Non solo sport. Boban: ‘ Fair play da cambiare. Società come Inter e Milan sono ( chiaramente) penalizzate’.

Non solo sport. Boban: ‘ Fair play da cambiare. Società come Inter e Milan  sono ( chiaramente) penalizzate’.
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LA CRONACA DAL DIVANO.  Due ‘ testimonianze‘, entrambe da non trascurare. La prima è una lunga intervista  sul calcio europeo alla ‘rosea’ del buon Zvone ‘ Zorro’ Boban, croato ex milanista e ora vice presidente Fifa; la seconda, il bel librone  curato da Auro Bubarelli e Giampiero Petrucci sull’ indimenticabile Airone di Castellania, deceduto 59 anni fa.

ZVONE IL CROATO MILANISTA. Zvone  Boban che  del (non breve) passaggio  a Sky ha approfittato per migliorare  il suo primigenio  look fin al punto da far  concorrenza a quegli elegantoni di  Leonardo e Maldini,  non le manda a dire. A nessuno.  Soprattutto a quelli che a vario titolo restano  parcheggiati  nel pianeta  calcio. Oggi come ieri.
E se ora è diventato un alto dirigente Fifa poco importa. Il suo  è il solito approccio concreto, credibile,  attento e senza ipocrisie di sorta. Piace così, insomma, a tutti, anche perchè di gente che vive  di calcio confessando il suo amore  ’ per quel  pallone che rotola sulla verde erbetta di un campetto da gioco‘ , ( abbagli a parte ) ce n’è sempre di meno.
Zvone nel suo excursus con la ‘ rosea’ tratta molti aspetti del calcio milionario d’oggigiorno. Tra l’altro  mette ( finalmente) il dito su quell’assurdo Fair play finanziario che dovendo creare equilibri ha finito col creare ( ulteriori) squilibri. E vistose contraddizioni. Vedi le squadre di Stato qatariote parcheggiate qua e là.

‘ Se non si pongono ( tempestivi ) correttivi al Fair play finanziario –  ammette - Inter e Milan, per citare  due italiane, faticheranno a tornare  al vertice del movimento. Pur essendo giusto vigilare sulla (reale) salute dei club, le norme che  impongono il pareggio di bilancio impediscono  a nuovi imprenditori di fare i necessari investimenti. Con danari freschi.  E mi sembra che Inter e Milan ed altri club  versino ( al momento ) proprio  in questa condizione ‘.

Un avviso? Un auspicio? Un intendimento?  Nel frattempo sulle compagini  qatariote,  ma anche altre  d’oligarca russo o di conte  da Montecristo tutte ( più o meno) operanti nell’ infida Albione, risultano indagini in corso.
Che vogliam sperare non finiscano in cavalleria come quelle, ben più tristi, ben più annose,  sul doping praticato in discipline diverse,   meglio note come Operacion Puerto e volatilizzate  grazie a  ‘magi… strali’ colpi  da  mago Silvan.
 Psg e Manchester City sono ‘ accusate’ di avere aggirato le regole del Fair play finanziario  con  aiuti degli azionisti sotto forma di sponsorizzazioni.  Vedremo cosa rimedierà l’Uefa. Siamo (ovvio) speranzosi. Mentre   non possiamo far altro che (ri)metterci   come il cinesino   sull’argine del fiume  nell’ attesa che passi ( finalmente) il …  cadavere.
Zvone anticipa anche alcune importanti novità sul panorama calcistico Fifa. Intanto, il Mondiale per Nazionali che potrà essere allargato a 48 squadre; eppoi, quello che per club, ridicola esibizione appena aggiudicata al solito Real  che ( anche ) di  ‘ coppe del nonno ‘ ama fare incetta pur di  rimpinguare il suo ( infinito?) palmares.
Zvone oltre ad essersi ricreduto sull’uso del Var, non manca di stigmatizzare il fenomeno del razzismo, più o meno evidente, o manifesto, dolorosamente, in ogni angolo del mondo. Quando gli si chiede qual gioco lo entusiasma di più, cita il ‘ tiki taka‘ di Guardiola al Barca, senza dimenticare, però, come puntualmente fanno i nostri esterofili,  quel che  ‘ lo stesso Pep ha chiarito nel confessare d’avere preso spunto e ispirazione dal ( Milan di ) Sacchi”.  Il Milan, già, che a Zvone resta sempre  nel cuore in posizione privilegiata.

SENZA LA GUERRA CHE AVREBBE VINTO?  ” Penso a quanti Giri, Tour, Mondiali, Record dell’ora, classiche avrebbe vinto Fausto se non ci fosse stata la guerra. Ci rifletto spesso e se il numero che accompagna il nome è a tre cifre quale sarebbe stato il suo senza quella lunga inattività”.  A porsi il quesito è un tale Eddy Merchx, nella encomiabile prefazione al libro di Auro Bulbarelli e Giampiero Petrucci dal titolo ‘ Coppi, per sempre’.

Per chi ( per ragioni diverse)  non è edotto sul quesito bastino poche cifre: Coppi, da Castellania, nasce il 24 settembre  1919. A poco più di vent’anni vince il  primo ( di cinque) Giri d’Italia. Destino vuole però che tra il primo ( 1940) e il secondo ( 1947)  trascorrono sette anni circa. Durante i quali accumula una vittoria nel 1941 e altrettanta del 1942; richiamato alle armi, tra il 1943/1944 finisce prigioniero di guerra. Risale in bicicletta, con Nulli, nel 1945, riportando 5 vittorie. Per rivederlo in piena attività lungo le strade di una Italia distrutta dal trascorso bellico bisognerà aspettare non tanto il 1946 ( 9 vittorie, tra cui la Milano-Sanremo in solitaria) ma il 1947, dove riporterà 12 vittorie, compreso il secondo Giro d’Italia.

Gli è stato possibile andare  al Tour solo tre volte. La prima nel 1949, a trent’anni, centrando la doppietta Giro-Tour; la seconda nel 1951,  l’ annus horribilis, segnato dalla morte dell’amatissimo fratello Serse; la terza nel 1952, per ripetere la doppietta Giro-Tour. La disponibilità di Coppi in bici è pressochè totale. Infatti non c’è specializzazione, percorso, gara dove ( volendo) non riesce a primeggiare. Come passista-pistard tenne per (circa) un ventennio il  record dell’ora, laureandosi inoltre 5 volte campione italiano  dell’inseguimento e due volte mondiale.
Lasciando a parte i suoi avversari che appartenevano all’epoca  dei semidei del ciclismo, e la sua profonda incidenza nella rinascita di un popolo, perchè a leggere queste pagine penseranno altri, basterà concentrasi anche solo sugli anni in cui ha potuto espletare compiutamente l’attività sportiva.
Praticamente dall’età dei trent’anni in su, ovvero, quando per un ciclista s’incomincia ad intravvedere la prospettiva di appendere la bici al chiodo. Cosa, ad esempio, non capitata a Merckx, che il meglio si sè l’ha dato durante la ‘ migliore gioventù‘, ovvero fin  ai 30 anni.

” I paragoni – confessa onestamente  Merckx – non mi sono mai piaciuti … Merckx  più di Coppi? Lui il più grande, io il più forte? Cosa significa ? Nulla. Io volevo solo essere il migliore della mia generazione, Lui, la sua, l’ha stravolta …”.  Forse, qui, a recar lumi, basterebbe Raphael Geminiani, che i due ha ben conosciuto. E Geminiani, si sa, che abbia detto.  Sull’uno e sull’altro.
” Quando Fausto vinceva per distacco – chiosò tra l’altro  Raphael - non avevi bisogno di un cronometro svizzero. Andava bene anche l’orologio del campanile”.

IL GRANDE AIRONE HA CHIUSO LE ALI. Per ricollocare in giusta posizione  il grande campione  nato il 24 settembre 1919 a Castellania e che ha interessato le penne più autorevoli  del giornalismo ( non solo) sportivo,  ( non solo italiano) del Dopoguerra, basti il ‘saluto’ sulle colonne del ‘Corriere’ porto da Orio Vergani, il giorno dopo l’avvenuta scomparsa.

” Milano, 2 gennaio 1960. Il grande airone ha chiuso le ali. Quante volte Fausto Coppi evocò in noi l’immagine di un grande airone lanciato in volo con il battere delle lunghe ali a sfiorare valli e monti, spiagge e nevai?
Fortissimo e fragile al tempo stesso, qualche volta la stanchezza e la sfortuna lo abbattevano e lo facevano crollare a terra, sul ciglio di una strada o sull’ erba del prato di un velodromo: la sua figura sembrava spezzarsi in una strana geometria, come quella di un pantografo, e una volta di più suscitava l’immagine di un airone ferito. Altre volte era l’immagine di una tragica conclusione di caccia.
Quante volte, di lui affranto per la stanchezza sull’ erba, a pochi metri da un traguardo sentimmo dire: «Sembra un cervo moribondo»!
L’ occhio galleggiava immobile, con la pupilla arrovesciata al limite della palpebra: le guance erano scavate, le labbra anelanti per l’amara fatica: le lunghe braccia, le lunghe gambe come buttate là, senza più armonia, scompostamente, in una stanchezza mortale.
La fragilità fu la compagna sinistra di quest’ uomo che per tanti anni sembrò un ragazzo, il ragazzo più forte di tutti, sostenuto da una energia quasi magica, una forza da racconto delle fate. Il trittico su cui poggiava il misterioso ’sistema’ delle sue capacità fisiche – cuore, polmoni, muscoli – nascondeva, quasi invisibile, un punto di estrema vulnerabilità.
Questa era la vulnerabilità dei ragazzi. Coppi era rimasto tale: sembrava si fosse fermato al gradino dei sedici anni: ossa troppo leggere – dicevano: «Uno scheletro in canna» -, nervi troppo scoperti, un ingenuo palpitare dei sentimenti, un difficile equilibrio fra l’anima del ragazzotto di campagna ch’ egli era stato e l’uomo che la vita l’ aveva costretto a diventare.
Un abulico che poteva scatenare fulminei scatti di lampeggiante volontà; un uomo rimasto per tutta la vita stranamente melanconico favorito dalla natura, perseguitato – bisogna dirlo anche se toccò le soglie della più alta fortuna – perseguitato dalla sorte
. Ora che le ali del campionissimo si sono chiuse, non si può non ricordare quante volte la sua carriera e la sua vita stessa corsero il rischio di essere spezzate da quello che si chiama abitualmente un «banale incidente», una caduta come un ragazzo ne fa a centinaia, cavandosela con una sbucciatura ad un gomito o ad un ginocchio.
Mai nella forsennata vertigine della corsa, quando la ruota della bicicletta va saettando a disegnare il filo sospeso fra la vita e la morte sul ciglio di un burrone: ma a metà di una pedalata senza storia, a passo di carovana, a passo di trasferta.
Anche oggi, è un piccolo, misterioso, atroce imponderabile intervento del fato quello che colloca l’angosciosa parola fine alla sua vita. Fausto vinse sempre senza mai sorridere, quasi non credendo mai totalmente in se stesso.
Sembrava sempre soprappensiero: come stranamente e fissamente in ascolto di una qualche voce interna che gli andasse mormorando dentro una incomprensibile parola.
Quella parola segreta non era: ’Fortuna’. La guigne, vecchia parola dei tempi lontanissimi delle antiche corse su strada, ha rotto il filo della sua vita fragilissima, come un piccolo soffio di vento spezza il filo di una tela di ragno coperta di brina, là, sulle siepi invernali del suo paese di campagna”.

(  Orio Vergani,  1960, ’Corriere della Sera’ )

QUEL DECIMO TITOLO NON S’HA DA DARE! Nuovo anno ( non solo di sport),  con  (vecchie ) abitudini e relativi ( vecchi) arnesi all’opera.  Il buon Lorenzo,   trentenne, maiorchino, è ‘ (tra) passato‘ com’ è  noto ( dopo due anni) dalla sella della Ducati a quella della Honda.  Sembrerebbe, a starlo sentire, per via di qualche centimetro in più che non  consentivano, a lui, piccoletto, di dominare a piacimento la terribile Desmo  di Borgo Panigale  per  spadroneggiare come aquila in libero volo  sulle piste del mondo.

Due anni per prendere qualche misura tra lui e una moto  son tanti, ma non per Lorenzo che le sue cose fa e  medita. Compreso la rievocazione  del ’ dream team’ che sarebbe stato partorito  in combutta con l’amico-nemico Marc, proprio per incantare ( come il Real)  negli anni a venire gli appassionati della moto  da corsa sparsi sui cinque continenti.
Dream team’ non nuovo, non inedito, a dir il vero, visto che ( se anche la nostra  memoria non inganna)  ha avuto debutto già qualche anno fa. In particolare, su quella pista dove lui e l’altro, come ‘bravacci’ di manzoniana memoria, si sono infilati nell’agone gridando ai  ( tanti) Don Abbondio ( italioti compresi) colà presenti:  “ Questo (decimo ) titolo non s’ha da dare!”.
E se in sede d’auspicio qualche nota stonata (purtroppo) non manca, quelle intonate sembrano ( ampiamente)  compensare il conto. Quelli che non guardano solo ai (tanti)  danari e alla (facile) gloria. Quelli che se si turano il naso sul doping è perchè vorrebbero vedere competizioni credibili e pulite in ogni agone sportivo. Quelli che prima di sputare sul loro piatto voglion sincerarsi che anche in Altrove  non si giochi all’inganno. Del resto siam figli d’un piccolo, curioso, geniale Paese, che tanto ( soffrendo) ha dato al M0ndo che fatica ad aprire porte e finestre al primo arrivato.

ALTRE. Per non affannarci inutilmente lasciamo da parte politica, cronaca di qualsiasi colore essa sia, ( certi) personaggi. Torniamo a rallegraci con lo sport. E le sue aspettative. Per il calcio, l’amato calcio, oltre al fondamentali problema nuovi stadi, c’è una pattuglia italiana che per una inezia non s’è insediata al vertice del ranking Uefa.
In Champion ci sono rimaste la Signora e la Lupa, con la prima ( pericolosamente) indicata tra le papabili alla Coppa dalle grandi orecchie. Pericolosamente, perchè a tendere agguati in Europa ce n’è più d’uno. Qualcuno legittimo, qualche altro no.  Nel senso che, se del caso, con i tanti ingenui italioti in circolazione,  possono anche buttare fuori la (nostra) Signora, tra un fischio e l’altro, com’è già capitato ( anche) di recente. Comunque, più che Real o Barca i pericoli arrivano da Albione,  con quel Liverpool a perfettamente  suo agio nella competizione europea.

Segni di ripresa arrivano dalle nevi. Nelle diverse specialità. Con una velocità maschile ( davvero)  al vertice; e una femminile ( orfana Goggia) dignitosa.  Con un fondo dove  tali Pellegrino e De Fabiani non vanno in pista a far le comparse dietro ai turbocompressori  del Nord.  Mentre Nibali , 32 anni, promette fuoco e fiamme a Giro e Tour;  con Viviani, 29 anni, non sta pensando solo al matrimonio. La sua gamba, se messa al posto giusto, ci potrebbe dare belle soddisfazioni. A cominciare dalla Sanremo. 

Finale relegato al nostro Presidente della Repubblica , appassionato di volley, che ha voluto chiudere l’anno con una indicazione chiara: ” Basta odio e divisioni. Il Paese viaggi  dunque  unito per risolvere i suoi numerosi ( ed annosi) problemi. Unito e vincente come ( spesso) gli riesce  nello sport“.

 

 

 

 

ALTRE DI CALCIO.

Chiude la Signora  a 53 punti il suo 2018 . Un record, fra (tanti) altri record. Qualcosa che i bambini continueranno a sfogliare per anni,  estasiati, sugli  schermi dei loro tecnologici almanacchi.
SERIE A.  XX GIORNATA. INCONTRI. ( sabato 19 gennaio) Roma-Torino ( ore 15), Udinese-Parma( ore 18), Inter-Sassuolo ( ore 20,30); ( domenica 20 gennaio) Frosinone-Atalanta ( ore 12,30), Fiorentina-Samp (ore 15), Spal-Bologna, Cagliari- Empoli (ore 18), Napoli-Lazio (ore 20,30); ( lunedì 21 gennaio) Juve-Chievo ( ore 19), Genoa-Milan  ( ore 21).

 

ARGOMENTI NON SOLO DI SPORT

 

DOPING ? E DOV’E’ MAI STO  DOPING La più grande occasiona mancata dell’antidoping mondiale sembrava  aver recuperato l’ora del riscatto. Questo nella prima parte di ottobre.
Quando grazie ad una sentenza di un tribunale spagnolo e al lavoro della della giustizia sportiva italiana ha acconsentito che  le (oltre ) 200 sacche di sangue (  sopravvissute, tra le molte altre) durante la (fantomatica) Operacion Puerto  venissero ’assegnate‘ al Coni per dare ( finalmente) nome e volto ai 26 uomini e 3 donne  a cui  appartengono.  Restiamo nell’ attesa.  Trepidanti, anzi, titubanti.

Sempre sul filo rosso del doping colore giallorosso, era uscita la soffiata di un Sergio Ramos  afflitto da ‘ due irregolarità procedurali in altri test antidoping‘. Il Real dell’Innominato, ovviamente, ha alzato immediatamente il ponte levatoio.  Ma alcune carte ( peraltro) pubblicate, richiederebbero giusta luce sul ‘ guerriero’ del Blancos, che guerriero sarà pure ma con sempre più ombre sulla sua nuova capigliatura a fraticello.
Le carte rivelerebbero che il buon Sergio dopo la finale 2017, quella di Cardiff, che alcune e mail intercettate all’uopo, presentasse ‘ tracce di Desametasone, con proprietà antinfiammatorie, e che può essere consumato per via intramuscolare lontano dall’evento, fino a 24 ore dalla gara”. Dovrebbe essere dichiarato dal medico. Che però, nella circostanza, indicò un altro medicinale della famiglia dei Glucorticoidi, il Celestone cronodose ( anche questo proibito), specificando che nel pomeriggio della vigilia aveva fatto due iniezioni a Ramos, nella spalla e nel ginocchio, per calmagli i forti dolori derivati da problemi cronici ( mai resi noti in questa portata) agli arti in questione.

” Mi sono confuso-  si è  giustificato l’infallibile  cultore  delle sorti mediche del Real - per il clima di euforia che ci circondava. Nella sala antidoping entrarono infatti anche il re Juan Carlos e il primo ministro Mariano Rajoy ”(1) . Inutile aggiungere che citati (perfin0)  nomi ( tanto ) illustri, i ‘ vampiri‘ della Uefa si sono subito accoccolati in qualche buio angolo dell’edificio. Noi, invece, per quel che ci riguarda,  con irreligiosa curiosità, stiamo ancora  chiedendoci che ci siano  andati a fare il re e il ministro in una sala antidoping prima d’un evento planetario.

Nota. ( 1)  ‘La gazzetta dello sport’ , sabato 24 novembre 2018.

NUOVI STADI. Il ‘Castellani’ di Empoli potrebbe essere il primo stadio realizzato con un ‘ project financing’, con parternariato pubblico-privato. Una volta approvati progetto e piano economico verrà indetta una gara pubblica e l’Ati Pessina avrà il diritto di prelazione. La nuova struttura potrà ospitare circa 20 mila posti ( comodamente) seduti.

Prosegue   anche sul tema stadio la ‘ manfrina‘ romana, dove al giorno d’oggi manco i Cesari riuscirebbero ad abitare. Pallotta, che si illude di far tutto  d’Oltreoceano, vorrebbe sbrigarsi.  Ma della sua fretta, qua, ciascuno se ne frega. Intanto il progetto nuovo stadio lampeggia come le luci dell’albero di  Natale, dicendo: ‘ Ci sono, non ci sono …’.
Speriamo diano prova d’altro valore, quelli di Milano, che in fatto di realizzazioni hanno ben altra nomea. Intanto Inter e Milan sembrano trovarsi d’accordo su due ipotesi, innanzitutto: o riadattare il mitico San Siro ( 62 mila posti) o costruirne uno ex novo, a due passi più in là, nella verde zona galoppatoio.  Va bene anche così, l’importante è che  chi vuole seguire calcio a  Milano continui ad andare alla ‘ Scala’ e non in qualche squallida banliueu o in qualche  destrutturato  sobborgo metropolitano.

Del resto è (arci)noto che tra  le leve da azionare per recuperare il ‘fuori campo’ con le big europee ci sono gli stadi. Nel 2019 ci si attende la svolta, cioè un definitivo punto di chiarezza sui progetti ( in particolare) di Milano, Roma e Napoli. Se lassù, in Fgci, Lega, Governo o altri, qualcosa di nuovo sia ( davvero) sbocciato lo sapremo a breve.
Intanto, per la prima volta,   la Lega si è dotata di un ad: De Siervo, ebbene si diano a lui le deleghe necessarie per sviluppare un prodotto collettivo (in parte)  sull’esempio Premier,  ( in parte ) sul nostro  centenario   repertorio  sportivo che avrà (pur) qualche ‘scheletro‘ da togliere dall’armadio, ma anche qualche  ( preziosissimo )  ’  retaggio’ o ‘ lascito’ di cui far tesoro.

 

UNA VALLE DI LACRIME. Che questa sia una valle di lacrime lo sapevano anche qualche migliaio di anni fa, ma che di lacrime dovessimo riempire ancora ( buona parte) dei giorni odierni di sport, o meglio di calcio, questo, forse, non è ( proprio) un ‘ accadimento scontato’.
Eppure resta ‘salda‘   la ‘ folle’ passione del Belpaese,  che ( per una somma di ragioni) spesso e volentieri più  deprime che rallegra. L’ultimo episodio, quello di Milano, esploso nell’anteprima di Inter-Napoli, con un 38 enne varesino di fede nerazzurra rimasto esanime sull’asfalto dopo un violento combattimento ( non si sa bene) contro chi e che cosa, rimanda in cavalleria i tanti, inutili, sempre inutili, buoni propositi, che erano stati  formulati ( anche solo) dopo l’ultima sciagura.

Scena non luttuosa ma  raccapricciante si è vista anche all’interno dello stadio, allorquando qualche (così nomato) tifoso di curva, s’è divertito a spedire insulsi ‘ buu, buu’ ad un giocatore di colore napoletano, bravo, bravissimo sotto ogni profilo, fin ad innervosirlo, fin a farlo (incredibilmente) espellere da un arbitro ligio alla regola ma non al buonsenso.
E così, noi, tutti noi, allo stadio, ma anche sul divano, altro non abbiamo  potuto che ‘sorbirci’ l’ennesima performance di chi ha smarrito non solo il senso del rispetto umano ma anche quello per cui si assiste ad  un moderno confronto sportivo. Non ci piace allungarci in analisi. Omelie. E simil altro. Se ne ascoltano fin troppe, in giro, sopratutto a posteriori, quando per  certe ‘sciagure’ poco o nulla si può più fare. Eppure suggerisce un autorevole  studio: ” Le sanzioni collettive sono eticamente scorrette e controproducenti.

Meglio usare le telecamere per identificare i sospettati,  collaborare con le autorità competenti per accelerare i processi  ed  evitare le ammende imponendo invece sanzioni come la condanna ai lavori sociali, perchè dover spiegare al datore di lavoro di doversi assentare per una sentenza ha più potere persuasivo di una ammenda…
La responsabilità non ( deve) ricade(re)  sui club, le leghe e le federazioni, ma dev’essere sostenuta dalle autorità locali e nazionali, che hanno la possibilità di dimostrare con quanta serietà intendano aiutare i club a stradicare razzismo, discriminazione e violenza”.
Ma il  problema, giusto  che sia o meno il suggerimento, sarebbe  mettere le autorità locali e nazionali in un contesto condiviso. Cosa, oggi, estremamente difficile.
Demagogia, individualismo, frammentazione, partigianeria etc., non stanno creando infatti quel contesto diffuso, indispensabile e condiviso che conferirebbe l’autorità auspicata all’autorità designata. Senza autorità, si sa, homo homini lupus. 

UN OCCIDENTE CONFUSO. Non è bastato ( qualche giorno fa) Putin a  rammentare alla sciagurata genia umana un possibile ( se non imminente) scenario nucleare; non sono bastati secoli di continua e circostanziata  ‘demolizione‘ di quel che recò al mondo il giorno della  ’venuta al mondo’ del ‘figlio di Dio‘ , che non sono mancate  frotte di epigoni  decisi a spegnere le ultime luci su un evento che ha ‘ tracciato‘ e ‘segnato’  storie ( ormai) profonde due millenni.

Sulla ‘prima‘ di un celebre quotidiano italiano è spuntata infatti una recensione, la solita ormai da anni alla vigilia dell’evento cristiano, a metterci sull’avviso che stiamo a festeggiare ‘ bufale, miti e leggende’  d’ una festa ( gradita al mondo dei consumi) e che così appare da qualche secolo in qua. Da noi, ad esempio, l’albero addobbato, non il presepe, fu introdotto da Margherita di Savoia, ovvio, ai suoi tempi. Eppoi, chi l’ha mai detto, se non quell’ingenuo di frate Francesco, che  c’erano la grotta, il bue e l’asinello, e che i Magi     fossero tre e anche  re?
C’è,  insomma tanta  gente, anche prestigiosa, anche dal gran nome, che circola per il Mondo  dilettandosi ad iniettare ‘ dubbi’,  (altre) ‘ verità’,  ’ veleni’. L’importante è che il ‘ favoloso evento’ abbia a scomparire ( una volta per tutte)  dagli orizzonti del ( cosiddetto) uomo moderno. Sopratutto se occidentale.
Che  dev’essere impresa ostica, anche perchè restano non pochi problemi a spiegare qual ‘ spirito’ e ‘ qual genio’ abbia ‘elevato’, cattedrali, leggi, valori, (società più ) umane e ( dulcis in fundo) grandi capolavori. Cristiani, diciamolo chiaramente, una volta tanto, e che altro?
Del resto i  ’poveri’  , quelli che hanno conservato (ancora ) la ‘ libertà di credere a chi loro più affida‘ queste cose le sanno.
E continuano a stringersi, più numerosi di quel che lasciano ad intendere i ( cosiddetti) ‘ sondaggi‘, fatti apposta per celebrare ideologie e agevolare consumi, non intorno ad un ‘presepe degenerato‘, come van predicando  gli ‘ illustri maestri‘, ma ad un ‘evento‘  antico, sconvolgente, unico,  diversamente  ‘raccontato’  nel tempo, certo, eppure  dopo due millenni  (e nonostante tutto )  condiviso e diffusamente attuale. Un respiro di fede, evviva, lungo la meravigliosa Penisola. 

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