Non solo sport. Ripartite le Coppe. Bene la Roma. Non male per Inter e Napoli, con la Lazio finita ko.

31 gennaio 2019 0 commenti
Non solo sport. Ripartite le Coppe. Bene la Roma. Non male per Inter e Napoli, con la Lazio finita ko.
Paris Goggia download (1)

LA CRONACA DAL DIVANO. A prescindere dal colore che rappresenta, non c’è  balordo alcuno in Europa che sia autorizzato  ad offendere deliberatamente, sia pure con fare alticcio, un rappresentante del governo o della nazione italiana.  Nessuno, proprio nessuno.
Ci aspettiamo quindi che qualcuno  con qualche grano si sale in più in zucca si prostri a chiedere le dovute scuse a mister Conte, premier legittimo del governo italiano, che al di là d’ogni aspettativa se la sta cavando molto di più e meglio in politica  di  tanti pseudo rappresentanti d’una Europa confusa e/o  in declino.

Detto questo, ci si può anche avventurare una volta di più nel mondo dello sport. Nostrano e non solo.  Tra l’altro stanno furoreggiando  le coppe,  dove ad essere impegnate sui campi da gioco sono due nostre  in Champions e tre in Uefa.
Nel primo turno Champions , la Roma di Zaniolo se l’è cavata con un Porto nervoso ma pur sempre pericoloso. Il 2-1 a favore dei giallorossi non depone certo per una trasferta in sicurezza, anzi, conoscendo i nipotini di Vasco da Gama, ci sarà da sputare sangue per portare a casa un risultato ( due su tre) favorevole.  In altri gironi, hanno passeggiato il Real contro i baby dell’Ajax e il Tottenham contro i giganti d’argilla della Bundes: 3 cartoni senza subirne alcuno, puliti puliti, al Borussia D.
Nell’attesa della Signora che mercoledì pv dovrà vedersela con il Cholo rinnovato fino al 2022, sono scese in campo le nostre tre  Uefa. Hanno vinto Inter ( 0-1 a Vienna) e Napoli ( 1-3 a Zurigo) , ha perso la Lazio ( 0-1 a Roma).  Deludente la prestazione della Lazio  del sor Inzaghi, sempre più nella lista  di quelli destinati a far trenta e mai trentuno.
Con quel risultato se non è già fuori dalla Europa , poco manca. Non male  invece è stata  la prestazione della Beneamata sferzata dal tornado Wanda, che ( al momento)  ha portato  null’altro che a togliere i gradi di capitano al ‘  buon’ Maurito, silente ed accomodante,  (soprattutto) quando a decidere  ( per lui ) è la  social consorte - manager. 

Ai mondiali sugli sci, visto com’erano partiti i nostri, ci hanno pensato i norreni findus del Nord a fermali, costringendoli a percorrere piste  perfette solo per renne e orsi polari.
Fatto è che sia Paris che Hinnehofer e Goggia se la sono dovuta prendere per come gliela hanno venduta, lasciando  libero campo ad altri per le medaglie.  Intanto, Cipollini  propone ‘ una super squadra con i migliori ciclisti italiani‘.  L’appoggiamo. Anche perchè ci pare inaudito che nel Paese dei pedalatori per eccellenza non si riesca più a dar corpo a squadre adeguate e competitive. Come non onorare i cent’anni dalla nascita del ‘più Grande’?

Fateci un favore: togliete la Nazionale del rugby dal Sei nazioni: partecipare, senza apprendere mai nulla  e farsi  irridere ogni volta da chichessia, non ci sempre proprio promozionale. D’altronde, che altro fare se non riderci sopra?

SAREBBERO QUESTE LE BASI PER LA NUOVA EUROPA?   Non è che i due vice premier sotto l’ala provvidenziale del (sorprendente) premier Conte, ci convincano più di tanto. Anzi, l’uno imberbe, l’altro tracotante, non si sa bene cosa stiano combinando. Con le nostre leggi, con i nostri problemi. Con i nostri soldi, con le nostre frontiere.
Epperò a preoccuparci ancor di più sono quelle ( più o meno) ‘ sante alleanze‘ che spuntano ( ad intervalli più o meno regolari)  nel cuore dell‘Europa con il (reiterato) intento di metter le basi della ‘ nuova Europa‘.  Che più che nuova, basti guardarsi indietro, sembra  essere  un copia e incolla ( si fa per dire) dell’Impero carolingio  o ( in subordine)  del Sacro romano  impero.

Dove a farla da padrona  sarebbero ( ancora  una volta)  Franchi e Germani,  gente (forse) della stessa famiglia, ma che andare d’amore e d’accordo manco   lo sognano.  Più o meno entrambi Goti,   ( bene e spesso) hanno avuto da ‘masticare amaro‘ quando dovevano vedersela con i popoli del Sud, i Mediterranei, e nell’ispecie,  Italici o Padani.
Chè senza di loro l‘Europa è  monca. Impotente. Inutile. Del resto che  sarebbero gli Stati uniti d’America  senza il Texas o la California ?   Una mini potenza? Oppure una nazione  sull’orlo d’ un’altra guerra civile?
Udire, di recente, che l’algido  Macron e la pensionanda Merkel si sono stretti  la mano per rinnovare un altro (anacronistico)    ‘asse  a due’ non autorizza  altra speranza  che  ‘ possa saltare ‘ come tutti gli    ‘assi‘ precedenti,  europei e non, a due o tre o quattro, anche perchè  ( ammesso e non concesso) dovesse  ( davvero) ‘ rinsaldarsi’ per l’Europa tutta   sarebbero  grossi  guai in vista,  e per  i due vetero  ’assisti  ‘ in primo luogo. Mamma che furbi!!! Arridateci Cavour, Metternich e Charlone !
Sì, perchè, anche se i rampolli  stentano a capirlo, l’Europa non è una torta dalla quale estrapolare fette, a proprio  piacimento, all’infinito, ma solo e soltanto ( ancora) una gran bella torta da ‘ godersi’ ciascuno per la propria parte ( insieme)  prima che arrivino altri, altri popoli, a forte desiderio di conquistarsi  i primi posti sul Pianeta, ad inghiottirsela ( tutta d’un fiato)  nelle voraci  bocche loro.

Davanti a  tanta patetica e inusuale incertezza, speriamo solo che Albione ci ripensi. E invece d’andare a navigare in solitaria in alto mare come vorrebbe la May, resti dove le sue radici affondano. In Europa.
Magari per contribuire a (ri) dare al Vecchio Continente quell’equilibrio, nord-sud e centro,  che solo i Cesari gli avevano ( molto tempo fa ) imposto,  garantendogli  secoli  di unità, forza  e crescita.

Dalla cronaca. Ultimamente  il premier  Conte è andato all’attacco di Bruxelles. Rimarcando:  ’ E’ paradossale che, proprio mentre si sta creando  un campione europeo della cantieristica per competere sui mercati mondiali come il gruppo Fincantieri-Stx, da parte della Francia si coinvolga la Commissione europea in modo così ambiguo. Con logica poco comprensibile’.
Conte ha messo in discussione anche il seggio transalpino al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite . ‘ Se la Francia vuol mettere a disposizione il proprio seggio, parliamone e facciamolo nel conteso europeo, se vogliamo dare davvero importanza a tale contesto’. La replica è sta affidata alla ministra per gli Affari europeiNatalie Loiseau: ‘ Non vogliamo giocare al concorso di chi è più stupido‘.
Replica perfettamente in linea con l’attuale livello di governance politica transalpina. La quale, giustamente,  tiene ( in primo luogo) a non perdere  il suo primato assoluto . Visto che presidenza più stupida i francesi, amati e odiati  cugini, maldestramente governati, al di là dei tricolori e dei tanti partiti,  probabilmente, non hanno mai avuto.

 

SVEGLIATEVI, O  BACUCCHI ! Finalmente la vecchia,   cara ‘rosea’ suona la sveglia a quelli per cui gli stadi sono  solo pensieri.  Fastidi.  Ingombri.  E tuttavia garantisce Abodi,   presidente ICS, ‘ Serve una regia del Governo. Ma venti piazze ( almeno) sono pronte a partire con loro progetti. Tutti interessanti’.
Al  momento, lo ricordiamo, nuovi impianti da gioco del calcio degni di menzione  in Italia sono l’Allianz Stadium ( 42 mila posti), la Dacia Arena, il Mapei Stadium e il Benito Stirpe.  L‘Atalanta ci sta lavorando. Ma occorreranno alcuni anni.
Da Roma, invece,  la promessa solenne della sindaca Raggi: ” Entro l’anno si parte con lo stadio “. Così assicura   anche mister Saputo, per il nuovo ‘Dall’Ara‘ in una piazza tra le più prestigiose  come quella di Bologna.  Un po’ troppo poco per aspirare ad Euro 2028 ?

Diciamo solo  che qualcosa si muove, nell’attesa di passare dalle ciance ai fatti.  Che altro non sono,  la  ( principale) differenza che intercorre tra noi e gli  (altri) tre principali tornei europei. A proposito di tornei, non manca pulpito dal quale non s’odano levarsi i soliti peana pro Premier oltre ad altri illuminati apprezzamenti sul nostro  frustrato  gioco del pallone.
In una trasmissione-svago  di Rai 2 il transfuga (  Sky) Massimo Mauro, non s’è trattenuto dal gettare al popolo la sua  lucente verità:  ’ Il nostro è il Campionato più noioso. Dove tutto è deciso. A me non piacciono i tornei dove tutto si sa ancor prima che partano’. Un piacere, il suo, abbastanza strano da godersi, e da condividersi, visto quanto accade, qua e là,  nel  Vecchio Continente. In Liga e in Ligue, infatti, tutto è stabilito, o quasi, da tempo. In Bundes (  fortuna loro e nostra) menti illuminate  devono avere  ( finalmente ) consigliato al Bayern di Monaco di prendersi un anno sabbatico,  visto che dei bavaresi  ad alzare scudetti non se ne poteva proprio più.
Da quelle bande sembra che del defilarsi dei bavaresi ne stia  approfittando il Borussia D., sembra,  infatti, visto    che di Bundes ne ha vinte ( finora)  abbastanza poche. La maggiore suspence  ( manco a dirlo) ci giunge   dalla Premier, dove  la palma della più bella del reame è contesa a due  ( solo a due), tra Liverpool e  City (  secondo,  a 5 punti).
Mamma, che brividi! E che dire della ‘noia mortale’  che s’è impadronita della mitica Coppa dalle grandi orecchie, nell’ultimo lustro finita ( con le buone o con le cattive)   per ben 4 volte ( ad eccezione del 2014/2015) nelle mani del Real  del Florentino madridista ?

Certo, il piacere di parlare e sparlare sul piatto in cui s’è mangiato e si continua a mangiare, è un esercizio che nel Belpaese trova  i suoi più geniali, generosi  ed indefessi cultori. Morale è , però, che mentre milioni di nuovi fans in giro pel Pianeta vengono convinti ad affezionarsi ad altre leghe con prodigiosi ritorni economici, la nostra  resta al palo.
A contare spiccioli. E come potrebbe essere altrimenti? Scusate, ma se siamo noi i primi a  ‘sconsigliare‘  l’acquisto del nostro ( pur sempre pregevole)  ’ panettone‘   chi volete  poi che ( stadi a parte)  voglia  affannarsi ad acquistarlo  per  rallegrare le ore di festa?

AGGIORNAMENTO RANKING UEFA. Aggiornamento al 30 novembre 2018 del ranking Uefa. ClassificaSpagna, punti 96.283; Inghilterra, 73.034; Italia, 72.o11; Germania, 68.355; Francia, 54.331. Con questa posizione l’Italia ha assicurata la quarta squadra anche per il campionato 2020/2021.

SUPERCOPPA ITALIANA.  Supercoppa italiana,  sì, ma solo per le polemiche.  In realtà si è trattato di uno  di quei momenti agonistici ( sulla carta)  scontati.
Se l’è aggiudicato ( manco a dirlo) davanti a 62 mila spettatori festanti la Signora ( gol di Cr7) ‘scornando’  il Diavolo, il povero Diavolo,  sedotto e abbandonato dal Pipita, che ( con Lara,  la morosa) ha deciso di salutare ( in un sol colpo) Lombardia, Milano e ( come calciatore) San Siro per andarsi avvinghiare  con i ricconi ( soprattutto nordamericani) che popolano  quel ‘ posto ideale in cui crescere‘ che è l’esclusivo  quartiere  del Chelsea.
Per il  Pipita,  ormai miliardario pure lui, e la sua dolce metà,  che da miliardaria vuol  ora vivacchiare,  c’è a voglia di ricongiungersi il premierista  doc Sarri. Senza perder tempo, però, perchè in quella ( chiacchierata) famiglia  che arriva dalla steppa le lune di miele sono ( spesso ) brevi e dolorose. Buon viaggio, caro Pipita !

Ma se qualcuno va, altri tornano nel ‘ modesto‘  grembo del calcio italiano, che a fatica s’è dato un governo, che a fatica riesce a pensare lontano come auspicherebbe  il buon Teotino, che a fatica riesce a far costruire qualche nuovo stadio di calcio. Sono diversi infatti quelli che tornano a rimettere il piede nei campi verdi del Belpaese. Al momento una decina.
Dopo il turno di Coppa Italia, torna a fine  settimana il Campionato. Con i soliti motivi. E qualche sorpresa che potrebbe arrivare dal calciomercato.  Con l’agitata Wanda sul piede di guerra e il prudente Zhang pronto a mettersi sul ciglio del fiume nell’attesa che passi il cadavere.
Secondo ‘ voci’  ( volanti nell’aere invernale) l’ambito Maurito ( alla fine dei valzer) sarebbe destinato alla Juve, mentre per Dybala c’è in previsione la destinazione City, alla corte di Pep. Gran sorpresa ha destato il trasferimento di K. Boateng, dal Sassuolo ( nientemeno) al Barca.  Mentre   la ‘sorpresa’ Piatek  s’è andata ad accasare a Milanello.
Certo, lo sappiamo, la danarosa Premier  di questi tempi  ha preso il posto  del mitico Eldorado.  Che tutti cercano,  che nessuno trova.

E tuttavia, Pipita o Perisic o Alex Sandro che siano, ci aspetta un’ estate calda. Con un calciomercato da tempi andati. In ‘ arrivo’ ci sono infatti nomi roboanti: Podgba, Isco, Marcelo, Modric, Godin etc. Nell’attesa dei nuovi  stadi e di qualche soldino in più  dalla ritrovata verve del  commerciale fino ad oggi praticamente ignorato, niente male.  Il vecchio, caro pallone, povero o ricco che sia,  da noi,  non perde  (mai) il piacere di rotolare festoso su un verde campo da gioco, maravigliando, il più delle  volte.

ALTRI SPORT. E’ ripartita la Goggia, con un sorprendente secondo posto  in SuperG. Nibali intanto non perde esercizio utile per sognare la doppietta Giro/Tour, che lo farebbe volare di diritto nel pantheon dei grandi. Quelli,  rarissimi, della ‘ doppietta’. L’Armani Milano vince e perde.  Come l’albero di Natale. S’periamo non siano solo  giganti di carta quelli del del  rugby al  ( durissimo) 6 Nazioni.

A proposito di grandi, su Bike Channel, in una trasmissione dedicata alla ‘ Grande storia‘ del ciclismo,   qualcuno degli invitati nello stilare la graduatoria degli scalatori d’ogni tempo, ancora una volta s’è dimenticato di citare Bartali  nel confronto con i Gaul, Fuentes, Bahamontes, aggiungendo  invece Mercxs e non Coppi.
I quali, se non andiam a farfalle,  sarebbero da classificare   passisti-scalatori  e non (solo ) scalatori, o grimpeur , come i francesi chiamano i camosci delle montagne.  Che nelle salite, anche durissime, una volta preso il passo, sapevano seminare anche gli specialisti.

L’ ignoranza non sorprende, perchè è  da anni che delle vere grandi pagine dello sport italiano non si fa più giusta memoria.  E così dei suoi pochi leggendari protagonisti. Incredibilmente. Soprattutto se  datati o del Dopoguerra.
Che di eguali però non ne abbiamo mai più avuti. Perchè se è vero che il Pirata  ( più di recente) faceva fermare l’Italia degli appassionati, Coppi, Bartali e Magni  ( dal ’30 al ’60) non solo hanno fatto  scorrere fiumi di lacrime ad ogni impresa ma incidevano  ( perfino)  sulla rinascita post bellica  di questo nostro ( smemorato) Paese.

 

QUEI RIDICOLI ‘BUU BUU‘ . Sabato 19 i ‘piccoli‘  hanno riempito il primo anello di San Siro per Inter-Sassuolo, chiuso ai ‘grandi’ per ‘ razzismo’. Non disattendendo la speranza che  si mettessero a fare gli adulti, o meglio, certi adulti, che adulti sono ma solo all’anagrafe. I ‘piccoli’ hanno trionfato. Il ‘ razzismo‘, come tanti altri ‘ismi‘ che hanno martoriato il ventesimo secolo, non dovrebbe essere manco  più  menzionato. Dopo la  lunga serie di lutti e dolori  che ci ha afflitto nel corso dei secoli.

E tuttavia, nostro malgrado, così non è.  ‘Razzismo’, ‘ violenza’, ‘ignoranza‘ continuano imperterriti a cavalcare come i  quattro dell‘Apocalisse tra i popoli del mondo. Dire che qualcuno sia esente è una falsità. Dire però che la ‘ maggior parte dell’umanità‘ condivida certe realtà è una falsità ancora più grande.
Da noi, spesso, quando si parla di sport, o meglio di calcio, si fa riferimento a culture  ritenute ‘ superiori’, perchè non infette da certi ‘tumori  umani’. Si cita, ad esempio, Albione, con quei suoi cori canterini attorno ai campi,  che mai e poi mai si metterebbero ad esercitarsi in quei ridicoli e insulsi  ‘ buu, buu‘ che invece s’ascoltano, ad intermittenza, ma si ascoltano, imperterriti,  nei nostri tuttora (obsoleti) impianti sportivi.

Dimenticando però che quando si va dicendo d’Albione non è cultura ma  solo cronaca. Neppure tanto remota, visti i  pregressi che portano date (  ancora ) vicine ai giorni nostri.

Ad esempio, la sera all’Heysel, anno  1985, dove 39 spettatori trovarono la morte, calpestati da  invasati  fans inglesi; una sera, quella, che portò le squadre d’Albione fuor delle coppe  per un lustro. Ma le loro tragedie  non si sono fermate qui.  Perchè ad Hillosborught ,  anno 1989,  andò ancor peggio, con 96 morti.  L’elenco prosegue. Come dire che i canterini  d’oggi sono stati ‘ educati’ a cambiare registro da governi e leggi opportune. Tempestivamente applicate. Hooligans, Casual, Skinheads … ,  donde  tengon infatti tutti costoro le loro culle?
E in ogni caso  quel (loro) pericolo non è cessato. Perchè se è vero che nei moderni impianti calcistici d‘Albione si può oggi fare baldoria senza  timore alcuno, basta allontanarsi  qualche chilometro più in là per toccar con mano  i  tanti rivoli d’una realtà  ben diversa  da quel che si vuol sbandierare.
Si leggano, cioè, meglio, le realtà dei nostri giorni. Onde per cui, s’astengano i generosi anglofili, dal propinarci omelie ad ogni piè sospinto. Noi non siam peggio d’altri. Noi  non manchiamo di  ’sciagurati’ da ‘ convertire‘, certo, tanto che sarebbero benedetti  leggi ( opportune)  e governi ( condivisi) all’altezza del compito.
E tuttavia possiamo contare  anche su  una marea infinita di gran bravi giovani  che  ‘ razzismo‘  e ‘ violenza’  subiscono e non ‘provocano’. Perchè  allora non chiamarli a raccolta, senza deprimerli

 Il 12 settembre 2018,  tanto per tornare alle paginette di cronaca  misconosciuta,  i fans del Millwall e del Brentford si sono dati appuntamento in aperta campagna per massacrarsi a piacimento tra loro  senza limite alcuno. Anche da noi capitano certe sciagure. Certo.
Più circoscritte, e comunque pericolose, da non sottovalutare e d’altra origine originate,  ma capitano. Epperò, forse, tanto per fare di testa nostra,  la miglior  cosa da  fare  è continuare a  celebrare ( presunte )  altrui virtù  o riscoprire le nostre, che c’erano, che ci sono, anche per evitare ( l’infame)  e  (non negletta)  abitudine altrui  a   gettare ( occorrendo)  ‘polvere sotto il tappeto‘?  Per tornare a difendere  una volta tanto, paradossalmente,  i più e non i pochi. Non per apparire, ma per essere.

Si è costretti a parlare di calciomercato, quando non lo si vorrebbe proprio fare. Anche perchè scatena ogni volta un mercimonio che non trova più limiti.
Affidato a infinite  ‘ gole profonde’ che altro non sanno  che ‘danarizzare’ ogni  passo sul verde rettangolo di gioco. A  incassare sono i giocatori, ma anche altri, di varia provenienza e genere, ad ogni sessione di mercato sempre più voraci, quasi che in quel mondo non esistano più  remore e confini.

Tra i voraci ci si sono messi anche i parenti. Come il fratello del Pipita, che non contento dei milioni rossoneri portati a casa a sbafo  vorrebbe mandarlo  ad infognarsi con quelli che sborserebbe in Albione un oligarca russo ( in fase di cambio di residenza);
come la bella Wanda, che tutti la vogliono ma nessuno la comanda, lesta oltre ogni dire giorno e notte, sui social e non solo,  per far di meglio i conti per  lo suo amato. Il bello è che quei ‘poveracci’ che se ne stanno a soffrire pene d’amore sugli spalti ( più o meno) obsoleti dei nostri stadi, aspettano gli esiti esultanti.

Quasi che quei soldoni che volano da una tasca all’altra siano di chissà chi. Non loro. Che con la loro infantile passione alimentano le innumerevoli casse, vuotate poi da chi di dovere. Che ben poco merita di cotanto affetto. Per farla breve: se la bella Wanda vuol  salutare  via Montenapoleone col suo amato, lo faccia, rapida, e basta. La Beneamata, di certo, che di campioni veri ne ha battezzati tanti,  sopravviverà, eccome. Anzi. Finalmente si vedrà chi è il sole e chi è la luna.
E così quel Pipita, che  se vuol traslocare in quell’amena famiglia dell’oligarca  russo (  ) a contare qualche raro trofeo e tante coppe del nonno, s’en vada pure , ma veloce,  gattone gattone. Per non far minima ombra ad una ( infinita ) bacheca di trofei troppo ‘ augusti‘ e ‘ dorati‘ per  chi è   ( non ce ne voglia Bergomi ) un  ( pedatore ) ‘trenta e mai trentuno’ come lui.

DEDICATO AGLI  ESTEROFILI.  Dedicato ai milioni gli esterofili che abitano il Belpaese. Ma anche a quei giocatori, giovani e non, come Chiesa, il Pipita o Perisic che sognano Albione alla ricerca di un Eldorado in questa valle di lacrime. O meglio, ‘ del posto ideale in cui crescere‘.
Basti allora questa confessione di Emiliano Viviani, portiere classe 1985 della Spal: ” Perchè sono tornato? Perchè in Italia si sta come in cima al mondo. Perchè a Lisbona era tutto surreale; mi mancava la quotidianità dei rapporti umani. A Londra e Lisbona è più dura andare in piazza, bere un caffè, leggere il giornale, parlare con la gente. Qui si può. E, a Ferrara, eccome!”

IL CALCIO A TRE VELOCITA’. Non c’è crisi nel calcio europeo. Più ricavi, più spettatori, più utili. Si allarga però la forbice tra ricchi e poveri della pedata. I 12 club ‘ globali‘ fra cui la ( sola) Juventus, fatturano 1,6 mld di sponsor e commerciale, esattamente il 65% del totale.  Tutto il restante non raggiunge, messi assieme, un miliardo. Tra le prime 12, 6 inglesi, 2 spagnole, 2 tedesche, una francese e una italiana ( Juve).

La Serie A fattura 2.2 mld, ma è troppo dipendente dalla tivù ( 49% del totale). Siamo al quarto posto, lontani da Spagna ( 2,9 mld) e Germania ( 2,8 mld), con distanze in prospettiva ulteriormente allungabili visti i prossimi  rinnovi tivù di Liga e Bundesliga. L’Inghilterra da sola incassa, nel totale, 5,3 mld.  Un dato questo, certo e assodato, che attira come specchietto per allodole ( soprattutto)  tutti coloro che prima all’erba verde del campo da gioco  guardano al luccichio delle monete.

C’è qualche speranza per il calcio italiano di rimontare? Qualche. Solo qualche. Perchè, a dirla alla Teotino, qui occorre qualcuno che sappia allungare la vista  oltre il proprio orticello e faccia costruire nuovi e moderni impianti. Stadi e non soltanto. Infatti c’è anche il marketing. Questo e poc’altro. E subito. Picciolo sorriso ce lo fa venire il dato che, in compenso, il valore medio di una rosa di un club italiano, 85 mln, è secondo soltanto all’Inghilterra ( 135 mln). Sì, aggrappiamoci all’aggrappabile. Del resto, che altro fare? Controllare se questi dati sono certi.

‘ROSSA‘: SI CAMBIA IL MANICO. La battaglia interna alla gestione  sportiva Ferrari è finita. I vertici della ‘rossa’ hanno scelto: fuori  Arrivabene, entra  Mattia Binotto.  Questo   anticipava l’anteprima esplosa come un fulmine a ciel sereno dalla ‘rosea‘, che sulla inedita, sorprendente,  situazione si è soffermata ampiamente.

Intanto analizzando gli ‘errori‘ e le ‘colpe’ di Arrivabene. Eppoi la necessità di affidare il ‘ manico’ ad uno come Binotto, 49 anni, nato in Svizzera e laureatosi al Politecnico di Losanna, ma uomo d’ordine ferrarista che viene dal  basso, dopo avere scalato lo scalabile.
Entrato in Ferrari nel 1995, ha gioito dei trionfi dell’immenso  Schumi  mentre nel 2oo9 è stato nominato responsabile generale delle operazioni Motore e Kers, poi vicedirettore Motore ed Elettronica e infine direttore del reparto Power unit dal 2014, questa volta per volontà di Marchionne, che del ‘ cambio di manico’  doveva essersi   interessato per tempo visto che  lo aveva scelto come ‘ dirigente di riferimento e referente personale‘.  Con Binotto,  Vettel, il quattro campione del mondo, e Le Clerc, l’imberbe debuttante, partiranno alla pari.  Per un obiettivo comune.

Il passaggio di testimone Arrivabene-Binotto potrebbe annunciare qualche altro  sconvolgimento all’interno della ‘rossa’.
 Al vertice. Ad esempio la nomina di Camilleri è stata percepita ( da molti) come provvisoria;  il fatto che in fabbrica si sia intravisto ( più volte)  l’ex amministratore delegato Amedeo Felisa, separatosi da Maranello  nel 2016, potrebbe significare ( anche  su questo versante) della mitica casa del Cavallino un ulteriore, fondamentale,  aggiustamento.
L’importante (ora) è che dopo quattro anni di Arrivabene in cui la ‘rossa ‘ poteva vincere ( almeno)  uno o due titoli, si torni al  sul gradino più alto. Com’è naturale nel mondo delle corse, dove è il rosso il colore più amato e diffuso.

La vittoria con una ( gran macchina) come la Mercedes può dare gioia, grande gioia e massima esultanza ( vedi Toto Wolff); ma, quella con la ’rossa’  va ben  oltre ai  naturali  desiderata umani. La ‘rossa’ è un ‘ kotinos‘ planetario. Vibrante.  Agognato.
E capace di condurre nell’Olimpo degli sportivi senza tempo.
Se vero è che  ancor ricordiamo un fornaio dell’Elide, certo Corebo, che in un pomeriggio d’estate del 776 a.C. correndo più velocemente dei suoi avversari i 192,28 metri che lo separavano dalla meta,  ricevette ( secondo Pausania)  una corona composta da rami di ulivo silvestre ( kotinos) , premio (apparentemente) modesto, eppure bastevole per  farlo  accomodare tra gli dei immortali.

‘SCOPIAZZARE’ O ESSERE NOI STESSI? ” Manchester City e Liverpool - esulta il buon Arrigo - hanno regalato 97′ di emozioni e spettacolo. Hanno vinto con merito gli uomini di Pep contro il fortissimo Liverpool di Jurgen, ma in realtà tutte e due le squadre sono uscite vittoriose: ha vinto il calcio. L’incontro è stato giocato a velocità e ritmi impressionanti, impensabili per il  nostro calcio…”.

In effetti, qualcosa di notevole si è visto nel match di punta di quel Campionato che nel ranking Uefa sta lottando con il nostro per la seconda/terza posizione. Questione di spiccioli, si sappia, nonostante loro abbiano il vantaggio di entrate maggiori e di stadi adeguati al moderno agone calcistico, e noi invece no, anche per situazioni generali che è  difficile comprendere.  E tuttavia,  non riusciamo a sottrarci a dei ‘ distinguo‘  non  di poco conto.
Anche perchè continuare a dirci che gli altri volano e noi passeggiamo più che a stimolarci a fare altrettanto ci preoccupano e non poco. Nell’agone sportivo moderno altre discipline, e non soltanto il calcio, ci hanno insegnato che le ‘ prestazioni fisiche’ non son frutto  ( solo) di ‘ eredità  genetiche‘ o di ‘ casualità’.  C’è di mezzo (ormai) la medicina dello sport, con tutte le sue sofisticherie, sempre più chiamata a fare il possibile ( e l’impossibile) per ‘ ottimizzare‘ la prestazione ( soprattutto) quando questa ( deve risultare)  decisiva.
Allora, più che a venire a lamentare le solite nostrane ‘ inferiorità’, pensiamo a qual spettacolo sia meglio affezionarci. A quello di un calcio collettivo,  di corsa  e  (soprattutto) agonistico  o  a quello di un calcio che coltiva radici profonde, sociali, di campanile, se vogliamo, ma anche di di corsa ( quando serve) e comunque mai  a vanvera,  perchè soppesato, magari fin troppo, ritagliato apposta come un buon abito sul soggetto interessato, e ricolmo di colore e  passione quando esprime al meglio le sue innumerevoli ( e mai anonime) identità?

A qual calcio, dunque,  vogliamo affezionarci? A quello foresto o a quello ( ) nostrano? Guardarsi attorno è meritevole. Auspicabile. Per ‘ tenerci al passo’, ma per  ‘ scopiazzare’ no.  Questo no.      Tanto più che abbiamo nel nostro secolare retroterra  tanti e tali ‘ retaggi‘, ‘risorse’‘peculiarità‘ che tutto possiam fare fuorche diventare fotocopia d’altri.
Ha detto un  ( nostro) saggio: per Albione due/tre secoli d’impero sono stati una immensità, per  noi una inezia. Del resto, per restare sul solo calcio, in un ‘ confronto’ estivo a tre su Sky, il Pep tanto amato dal buon Arrigo non s’è trattenuto  dal dire  ” Avete vinto così tanto, e in tanti modi, che se c’è qualcuno che ha da imparare siamo (semmai ) noi e non voi”.

Detto tutto ciò, per favore, bacucchi/e  nostrani di varia estrazione, dateci quei benedetti nuovi stadi.  E poi valuteremo tra ciance e  fatti.

COSA VUOL DIRE UN ANFITEATRO. Sono anni, anzi, decenni, che si chiede d’avere impianti sportivi aggiornati e adeguati. Potevamo centrare l’obiettivo, almeno parzialmente, con l’assegnazione dell’Olimpiade estiva a Roma. Ma, qui, si sa com’è andata, con  quel ( tragico)  rifiuto della  giovin sindaca  impegnata a far  tirocinio.  Potremmo, sempre parzialmente, centrare qualche impianto minore con l’eventuale assegnazione dell’Olimpiade della neve a Milano-Cortina. Potevamo, potremmo.
E non possiamo. Visto che tutto è in fieri. A Roma, con quella pantomima che lascia interdetti; a Milano, con cino-americani ancora alle ciance, su Santo Siro o altro nevico Ippodromo; a Firenze, con qualche progetto ancora sulla scrivania; a Napoli, con il sindaco De Magistris intenzionato a fare un restyling, o poco più, del vetusto San Paolo. E così via. Insipienti di qua, insipienti di là. E pensare che basterebbe sfogliare qualche vecchio libro per apprendere quanto lungimirante sia costruire un nuovo impianto ( o sta nell’ispecie).

” Vespasiano- si legge – sentì l’esigenza di un colpo di scena: ad esempio, una costruzione monumentale che gli procurasse fama e ammirazione imperiture.  Ebbe, allora, la lungimiranza di individuare il tipo di edificio adatto alle sue ambizioni. L’Urbe aveva bisogno di una grande arena per celebrare la sua passione più grande, ovvero il combattimento tra gladiatori?  Il Cesare comprese che se avesse realizzato cotale aspirazione, avrebbe potuto ’ eguagliare’ o  ( finanche ) ‘oscurare’ i predecessori più celebrati.
La capitale disponeva di quattro anfiteatri. I primi due non abbastanza capienti e gli altri in legno. Il nuovo agone doveva perciò risultare diverso, molto diverso. Vespasiano pensò allora ad un (mega) anfiteatro che potesse ospitare (almeno ) 50 mila spettatori (comodamente alloggiati). Il figlio Tito, con il bottino raccolto in Oriente, gli fornì i danari e la soluzione.  Allora, non fu trascurato alcun dettaglio. Neppure l’ubicazione. Scelta ( significativamente) tra Palatino, Equilino e Celio.

Su quei terreni Nerone aveva sognato infatti  la favolosa Domus aurea. Di cui  al tempo dei Flavi era rimasto lo ’stagnum Neronis’, luogo di feste e sperperi. Vespasiano restituì quei terreni alla cittadinanza. E iniziò il lavori per quello che sarebbe passato ai posteri col nome di Colosseo. Era il 70 d.C.,  i cantieri durarono circa dieci anni. Vespasiano non riuscì a vedere la realizzazione completa del suo lungimirante e monumentale progetto, poichè se ne andò nell’estate del 79 d.C., lasciando però ai figli il completamento.
Il Colosseo  infatti è oggi noto ( anche ) come anfiteatro Flavio. E comunque, a chi attribuirlo o meno poco importa, quel che importa è che chi ebbe l’idea e la mano per cotale opera, nata  ( dunque) per allettare i concittadini,  oggi ( più o meno)  simil ad uno stadiolo dove far  scorrere una palla ,  ha trovato  memoria imperitura.  ‘ Panem et circenses’ dicevano,  i vecchi, i vecchi Cesari, eppure come sapevano guadare lontano!  Lontano. Lontano. Sforando i secoli, contrariamente a questi amministratori odierni che a malapena sanno contare  i minuti oltre la punta del loro naso.

QUEL DECIMO TITOLO NON S’HA DA DARE! Nuovo anno ( non solo di sport),  con  (vecchie ) abitudini e relativi ( vecchi) arnesi all’opera.  Il buon Lorenzo,   trentenne, maiorchino, è ‘ (tra) passato‘ com’ è  noto ( dopo due anni) dalla sella della Ducati a quella della Honda.  Sembrerebbe, a starlo sentire, per via di qualche centimetro in più che non  consentivano, a lui, piccoletto, di dominare a piacimento la terribile Desmo  di Borgo Panigale  per  spadroneggiare come aquila in libero volo  sulle piste del mondo.

Due anni per prendere qualche misura tra lui e una moto  son tanti, ma non per Lorenzo che le sue cose fa e  medita. Compreso la rievocazione  del ’ dream team’ che sarebbe stato partorito  in combutta con l’amico-nemico Marc, proprio per incantare ( come il Real)  negli anni a venire gli appassionati della moto  da corsa sparsi sui cinque continenti.
Dream team’ non nuovo, non inedito, a dir il vero, visto che ( se anche la nostra  memoria non inganna)  ha avuto debutto già qualche anno fa. In particolare, su quella pista dove lui e l’altro, come ‘bravacci’ di manzoniana memoria, si sono infilati nell’agone gridando ai  ( tanti) don Abbondio ( italioti compresi) colà presenti:  “ Questo (decimo ) titolo non s’ha da dare!”.
E se in sede d’auspicio qualche nota stonata (purtroppo) non manca, quelle intonate sembrano ( ampiamente)  compensare il conto. Quelli che non guardano solo ai (tanti)  danari e alla (facile) gloria. Quelli che se si turano il naso sul doping è perchè vorrebbero vedere competizioni credibili e pulite in ogni agone sportivo. Quelli che prima di sputare sul loro piatto voglion sincerarsi che anche in Altrove  non si giochi all’inganno. Del resto siam figli d’un piccolo, curioso, geniale Paese, che tanto ( soffrendo) ha dato al M0ndo che fatica ad aprire porte e finestre al primo arrivato.

 

ALTRE DI CALCIO.

La Signora  ha chiuso il 2018 a 53 punti . Un record, tra  altri record. Qualcosa che i bambini continueranno a sfogliare per anni,  estasiati, sugli  schermi dei loro tecnologici almanacchi.
SERIE A.  XXII GIORNATA. INCONTRI. ( sabato 2 febbraio)  Empoli-Chievo 2-2, Napoli-Sampdoria 3-0, Juve-Parma 3-3; ( domenica 3 febbraio)  Spal-Torino  0-0, Genoa-Sassuolo 1-1, Udinese-Fiorentina 1-1, Inter-Bologna 0-1, Roma-Milan 1-1; ( lunedì 4 febbraio) Frosinone-Lazio, Cagliari-Atalanta.

CLASSIFICAJuventus punti 60, Napoli 51, Inter 40, Milan 36, Roma 35, Samp 33, Atalanta 32, Lazio 32 …. Udinese e Empoli 18, Bologna 17, Frosinone 13, Chievo ( -3)  9.

 

ARGOMENTI VARI NON SOLO DI SPORT

BREXIT E GB NEL CAOS.  Con 325 voti contro 306 la signora May resta in sella. Si fa per dire. Perchè la sua maggioranza è ora una inezia,  in più dovrà convincere l’Europa a concederle più tempo per ‘ rivedere’ l’intesa. Mal digerita da buona parte dell’agone politico britannico. Mentre il nuovo referendum chiesto a gran voce dall’opinione pubblica resta ( al momento) solo teorico.
La May è passata con la manciata di voti di una piccola formazione nordirlandese. Il risultato  scongiura il caos, ma le strade da intraprendere ora sono  poche e obbligate.
Cosa succede con la Brexit? La data del 29 marzo pv giorno in cui la Gb dovrebbe staccarsi  dall’Ue, è dietro l’angolo, mentre non è disponibile un piano B, almeno per ora. Occorre dunque posticipare l’uscita.
Forse a fine luglio, ma nessuno la può garantire.  I laburisti traccheggiano indecisi. Corbyn, invece, contrario all‘Europa della finanza, balla tra due fuochi: quello dell’elettorato giovane ( over 30) e vecchio ( over 50).  I primi guardano al futuro, i secondi al passato.  La quaestio alla frontiera tra Irlanda e Irlanda del Nord inoltre non ha soluzione. Quel che potrebbe creare fa venire il mal di testa.

Si torna allora al voto? Il Regno Unito può revocare la richiesta di uscire dalla Ue. Certo. Ma sarebbe un atto antidemocratico, visto che ha avuto l’avvallo di oltre il 51% degli elettori.  Un secondo referendum resta invece ( teoricamente) possibile, ma servono ‘ passaggi’ tecnico-politici da brivido.
Al momento, di difficile realizzazione, anche se 71 parlamentari laburisti ( il partito della May) hanno chiesto ufficialmente una seconda consultazione. Che, a quanto si orecchia, troverebbe  ( facile) maggioranza per rispedire la May ad altre faccende affaccendata.

Nel frattempo non felice futuro potrebbero trovare i 700/800 mila italiani che lavorano in GB. Qualche migliaio di loro è  già tornato a casa. A dicembre il governo May ha pubblicato un ‘ Libro bianco’ sull’immigrazione, con i nuovi criteri d’ingresso.
L’obiettivo è quello di ridurre drasticamente gli arrivi, comprimendo la presenza a poche migliaia l’anno.  Così si guarda innanz. Così s’opera in quel d’ Albione,  la perfida Albione, dove  per qualche atavica regoletta si giocan   le sorti del Vecchio Continente, che più ‘vecchio‘di così ( forse) non è mai stato.

* Due ‘ testimonianze‘, entrambe da non trascurare. La prima è una lunga intervista  sul calcio europeo alla ‘rosea’ del buon Zvone ‘ Zorro’ Boban, croato ex milanista e ora vice presidente Fifa; la seconda, il bel librone  curato da Auro Bubarelli e Giampiero Petrucci sull’ indimenticabile Airone di Castellania, deceduto 59 anni fa.

ZVONE IL CROATO MILANISTA. Zvone  Boban che  del (non breve) passaggio  a Sky ha approfittato per migliorare  il suo primigenio  look fin al punto da far  concorrenza a quegli elegantoni di  Leonardo e Maldini,  non le manda a dire. A nessuno.  Soprattutto a quelli che a vario titolo restano  parcheggiati  nel pianeta  calcio. Oggi come ieri.
E se ora è diventato un alto dirigente Fifa poco importa. Il suo  è il solito approccio concreto, credibile,  attento e senza ipocrisie di sorta. Piace così, insomma, a tutti, anche perchè di gente che vive  di calcio confessando il suo amore  ’ per quel  pallone che rotola sulla verde erbetta di un campetto da gioco‘ , ( abbagli a parte ) ce n’è sempre di meno.
Zvone nel suo excursus con la ‘ rosea’ tratta molti aspetti del calcio milionario d’oggigiorno. Tra l’altro  mette ( finalmente) il dito su quell’assurdo Fair play finanziario che dovendo creare equilibri ha finito col creare ( ulteriori) squilibri. E vistose contraddizioni. Vedi le squadre di Stato qatariote parcheggiate qua e là.

‘ Se non si pongono ( tempestivi ) correttivi al Fair play finanziario -  ammette - Inter e Milan, per citare  due italiane, faticheranno a tornare  al vertice del movimento. Pur essendo giusto vigilare sulla (reale) salute dei club, le norme che  impongono il pareggio di bilancio impediscono  a nuovi imprenditori di fare i necessari investimenti. Con danari freschi.  E mi sembra che Inter e Milan ed altri club  versino ( al momento ) proprio  in questa condizione ‘.

Un avviso? Un auspicio? Un intendimento?  Nel frattempo sulle compagini  qatariote,  ma anche altre  d’oligarca russo o di conte  da Montecristo tutte ( più o meno) operanti nell’ infida Albione, risultano indagini in corso.
Che vogliam sperare non finiscano in cavalleria come quelle, ben più tristi, ben più annose,  sul doping praticato in discipline diverse,   meglio note come Operacion Puerto e volatilizzate  grazie a  ‘magi… strali’ colpi  da  mago Silvan.
 Psg e Manchester City sono ‘ accusate’ di avere aggirato le regole del Fair play finanziario  con  aiuti degli azionisti sotto forma di sponsorizzazioni.  Vedremo cosa rimedierà l’Uefa. Siamo (ovvio) speranzosi. Mentre   non possiamo far altro che (ri)metterci   come il cinesino   sull’argine del fiume  nell’ attesa che passi ( finalmente) il …  cadavere.
Zvone anticipa anche alcune importanti novità sul panorama calcistico Fifa. Intanto, il Mondiale per Nazionali che potrà essere allargato a 48 squadre; eppoi, quello che per club, ridicola esibizione appena aggiudicata al solito Real  che ( anche ) di  ‘ coppe del nonno ‘ ama fare incetta pur di  rimpinguare il suo ( infinito?) palmares.
Zvone oltre ad essersi ricreduto sull’uso del Var, non manca di stigmatizzare il fenomeno del razzismo, più o meno evidente, o manifesto, dolorosamente, in ogni angolo del mondo. Quando gli si chiede qual gioco lo entusiasma di più, cita il ‘ tiki taka‘ di Guardiola al Barca, senza dimenticare, però, come puntualmente fanno i nostri esterofili,  quel che  ‘ lo stesso Pep ha chiarito nel confessare d’avere preso spunto e ispirazione dal ( Milan di ) Sacchi”.  Il Milan, già, che a Zvone resta sempre  nel cuore in posizione privilegiata.

MA SENZA LA GUERRA CHE AVREBBE VINTO?  ” Penso a quanti Giri, Tour, Mondiali, Record dell’ora, classiche avrebbe vinto Fausto se non ci fosse stata la guerra. Ci rifletto spesso e se il numero che accompagna il nome è a tre cifre quale sarebbe stato il suo senza quella lunga inattività”.  A porsi il quesito è un tale Eddy Merchx, nella encomiabile prefazione al libro di Auro Bulbarelli e Giampiero Petrucci dal titolo ‘ Coppi, per sempre’.

Per chi ( per ragioni diverse)  non è edotto sul quesito bastino poche cifre: Coppi, da Castellania, nasce il 24 settembre  1919. A poco più di vent’anni vince il  primo ( di cinque) Giri d’Italia. Destino vuole però che tra il primo ( 1940) e il secondo ( 1947)  trascorrono sette anni circa. Durante i quali accumula una vittoria nel 1941 e altrettanta del 1942; richiamato alle armi, tra il 1943/1944 finisce prigioniero di guerra. Risale in bicicletta, con Nulli, nel 1945, riportando 5 vittorie. Per rivederlo in piena attività lungo le strade di una Italia distrutta dal trascorso bellico bisognerà aspettare non tanto il 1946 ( 9 vittorie, tra cui la Milano-Sanremo in solitaria) ma il 1947, dove riporterà 12 vittorie, compreso il secondo Giro d’Italia.

Gli è stato possibile andare  al Tour solo tre volte. La prima nel 1949, a trent’anni, centrando la doppietta Giro-Tour; la seconda nel 1951,  l’ annus horribilis, segnato dalla morte dell’amatissimo fratello Serse; la terza nel 1952, per ripetere la doppietta Giro-Tour. La disponibilità di Coppi in bici è pressochè totale. Infatti non c’è specializzazione, percorso, gara dove ( volendo) non riesce a primeggiare. Come passista-pistard tenne per (circa) un ventennio il  record dell’ora, laureandosi inoltre 5 volte campione italiano  dell’inseguimento e due volte mondiale.
Lasciando a parte i suoi avversari che appartenevano all’epoca  dei semidei del ciclismo, e la sua profonda incidenza nella rinascita di un popolo, perchè a leggere queste pagine penseranno altri, basterà concentrasi anche solo sugli anni in cui ha potuto espletare compiutamente l’attività sportiva.
Praticamente dall’età dei trent’anni in su, ovvero, quando per un ciclista s’incomincia ad intravvedere la prospettiva di appendere la bici al chiodo. Cosa, ad esempio, non capitata a Merckx, che il meglio si sè l’ha dato durante la ‘ migliore gioventù‘, ovvero fin  ai 30 anni.

” I paragoni – confessa onestamente  Merckx - non mi sono mai piaciuti … Merckx  più di Coppi? Lui il più grande, io il più forte? Cosa significa ? Nulla. Io volevo solo essere il migliore della mia generazione, Lui, la sua, l’ha stravolta …”.  Forse, qui, a recar lumi, basterebbe Raphael Geminiani, che i due ha ben conosciuto. E Geminiani, si sa, che abbia detto.  Sull’uno e sull’altro.
” Quando Fausto vinceva per distacco – chiosò tra l’altro  Raphael - non avevi bisogno di un cronometro svizzero. Andava bene anche l’orologio del campanile”.

IL GRANDE AIRONE HA CHIUSO LE ALI. Per ricollocare in giusta posizione  il grande campione  nato il 24 settembre 1919 a Castellania e che ha interessato le penne più autorevoli  del giornalismo ( non solo) sportivo,  ( non solo italiano) del Dopoguerra, basti il ‘saluto’ sulle colonne del ‘Corriere’ porto da Orio Vergani, il giorno dopo l’avvenuta scomparsa.

” Milano, 2 gennaio 1960. Il grande airone ha chiuso le ali. Quante volte Fausto Coppi evocò in noi l’immagine di un grande airone lanciato in volo con il battere delle lunghe ali a sfiorare valli e monti, spiagge e nevai?
Fortissimo e fragile al tempo stesso, qualche volta la stanchezza e la sfortuna lo abbattevano e lo facevano crollare a terra, sul ciglio di una strada o sull’ erba del prato di un velodromo: la sua figura sembrava spezzarsi in una strana geometria, come quella di un pantografo, e una volta di più suscitava l’immagine di un airone ferito. Altre volte era l’immagine di una tragica conclusione di caccia.
Quante volte, di lui affranto per la stanchezza sull’ erba, a pochi metri da un traguardo sentimmo dire: «Sembra un cervo moribondo»!
L’ occhio galleggiava immobile, con la pupilla arrovesciata al limite della palpebra: le guance erano scavate, le labbra anelanti per l’amara fatica: le lunghe braccia, le lunghe gambe come buttate là, senza più armonia, scompostamente, in una stanchezza mortale.
La fragilità fu la compagna sinistra di quest’ uomo che per tanti anni sembrò un ragazzo, il ragazzo più forte di tutti, sostenuto da una energia quasi magica, una forza da racconto delle fate. Il trittico su cui poggiava il misterioso ’sistema’ delle sue capacità fisiche – cuore, polmoni, muscoli – nascondeva, quasi invisibile, un punto di estrema vulnerabilità.
Questa era la vulnerabilità dei ragazzi. Coppi era rimasto tale: sembrava si fosse fermato al gradino dei sedici anni: ossa troppo leggere – dicevano: «Uno scheletro in canna» -, nervi troppo scoperti, un ingenuo palpitare dei sentimenti, un difficile equilibrio fra l’anima del ragazzotto di campagna ch’ egli era stato e l’uomo che la vita l’ aveva costretto a diventare.
Un abulico che poteva scatenare fulminei scatti di lampeggiante volontà; un uomo rimasto per tutta la vita stranamente melanconico favorito dalla natura, perseguitato – bisogna dirlo anche se toccò le soglie della più alta fortuna – perseguitato dalla sorte
. Ora che le ali del campionissimo si sono chiuse, non si può non ricordare quante volte la sua carriera e la sua vita stessa corsero il rischio di essere spezzate da quello che si chiama abitualmente un «banale incidente», una caduta come un ragazzo ne fa a centinaia, cavandosela con una sbucciatura ad un gomito o ad un ginocchio.
Mai nella forsennata vertigine della corsa, quando la ruota della bicicletta va saettando a disegnare il filo sospeso fra la vita e la morte sul ciglio di un burrone: ma a metà di una pedalata senza storia, a passo di carovana, a passo di trasferta.
Anche oggi, è un piccolo, misterioso, atroce imponderabile intervento del fato quello che colloca l’angosciosa parola fine alla sua vita. Fausto vinse sempre senza mai sorridere, quasi non credendo mai totalmente in se stesso.
Sembrava sempre soprappensiero: come stranamente e fissamente in ascolto di una qualche voce interna che gli andasse mormorando dentro una incomprensibile parola.
Quella parola segreta non era: ’Fortuna’. La guigne, vecchia parola dei tempi lontanissimi delle antiche corse su strada, ha rotto il filo della sua vita fragilissima, come un piccolo soffio di vento spezza il filo di una tela di ragno coperta di brina, là, sulle siepi invernali del suo paese di campagna”.

(  Orio Vergani,  1960, ’Corriere della Sera’ )

DOPING ? CHE SARA’  MAI STO  DOPING La più grande occasiona mancata dell’antidoping mondiale sembrava  aver recuperato l’ora del riscatto. Questo nella prima parte di ottobre.
Quando grazie ad una sentenza di un tribunale spagnolo e al lavoro della della giustizia sportiva italiana ha acconsentito che  le (oltre ) 200 sacche di sangue (  sopravvissute, tra le molte altre) durante la (fantomatica) Operacion Puerto  venissero ’assegnate‘ al Coni per dare ( finalmente) nome e volto ai 26 uomini e 3 donne  a cui  appartengono.  Restiamo nell’ attesa.  Trepidanti, anzi, titubanti.

Sempre sul filo rosso del doping colore giallorosso, era uscita la soffiata di un Sergio Ramos  afflitto da ‘ due irregolarità procedurali in altri test antidoping‘. Il Real dell’Innominato, ovviamente, ha alzato immediatamente il ponte levatoio.  Ma alcune carte ( peraltro) pubblicate, richiederebbero giusta luce sul ‘ guerriero’ del Blancos, che guerriero sarà pure ma con sempre più ombre sulla sua nuova capigliatura a fraticello.
Le carte rivelerebbero che il buon Sergio dopo la finale 2017, quella di Cardiff, che alcune e mail intercettate all’uopo, presentasse ‘ tracce di Desametasone, con proprietà antinfiammatorie, e che può essere consumato per via intramuscolare lontano dall’evento, fino a 24 ore dalla gara”. Dovrebbe essere dichiarato dal medico. Che però, nella circostanza, indicò un altro medicinale della famiglia dei Glucorticoidi, il Celestone cronodose ( anche questo proibito), specificando che nel pomeriggio della vigilia aveva fatto due iniezioni a Ramos, nella spalla e nel ginocchio, per calmagli i forti dolori derivati da problemi cronici ( mai resi noti in questa portata) agli arti in questione.

” Mi sono confuso-  si è  giustificato l’infallibile  cultore  delle sorti mediche del Real - per il clima di euforia che ci circondava. Nella sala antidoping entrarono infatti anche il re Juan Carlos e il primo ministro Mariano Rajoy ”(1) . Inutile aggiungere che citati (perfin0)  nomi ( tanto ) illustri, i ‘ vampiri‘ della Uefa si sono subito accoccolati in qualche buio angolo dell’edificio. Noi, invece, per quel che ci riguarda,  con irreligiosa curiosità, stiamo ancora  chiedendoci che ci siano  andati a fare il re e il ministro in una sala antidoping prima d’un evento planetario.

Nota. ( 1)  ‘La gazzetta dello sport’ , sabato 24 novembre 2018.

NUOVI STADI. Il ‘Castellani’ di Empoli potrebbe essere il primo stadio realizzato con un ‘ project financing’, con parternariato pubblico-privato. Una volta approvati progetto e piano economico verrà indetta una gara pubblica e l’Ati Pessina avrà il diritto di prelazione. La nuova struttura potrà ospitare circa 20 mila posti ( comodamente) seduti.

Prosegue   anche sul tema stadio la ‘ manfrina‘ romana, dove al giorno d’oggi manco i Cesari riuscirebbero ad abitare. Pallotta, che si illude di far tutto  d’Oltreoceano, vorrebbe sbrigarsi.  Ma della sua fretta, qua, ciascuno se ne frega. Intanto il progetto nuovo stadio lampeggia come le luci dell’albero di  Natale, dicendo: ‘ Ci sono, non ci sono …’.
Speriamo diano prova d’altro valore, quelli di Milano, che in fatto di realizzazioni hanno ben altra nomea. Intanto Inter e Milan sembrano trovarsi d’accordo su due ipotesi, innanzitutto: o riadattare il mitico San Siro ( 62 mila posti) o costruirne uno ex novo, a due passi più in là, nella verde zona galoppatoio.  Va bene anche così, l’importante è che  chi vuole seguire calcio a  Milanocontinui ad andare alla ‘ Scala’ e non in qualche squallida banliueu o in qualche  destrutturato  sobborgo metropolitano.

Del resto è (arci)noto che tra  le leve da azionare per recuperare il ‘fuori campo’ con le big europee ci sono gli stadi. Nel 2019 ci si attende la svolta, cioè un definitivo punto di chiarezza sui progetti ( in particolare) di Milano, Roma e Napoli. Se lassù, in Fgci, Lega, Governo o altri, qualcosa di nuovo sia ( davvero) sbocciato lo sapremo a breve.
Intanto, per la prima volta,   la Lega si è dotata di un ad: De Siervo, ebbene si diano a lui le deleghe necessarie per sviluppare un prodotto collettivo (in parte)  sull’esempio Premier,  ( in parte ) sul nostro  centenario   repertorio  sportivo che avrà (pur) qualche ‘scheletro‘ da togliere dall’armadio, ma anche qualche  ( preziosissimo )  ’  retaggio’ o ‘ lascito’ di cui far tesoro.

Sullo stadio dell’Urbe, in particolare, va registrata una dichiarazione a sorpresa del sindaco Virginia Raggi, 40 anni.

Allora, ci siamo o no, con questo nuovo stadio a Tor di Valle?
” C’è tutta volontà di andare avanti al più presto”.
Cosa manca al progetto per completare l’iter amministrativo e dar il via ai lavori?
 In primis, sto aspettando l’esito del parere che ho chiesto al Politecnico di Torino, poi penseremo alla variante urbanistica. Non è un atto dovuto ma ho ritenuto che, dopo tutto quello che abbiamo letto sui giornali, i cittadini abbiano il diritto ad un ulteriore approfondimento.
Ci sono alcune questioni aperte: ad esempio, io continuo a ritenere che si dovrebbe investire di più sulla linea ferroviaria Roma-Lido che collega il centro a Ostia. Il progetto sarebbe ancora più bello e utile alla città. In pratica, dopo la relazione del Politecnico completeremo l’iter. I lavori potranno partire già entro quest’anno”.

La gazzetta dello sport, venerdì 18 gennaio 2019, pagina 14)

UNA VALLE DI LACRIME. Che questa sia una valle di lacrime lo sapevano anche qualche migliaio di anni fa, ma che di lacrime dovessimo riempire ancora ( buona parte) dei giorni odierni di sport, o meglio di calcio, questo, forse, non è ( proprio) un ‘ accadimento scontato’.
Eppure resta ‘salda‘   la ‘ folle’ passione del Belpaese,  che ( per una somma di ragioni) spesso e volentieri più  deprime che rallegra. L’ultimo episodio, quello di Milano, esploso nell’anteprima di Inter-Napoli, con un 38 enne varesino di fede nerazzurra rimasto esanime sull’asfalto dopo un violento combattimento ( non si sa bene) contro chi e che cosa, rimanda in cavalleria i tanti, inutili, sempre inutili, buoni propositi, che erano stati  formulati ( anche solo) dopo l’ultima sciagura.

Scena non luttuosa ma  raccapricciante si è vista anche all’interno dello stadio, allorquando qualche (così nomato) tifoso di curva, s’è divertito a spedire insulsi ‘ buu, buu’ ad un giocatore di colore napoletano, bravo, bravissimo sotto ogni profilo, fin ad innervosirlo, fin a farlo (incredibilmente) espellere da un arbitro ligio alla regola ma non al buonsenso.
E così, noi, tutti noi, allo stadio, ma anche sul divano, altro non abbiamo  potuto che ‘sorbirci’ l’ennesima performance di chi ha smarrito non solo il senso del rispetto umano ma anche quello per cui si assiste ad  un moderno confronto sportivo. Non ci piace allungarci in analisi. Omelie. E simil altro. Se ne ascoltano fin troppe, in giro, sopratutto a posteriori, quando per  certe ‘sciagure’ poco o nulla si può più fare. Eppure suggerisce un autorevole  studio: ” Le sanzioni collettive sono eticamente scorrette e controproducenti.

Meglio usare le telecamere per identificare i sospettati,  collaborare con le autorità competenti per accelerare i processi  ed  evitare le ammende imponendo invece sanzioni come la condanna ai lavori sociali, perchè dover spiegare al datore di lavoro di doversi assentare per una sentenza ha più potere persuasivo di una ammenda…
La responsabilità non ( deve) ricade(re)  sui club, le leghe e le federazioni, ma dev’essere sostenuta dalle autorità locali e nazionali, che hanno la possibilità di dimostrare con quanta serietà intendano aiutare i club a stradicare razzismo, discriminazione e violenza”.
Ma il  problema, giusto  che sia o meno il suggerimento, sarebbe  mettere le autorità locali e nazionali in un contesto condiviso. Cosa, oggi, estremamente difficile.
Demagogia, individualismo, frammentazione, partigianeria etc., non stanno creando infatti quel contesto diffuso, indispensabile e condiviso che conferirebbe l’autorità auspicata all’autorità designata. Senza autorità, si sa, homo homini lupus. 

L’ OCCIDENTE CONFUSO. Non è bastato ( qualche giorno fa) Putin a  rammentare alla sciagurata genia umana un possibile ( se non imminente) scenario nucleare; non sono bastati secoli di continua e circostanziata  ‘demolizione‘ di quel che recò al mondo il giorno della  ’venuta al mondo’ del ‘figlio di Dio‘ , che non sono mancate  frotte di epigoni  decisi a spegnere le ultime luci su un evento che ha ‘ tracciato‘ e ‘segnato’  storie ( ormai) profonde due millenni.

Sulla ‘prima‘ di un celebre quotidiano italiano è spuntata infatti una recensione, la solita ormai da anni alla vigilia dell’evento cristiano, a metterci sull’avviso che stiamo a festeggiare ‘ bufale, miti e leggende’  d’ una festa ( gradita al mondo dei consumi) e che così appare da qualche secolo in qua. Da noi, ad esempio, l’albero addobbato, non il presepe, fu introdotto da Margherita di Savoia, ovvio, ai suoi tempi. Eppoi, chi l’ha mai detto, se non quell’ingenuo di frate Francesco, che  c’erano la grotta, il bue e l’asinello, e che i Magi     fossero tre e anche  re?
C’è,  insomma tanta  gente, anche prestigiosa, anche dal gran nome, che circola per il Mondo  dilettandosi ad iniettare ‘ dubbi’,  (altre) ‘ verità’,  ’ veleni’. L’importante è che il ‘ favoloso evento’ abbia a scomparire ( una volta per tutte)  dagli orizzonti del ( cosiddetto) uomo moderno. Sopratutto se occidentale.
Che  dev’essere impresa ostica, anche perchè restano non pochi problemi a spiegare qual ‘ spirito’ e ‘ qual genio’ abbia ‘elevato’, cattedrali, leggi, valori, (società più ) umane e ( dulcis in fundo) grandi capolavori. Cristiani, diciamolo chiaramente, una volta tanto, e che altro?
Del resto i  ’poveri’  , quelli che hanno conservato (ancora ) la ‘ libertà di credere a chi loro più affida‘ queste cose le sanno.
E continuano a stringersi, più numerosi di quel che lasciano ad intendere i ( cosiddetti) ‘ sondaggi‘, fatti apposta per celebrare ideologie e agevolare consumi, non intorno ad un ‘presepe degenerato‘, come van predicando  gli ‘ illustri maestri‘, ma ad un ‘evento‘  antico, sconvolgente, unico,  diversamente  ‘raccontato’  nel tempo, certo, eppure  dopo due millenni  (e nonostante tutto )  condiviso e diffusamente attuale. Un respiro di fede, evviva, lungo la meravigliosa Penisola. 

NOTE STORICHE.

IMPERO CAROLINGIO E SACRO ROMANO IMPERO.

Nascita. L’epoca di Ludovico il Pio, Carlo Magno era il figlio di Pipino il Breve, quindi il secondo sovrano pipinide del regno di Franchi. Salito al potere come unico sovrano dopo la morte del fratello Carlomanno, iniziò una serie di campagne militari di successo, che lo portarono presto ad ingrandire i suoi possedimenti verso la Sassonia, la Baviera, la Marca di Spagna (fascia pirenaica della Spagna del Nord) e l’Italia, strappata ai Longobardi. Inoltre sconfisse gli Àvari, ottenendo la sottomissione della Pannonia, dove essi erano insediati, come stato tributario, mentre un’analoga sorte si attuava verso il ducato di Benevento.
Alla morte di Carlo l‘Impero avrebbe dovuto essere diviso tra i suoi tre figli maschi legittimi, ma la morte prematura di due di essi fece sì che il trono passasse nelle mani di Ludovico, detto ‘il Pio’ per la sua attenzione alla religione. Ludovico non fu un sovrano energico come il padre, bensì era interessato soprattutto alle questioni religiose nella convinzione che l’adesione alla dottrina cristiana avrebbe garantito quell’ordine e serenità all’Impero che veniva teorizzata dai suoi consiglieri quali Benedetto d’Aniane o Agobardo di Lione.
Nella pratica Ludovico divenne presto un sovrano incapace di manifestare la sua autorità, mentre le regioni imperiali divenivano soggette sempre più all’aristocrazia franca.
Un suo tentativo di destituire il nipote Bernardo, ucciso dopo essere stato accusato di tradimento, macchiò per sempre la sua coscienza e, su spinta degli alti prelati, fece pubblica ammenda che lo screditò ulteriormente agli occhi dell’aristocrazia.

Già prima della sua morte spartì l’impero tra i suoi tre figli LotarioPipino e Ludovico II il Germanico, ma il già fragile equilibro si ruppe con l’entrata in scena del figlio del suo successivo matrimonio, Carlo il Calvo, che diede origine a una guerra civile che aggravò l’instabilità del potere centrale, anche se si alternò a periodi di pace per lo scarso interesse dell’aristocrazia di parteciparvi.

La divisione dell’Impero. Alla morte di Ludovico il Pio (840Lotario I assunse la corona imperiale, come previsto dal padre, mentre i due fratelli superstiti Ludovico e Carlo si allearono per obbligarlo a cedere una parte del potere. Il giuramento di Strasburgo, rivolto alle truppe dei due fratelli, è rimasto famoso perché conserva il primo accenno scritto alle nascenti lingue francesi e tedesca.

Nell’843, con il trattato di Verdun, Lotario dovette scendere a patti: mantenne la corona imperiale, ma si limitò a governare la fascia di territorio centrale tra Mare del Nord, bacino del Rodano, del Reno, le Alpi e l’Italia, con le città di Aquisgrana e Roma. Carlo il Calvo prese la Francia “occidentale” (odierna Francia senza la fascia più vicina all’odierna Germania e la Provenza) e Ludovico il Germanico la “Francia orientale”, corrispondente alla porzione odierna di Germania compresa fra il Reno e l’Elba, fino alla Baviera e la Carinzia comprese.
Con la morte di Lotario, Ludovico prese la corona imperiale, quindi nell’875 gli succedette Carlo il Calvo, sostenuto da papa Giovanni VIII, che vedeva in lui un possibile alleato contro il principe di Spoleto e i musulmani, insediati alla foce del Garigliano.
Carlo il Calvo morì nell’877 con l’impero carolingio ormai in dissoluzione. Gli succedette Carlo il Grosso, figlio di Ludovico il Germanico, anch’egli incoronato da Giovanni VIII, sempre in cerca di protezione; ma l’imperatore non riuscì a impedire l’assassinio del papa nell’882, durante una delle frequenti guerre civili combattute a Roma dall’aristocrazia locale.
La minaccia di incursioni esterne, Normanni e musulmani in prima linea, avevano messo in dura difficoltà Carlo il Grosso, tanto che i Normanni assediarono la stessa Parigi. In questa situazione fu costretto ad abdicare da un’aristocrazia che si rifiutava ormai di obbedirgli (887). Trascorse gli ultimi mesi della sua vita in prigionia, senza alcun successore sul trono.

Differenza tra Impero carolingioSacro Romano Impero

L’impero carolingio era strettamente correlato alla figura del suo fondatore Carlo Magno ed alla sua discendenza carolingia, alle sue conquiste e allo speciale rapporto che esso aveva instaurato con il papato. Anche l’impero romano-germanico (il Sacro Romano Impero, poi della nazione tedesca) era germogliato da quello carolingio, ma essendo venuta a mancare la parte occidentale del regno di Francia, per alcuni non poteva esserne erede, se non nella stessa misura della corona francese. La data canonica della sua fondazione è il 962, da parte di Ottone I.
Il titolo imperiale venne tuttavia trasmesso dai carolingi ai sovrani successivi e presenta pertanto una sua innegabile continuità. Per tale ragione nel computo degli imperatori del Sacro Romano Impero si suole generalmente risalire fino a Carlo Magno.

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