte un gruzzolo senza troppo inferire. Restarono, infatti, tutti, seminando lutti e devastazioni, praticamente impuniti. Del resto le rivalità nostre lasciarono campo aperto ad ogni avventuriero.
I nostri capitanei, oggi come ieri, preferivano ( e preferiscono) farsi depredare più che combattere. Ma il ’casino’ diventò tale che qualcuno cominciò a chiedere L’introduzione di una certa disciplina. Pisa, ad esempio, ci provò subito, stendendo un codice apposito per regolare i rapporti con certa gente. Inutilmente, è ovvio. Ma tentò. Si passò allora all’emarginazione, ma anche di questa, quelli, se ne fotterono.
” Che nessuno di detta masnada possa mangiare e bere con alcun cittadino pisano in casa sua o in qualunque altra casa…” recitavano i testi, peraltro impossibili a leggersi da masnade analfabete. I mercenari venuti in Italia nel 1333 al seguito di Giovanni di Boemia restarono quasi tutti nella Penisola; un gruppo si raccolse nel Piacentino, alla badia della Colomba, sotto il nome di ‘ Cavalieri della colomba’, vivendo di rapine, finchè vennero assunti al soldo da Perugia che voleva liberarsi del giogo di Arezzo. Ne compirono, i nostri amici, di tutti colori, eppure grazie a ciò trovano ingaggio presso il comune di Firenze. Diciamo che in questi frangenti non si tratta ancora di vere proprie compagnie. I loro vessilli non sono bandiere ma banderuole. I loro ‘capitani‘, usciti dai ranghi feudali e dai milites, costituiscono uno ‘ strato sociale che gira, con scadenze annuali o semestrali, per l’intera Penisola e l’Italia centrale. Al suo interno si differenzia un circuito guelfo o ghibellino. Il mestiere della guerra viene tramandato di padre in figlio’. Guerrieri, dunque, di professione, ma non ancora dei professionisti. Questi, infatti, al momento, sono soltanto i precursori del fenomeno ben più ampio e disastroso che verrà. E che metterà ai margini, senza lacrima alcuna, quello che era il più bello, ricco ed evoluto paese della Terra.
( PARTE II)
Le cose si complicarono ulteriormente quando assaltarono la Penisola ‘ trascinatori nati’ di truppe mercenarie, come il duca Werner von Urslingen o il conte Konrad von Landau. Essi arrivano nel 1339 per unirsi alla massa di venturieri tedeschi che da più di vent’anni, in gruppi isolati, avevano eletto l’Italia come terra di saccheggio e che, guarda un po’, un italiano, Lodrisio Visconti, radunava nella ‘Compagnia di san Giorgio’.
Le masnade poterono così raggrupparsi, trasformarsi in una prima nefasta grande compagnia, travolta però, non molto dopo, dall’accozzaglia più o meno organizzata di un altro capitano italiano, Ettore da Panigo. Werner, in quella, scelse di proseguire da solo, combattendo al soldi di diverse bandiere in Lombardia e Toscana, finchè non andò a riesumare l’idea di Lodrisio, (ri)proponendo la costituzione di una libera compagnia ‘ per guerreggiare i più deboli e i più doviziosi’.Impose anche una disciplina di ferro. Gli ingaggi ai venturieri davano diritto al soldo, che sarebbe dipeso dall’entità dei bottini che la compagnia riusciva a fare. Si costituì dunque la ‘ Grande compagnia’ al comando, ovviamente, di von Urslingen ribattezzato all’uopo duca Guarnieri, parimenti ad altri macellai stranieri.
La ‘Grande compagnia’ forte di tremila ‘barbute‘, costituita ognuna di un cavaliere e di un sergente, anche lui a cavallo, trovò ‘ richieste di lavoro‘ a volontà. Toscana e Umbria, in ispecie, vennero intinte nel sangue. Devastate senza scrupolo proprio da uno che aveva scolpito sulla sua armatura il suo ideale ” Duca Guarnieri, signore della Gran Compagnia, nimico di Dio, di pietà et di misericordia”. Guarnieri si offriva a chi meglio pagava. Dopo avere fatto guerra ai Malatesti di Rimini passò, molto amabilmente, al servizio degli stessi. Conteso e disprezzato dai ‘ datori di lavoro‘, saccheggiò per almeno due anni la Penisola, finchè i ‘datori di lavoro’ decisero di toglierselo di mezzo versandogli, nel 1343, una grossa somma di danaro a titolo di liquidazione. Lui si ritirò in Friuli.Per quattro anni soltanto, però, perchè già nel 1347 s’era accodato a Luigi I d’Ungheria diretto a Napoli per eliminare Giovanna d’Angiò, colpevole d’avere ucciso il marito Andrea, suo fratello. Quella guerra durò tre anni.
Con enorme prodigarsi della ‘Grande Compagnia’. La quale, una volta dipartito il re d’Ungheria, restò sul posto fiancheggiando il voivoda d’Ungheria rimasto in Italia. La masnada si (ri)prese un ‘periodo di riflessione’ quando il capo nel 1351 si ritirò nella nativa Svevia, colà morendo tre anni dopo. Perchè, a dirla tutta, l’operato della ‘Grande Compagnia’ non cessò con la morte del duca Guarnieri, proseguendo la sua nefasta attività agli ordini di Fra Moriale, che la guidò ora contro ora a favore del pontefice di turno. A decretare la fine della ’Grande Compagnia‘ furono quelli della ‘Compagnia bianca‘ come Albert Sterz e John Hawkwood, inglese italianizzato col nome di Giovanni Acuto.
A quel punto le compagnie create e dirette dai capitani stranieri non si contavano più. Tuttavia, per completare il quadro, occorre non sorvolare sulle compagnie italiane sorte alla stregua delle straniere con truppe e comandanti ( in gran parte) italiani. Famose divennero la ‘Compagnia della stella‘ di Astorre Manfredi e la ‘Compagnia del cappelletto’ di Niccolò da Montefeltro.
E comunque, queste, tutte guidate da personaggi d’estrazione nobiliare ma ( sostanzialmente) di ‘mezza tacca‘. Semmai, la compagnia ‘tutta italiana‘ che segnò una svolta epocale fu senz’altro quella formatasi all’indomani dell’eccidio di Cesena. Si faceva chiamare la ’Compagnia di San Giorgio’ di Alberico da Barbiano. Questa, infatti, ottenne la ( clamorosa) santa benedizione di papa Urbano VI. Con benefici enormi. Alberico da Barbiano ( tra l’altro) apre l’epoca d’oro dei capitani di ventura italiani che subentrarono, nei modi e nei tempi più favorevoli, a quelli stranieri. Le masnade nostrane non nascono però a caso come gran parte delle precedenti, visto che è il capitano a scegliere i suoi uomini. Dal primo all’ultimo. Trasformandosi così da ‘ capitano’ a ’condottiero‘.
( PARTE III)
Tante sono le novità. Come il reclutamento ‘ in massa‘, tra vecchi camerati; oppure ‘ a bandiera’ con uomini da selezionare ed istruire. Tutti, comunque, alle sue dipendenze. Il capitano ( come sopra si diceva) si fa condottiero. Cresce di peso. Le prime condotte regolari risalgono alla seconda metà del Trecento. Firenze fu tra le prime città ad organizzarsi.
Con la creazione di speciali magistrature come quella degli ‘officiali di condotta’ e degli ‘officiali sopra‘, che controllavano ( in particolare) disciplina e armamenti. Si diffusero forme diverse ed articolate di condotta. ( Inizialmente) gran campo presero quelle a ‘ soldo disteso’ ( alla diretta dipendenza d’un signore o di un capitano generale della città); e quelle a ‘ mezzo soldo‘ ( con capitano aggregato ma in posizione sussidiaria, oltre a paga e rischi ridotti). Col tempo i controlli ( e i contratti) saltarono, ovviamente, data la crescente forza d’imposizione dei gruppi armati. Il condottiero era tenuto al rispetto di un periodo di ‘ferma’ e anche ‘ d’aspetto’. Terminato il quale, poteva o rinnovare l’impegno o recederlo. Comunque terminato ’l'aspetto‘ il condottiero poteva andare dove meglio credeva. Anche passando al campo ( fin a poco prima) nemico. Un particolare tipo di condotta veniva stipulato per i mercenari del mare, si chiamava ‘ contratto d’assento’, cioè d’ingaggio di forze navali nemiche.
Genova cominciò a stipulare contratti con mercenari agli inizi del Quattrocento. Così lo Stato pontificio. Venezia invece considererà il contratto ’ d’assenso‘ come un umiliante ( pericoloso) ripiego. Cercò così di evitare mercenari. Ma quanto poteva mettere in tasca un ( buon) condottiero? La risposta ( ovviamente) non è semplice. Poichè come in tutti i rapporti di forza ( e necessità) a fare il prezzo è chi tiene il coltello del manico. Inoltre, pare incredibile, da considerare era anche il pericolo inflazione a cui andavano soggette le monete del tempo, fiorino o ducato compresi. Micheletto Attendolo, cugino di Muzio, nel 1432, incassava da Firenze mille fiorini al mese. Francesco Gonzaga, nel 1505, sotto contratto con il Giglio, metteva in cassa 33 mila scudi annui per una compagnia di 250 soldati; mentre Francesco Maria della Rovere strappò ( al Giglio) oltre 100 mila scudi annui, ma con soli 200 uomini.
In ogni caso, pur fatte anche le debite distinzioni, e adattamenti, si trattava di cachet notevoli. Che impoverivano ogni ora di più le casse di Signorie e Città.
Inoltre, visto che il pollo si poteva spennare con poca fatica, di ‘condottieri‘ ne nacquero tanti quanto i soliti funghi dopo una intensa pioggia d’autunno. Molti di loro diedero vita a dinastie. Anche durature. Visto che, prima o poi, riuscivano ad imporre la forza delle loro armi contro gli improvvidi che li chiamavano ( si fa per dire) al loro servizio. Costoro, poi, quasi tutti venuti dalla gavetta, autentici parvenu, una volta diventati gli unici padroni della situazione, iniziarono bene ad alimentare aloni leggendari. Da ( autentica) grandeur medievale, sulle gesta degli antichi cavalieri o dei più valenti uomini d’arme.
Qualcuno si ripulì la fedina, grazie anche a ( lodevoli) intenti mecenatistici. Ci fu anche chi azzardò atteggiarsi ad umanista, pur restando ( per lo più) ignorante o semianalfabeta. I meglio posizionati non resistettero (perfino) al sogno dell’immortalità. Cosa non difficile a farsi declamare. Visto che nelle loro ( sempre più ricche) case gli adulatori si sprecavano. Nella celebre ‘ Vita Scipionis Jacopo Piccininis’ il nostro condottiero viene paragonato ( addirittura) al vincitore di Zama. Roba da non credere. Roba da ridire. Ma tanto accadde. In epoche lontane. E così via.
( PARTE IV)
La pace di Lodi del 1454, consolidando un temporaneo equilibrio strategico-politico, mette in crisi i capitani di ventura. Chi era arrivato al vertice, resta, ma chi aspirava deve rinunciarci. Sono le invasioni estere a far saltare il banco. Dall’Alpi alla Sicilia. E’ l’inizio della decadenza del paese più importante al Mondo. I sovrani stranieri non s’appoggiano più alle milizie locali, ma reclutano armate in proprio. Capaci di sferrare, al contrario delle altre sul mercato, attacchi micidiali, con armi micidiali. Le artiglierie formano il cuore delle armate di Carlo VIII, Luigi XII , Francesco I, Massimiliano I e Carlo V. Giungono sui campi le colubrine ( sessanta colpi al giorno) con tiro fin oltre due chilometri. E anche il falcone. E poi l’archibugio. Contro queste armi anche la corazza più robusta poco oppone.
I venturieri italiani devono (ri) cedere così il passo ai mercenari stranieri. Come i brutali Lanzichenecchi. Altro non resta, ai nostri, che arruolarsi con gli eserciti stranieri. Diventando, spesso, e nonostante gli ostacoli che dovevano superare, famosi. I loro nomi si ripetono ancora. Ma è vana gloria. Gli ultimi capitani di ventura arrivati (in precedenza ) ai vertici del potere si consumeranno mortalmente in rivalità comunali e familiari. Orsini, Colonna, Baglioni, Borgia e Della Rovere finiranno così per trovarsi su fronti contrapposti in fratricidi combattimenti. Il sangue del Belpaese colerà (ancora) a fiumi. Senza colpevoli, ma solo con tante vittime.
San Quintino di Lepanto, in questo frangente, è una fiammella di speranza, breve, e comunque già parte d’un altra storia.
TIRIAMO LE SOMME. Ci siamo permessi una breve ricognizione storica per evincere quanto segue. Intanto un concetto tuttora chiaro: mercenario è chi presta la propria opera per danaro. Inoltre non sempre un mercenario è anche un professionista. La specializzazione, semmai, arriva col tempo, quando caduti tutti i valori e i sacri paramenti altro non resta che aggrapparsi al danaro. Subito, tanto, non importa se maleodorante o meno. Ovviamente sul mercato c’è professionista e professionista. Del resto gli umani da sempre sono diversi. E tuttavia la stragrande maggioranza dei prestatori d’opera ( cosiddetti) professionali continuano a prediligere ( al di là delle loro buone intenzioni) i danari sopra ogni altra cosa. Questo è certissimo. Ieri, oggi, domani. Di mercenari, professionali o meno, ce n’erano e ce ne saranno sempre. Anche laddove non appare. Visto che sono abilissimi a rigenerarsi e a mimetizzarsi sotto mentite spoglie, ovvio. Oggi di mercenari ne troviamo ancora disseminati qua e là. In gran copia. Impegnati in imprese belliche, ma anche in realtà economico-finanziarie, culturali e finanche in quelle sportive. Ad esempio nell’atletica, dove, che serve continuare a fasciare di colori nazionali individui che a quei colori aderiscono soltanto per ragioni di opportunità ( soprattutto) economica? E in particolare nel miliardario habitat calcistico , dove mercenari vecchi e nuovi sono attratti a nugoli come api dal miele.
Eppure, a ben pensarci, quel calcio vive e vegeta sulla passione spassionata di milioni di individui che una volta affezionatesi ai colori di una maglia le restano fedeli per tutta la vita. Stranamente, a tutti costoro, ora dopo ora, vien chiesto di dar luogo nel loro cuore a soggetti che di quella maglia si vestono finchè non arriva qualcuno a proporgliene un’altra coi dovuti rincari. E questo fanno da mane a sera.
Un giorno li vedi mettere le mani sul cuore di un colore, il giorno dopo ripetono il nobile gesto su altro colore, magari antagonista. E mentre i sudditi del regno di Eupalla sono chiamati ad essere sinceri, devoti, incrollabili; i professionisti possono permettersi il lusso di risultare cinici, imprevedibili, (ri)motivabili. Costoro passan infatti la notte a scrutare l’alba. Situazioni, caratteri, soggetti, questi, tutti ben noti a noi negletti d’Italia, e fin dal lontano passato. Anche se, spesso, ce lo scordiamo.
Per queste ragioni abbiamo cercato di rinfrescarci la memoria con qualche pagina di storia. Anche perchè le cose non sono mai del tutto semplici e definite. Qualcuno dei mercenari storici infatti trovò perfino la forza d’impadronirsi del territorio o della città dove era stato chiamato per proteggerla. Dando vita a Signorie ( o ad altre forme di governo) che, tutto sommato, non son poi state la disgrazia del Belpaese.
Certo sarebbe davvero curioso se un soggetto come certo Raiola da Nocera Inferiore, ex pizzaiolo e al momento dominus incontrastato di tanti veri o presunti campioni, si presentasse al botteghino della storia sportiva odierna per acquistare una società. Anche blasonata. E farsela tutta sua. Libri mastri e soggetti in carico, campo e spogliatoi, maglie e calzettoni, insomma tutto, dal capo ai piedi, ogni vivente e cosa compresa. Come a suo tempo fecero, con le dovute differenze, è ovvio, uno Sforza o un Malatesta o un Montefeltro. Dapprima al servizio altrui e poi padroni assoluti.
Che ridere, e se fosse questo l’avvio del tanto vaticinato Rinascimento del nostro calcio.
I PIU’ CELEBRI CAPITANI DI VENTURA. I nomi ( italiani o italianizzati) di alcuni capitani di ventura sono rimasti scolpiti. Da quelli degli anticipatori del movimento, come Ruggiero da Flor ( 1268 ca/1305), Uguccione della Faggiola( 1240/1319), Castruccio Castracani ( 1281/1328) Cangrande della Scala( 1291/1329); a quelli dei primi, veri, grandi capitani di ventura, come Lodrisio Visconti( 1280/1364), Malatesta Guastafamiglia ( 1299/1372), Galeotto Malatesta ( 1305/1385). Tra i numerosi ’ big’ di Tre/Quattrocento questi, in particolare, hanno acquisito fama duratura: Pandolfo Malatesta( 1369/1427), Muzio Attendolo Sforza( 1369/1424), Gattamelata ( 1370/1443), Francesco Sforza( 1401/1466), Federico II da Montefeltro ( 1422/1482).