Creta. Origini d’un passato sepolto in un labirinto. Con Minosse, Pasifae e il Minotauro.

ISOLA DI CRETA. C’è viaggio e viaggio, uno sempre diverso dall’altro, e questo tra gli altri è stato un viaggio nella mitologia. Greca, più che romana o d’altra area del Mediterraneo. Un ‘tuffo’ quindi nel passato remoto della nostra cultura europea di cui sentivo il bisogno dopo anni trascorsi sui libri per meglio conoscere quelle genti ( in buona parte) ancora ‘ misteriose’ e tuttavia ‘ fascinose’ che abitarono l’ isola di Creta dal protominoico al subminoico, più o meno dal IV al I millennio a.C., in un’area mediterranea più mare Egeo che Ionio.
In quattro siamo ‘sbarcati’ a Creta, all’alba di una domenica di fine aprile, dopo un complicato volo charter da Milano per Iraklion, capitale dell’isola. Là, abbiamo trovato un’alba azzurra e frizzante. E dunque invitante. Infatti, non appena superato lo stress del volo, siamo passati ( senza dar tempo al tempo) a ‘compilare’ i ‘piani d’attacco’ d’un territorio che si moriva dalla voglia di scoprire. Questa volta non più attraverso l’esercizio dell’immaginazione sui testi, o con qualche raro filmato, ma nel concreto.
Vero è infatti che i libri insegnano, e tanto, ma il contatto diretto offre tutt’altra cognizione. Per meglio scoprire. Per meglio valutare. Anche se inizialmente solo attraverso l’impressione. Gli appunti. Soprattutto quelli rivolti alla caccia del ‘mito’, presente ovunque, ma problematico da decifrare nella sue forme allegoriche, utilizzate dai popoli antichi per narrazioni favolose di avvenimenti, gesti, imprese e origini degli e dei e degli eroi.
Personalmente avevo proprio bisogno di ‘mettere ordine’ ad una materia tanto attraente, variegata, dibattuta, e mai sufficientemente assimilata e ordinata.
A 5 chilometri da Iraklion, nella vallata del fiume Katsambàs, su un’altura posta sulla sua riva occidentale non lontano dal mare e protetta dalla catena dello Haghios Ioannis, si trova il remoto insediamento urbano noto con il nome pre-ellenico di Cnosso.
Ovvero un labirintico centro ’palaziale’ che, rapportato alle dimensioni urbanistiche odierne, appare ( tutto sommato ) assai ‘ridotto’ nel suo chilometro quadrato o poco più d’espansione.
Dove, però, da qualche secolo in qua, tra errori umani e rovine d’epoche diverse, ma anche tra preziosi ritrovamenti dovuti alla solerzia ( non esente da eccessi) di personaggi come l’inglese A.Evans, sono state ‘recuperate’, ‘ ricomposte’ e ‘ridestate’ leancestrali fondamenta dell’Occidente.
A Cnosso il mito si assorbe dall’aria. Entra nell’intimo. Sollecita e alimenta la fantasia, costringendola a rovistare, ampliandoli, sedimentati nozionismi scolastici.
E questo ad iniziare dal versante superiore del palazzo, in (buona) parte (mal)ricostruito, e dove si ha il sentore d’imbattersi da un momento all’altro con i protagonisti del tempo che fu: Minosse e Pasifae, gli augusti signori del luogo; il Minotauro, inquietante mostruosità relegata nel labirinto; Dedalo e Icaro, padre geniale e figlio incauto, e finanche Teseo, l’eroe ingrato, e Arianna, la giovane generosa principessa sedotta ed abbandonata.
Interpreti, tutti, a vario titolo, di ‘favole’ e ‘ racconti’ attinti dalla ‘trasmutazione’ di eventi storici e sociali di un popolo che, qualunque siano stati i suoi rapporti interno/esterno, disastri della natura a parte, doveva risultare ‘pacifico’, ‘ operoso’ e ‘felice’: che palpiti di gioia, infatti, accendono quei delfini che rimbalzano giocosi sullo sfondo dipinto di ceruleo mare (sopravvissuto) sulla parete sinistra della ‘ sala della regina’, dalle finestre multiple ( lato est e lato sud ) affacciate su due pozzi di luce!
Minosse, e la sua ‘favola’. Già, e chi non l’ha conosciuta, fin dai primi giorni di scuola? Addentrandosi in alcune sale del palazzo è impossibile non ‘ incontralo’ ed ‘ammirarlo’, in silenzio, ovviamente, intento nell’ amministrazione della giustizia seduto sul minuscolo trono nella sala delle Doppie asce o, anche dell’altra, detta del Trono, dai colorati grifoni ai lati.
Cnosso, si diceva, ma ( inevitabilmente) anche altri angoli dell’isola. Oggi collegati molto agevolmente alla ( odierna) capitale. Dal territorio assai più ampio e organizzato di quel che si crede. Un territorio con tante ‘sorprese’ dietro l’angolo. Suadenti ed invitanti, come sguardi di dea. E comunque indispensabili per ottenere una visione adeguata e aggiornata dei ‘segni’ del tempo sull’ isola.
Richiami che il gruppo ( sei persone, tre coppie) ha cercato di mettere a frutto senza esitazioni, dirigendo dapprima ad est e poi ad ovest, dentro una monovolume blu presa a noleggio.
La prima sosta ( nell’andata) è stata fatta ad Agios Nicolaus e l’ultima ( nel ritorno) sulla brada spiaggia di uno dei siti minoici più attivi, Mallia o Màlia, oramai solo un selvatico groviglio di giocose suggestioni d’erbe dagli intensi profumi, tra terra e mare.
La ‘puntata’ da ‘più ricordare’ del nostro vagare è arrivata in un soleggiato venerdì mattina d’inizio maggio.
All’andata, sulla direzione Festos, Gortyna, Haghia Triada, Ritymna e , al ritorno, dopo una vibrante planata sulla comoda superstrada litoranea, verso l’approdo di Iraklion.
Festos è stata solo sfiorata, più per esaurire una curiosità archeologica che altro; non così è stato per Gortyna, ( da noi) per secoli ( negletta ) capitale dell’isola.
Infatti Gortyna, per chi si spinge nell’interno di Creta, è una vera ‘novità’ . Intrigante. Da non trascurare. Anche perché ( qui più che altrove) è possibile ‘ cogliere con l’immediatezza dei sensi’ la ‘ genesi’ oscura di ‘ favole’, ‘vicende’ e ‘protagonisti’ dell’alba mediterranea, come Zeus ed Europa; o anche Demetra, Eracle, Minosse, Gortys e Radamente.
A Gortyna hanno ( curiosamente) attecchito le ‘prime radici’ del cristianesimo, grazie a Paolo di Tarso, il discepolo Tito e i Dieci Martiri, che qui rintracciate ‘spiegano’ e ‘semplificano’ di molto nozioni inveterate su una religione che ha conquistato il mondo.
In questa riposta culla del mito ellenico, al fresco d’un ombroso platano ( ancora indicato) alle spalle dell’ Odeon romano sulla riva destra del Leteo, Zueus si unì ad Europa, una leggiadra e nobile fanciulla rapita in Fenicia.
La galeotta brezza che accarezza da epoche immemorabili i campi fitti di platani e ulivi attorno a Gortyna, costrinse perfino la regina Pasifae ad accoppiarsi ( inconsapevolmente) col toro ‘donato’ da Poseidone al consorte Minosse, per mettere al mondo il Minotauro.
L’orribile uomo-toro, per i più ( ancora) ‘segregato’ nell’oscurità del labirinto palaziale opera di Dedalo a Cnosso ma che , stando ad una tradizione tardo-bizantina, sarebbe stato ‘nascosto’ non a Cnosso ma dentro un’impenetrabile grotta artificiale ( forse una cava) ubicata nei pressi del villaggio di Kastelli.
Come non bastasse, sempre negli paraggi della prolifica Gortyna, la dea dell’agricoltura e della fertilità Demetra s’accoppiò con Giasone, generando Plutone, signore degli Inferi. Intrecci divini simili agli umani ‘immaginati’ per ‘leggere’ il mistero della vita.
Gortyna, fondata da Radamente figlio dell’eroe eponimo Gortys, era nota ad Omero che la menziona come città ‘dotata di mura’. Dalla ‘attualità’ poco sondata per quel suo ‘Codice delle leggi’, risalente al V secolo a.C., scolpito in 12 colonne su una parete di pietra, e tuttora leggibile quale più antico codice civile d’Europa.
Lungo la direttrice ovest s’è avuto modo di ‘verificare’ anche altri ‘trascorsi’ fondamentali del mito greco, ad esempio, transitando sotto il monte Ida, è parso inevitabile ‘salire’ per ‘constatare’ il più direttamente possibile le tante caverne dove Hera avrebbe nascosto il neonato Giove per evitare che venisse divorato ( al pari dei fratelli ) dal ( geloso) consorte Cronos, loro padre.
E così, dopo avere raccolto tante tessere, come resistere la tentazione di comporre un (primo) sintetico mosaico di personaggi e di significati? Con riflessioni non facili. Per soddisfare l’eterno bisogno di chiarire il ‘mistero’ del prima e del dopo. Che può avvalersi di più approcci e strumenti.
Nel tempo, al mito, si sono via via ‘ aggiunti’ e poi ‘alternati’ la religione, la filosofia e ( in tempi più recenti) la scienza. Tutti step indispensabili ( dicon oggigiorno) d’un percorso di conoscenza.
Che proprio ‘viaggi’ come questo, nel fertile grembo dell’Occidente, forniscono di elementi indispensabili. Da approfondire. Da confrontare. Anche perché, sull’isola dei padri, mito, religione e scienza, sembrano ( tuttora) intrecciarsi, compenetrarsi, mantenendo vivo un impercettibile fil rouge che li collega tra loro più di quel che s’osi supporre.
Per valutare il ‘ radicamento’ dell’anelito religioso a Creta basta entrare in un luogo sacro, qui di rito ortodosso, dove la solidità del rapporto emana spontanea da una penombra silenziosa e devota; e rischiarata da immagini con sfondi preziosi e solo ( apparentemente) ‘ raffermi’ al Medioevo.
Così è stato nel monastero femminile di Mires, per estrapolarne uno, con i suoi ( sempre simili ) volti di Cristo e della Madonna, in pose ieratiche, trascendenti, circonfuse d’oro e argento. Non segno di ricchezza e di potere, ma solo di salvifiche visioni.
Ma il breve ‘soggiorno’ cretese non s’è consumato soltanto tra mito e sacro. Perché, soprattutto sul ( veloce) percorso di ritorno Gortyna-Ritymna-Iraklion, s’è trovato modo e tempo per condividere momenti quotidiani. Distratti. Fors’anche banali. E pur sempre ‘condizionati’ tra una ‘scoperta’ e l’altra.
Come sotto quel sole cocente della minuscola e graziosa baia di Matala, con le sue grotte preistoriche; o all’ombra delle odorose ‘folate’ di ‘bugonvilles’ arrampicate ad arte lungo i muri di case basse in calce bianca per ‘ proteggere’ dal sole i tavoli all’aperto dei ristoranti di Agia Galini, un borgo d’ombrose stradine che digradano verso il sonnolento porticciolo.
O come nella zona portuale del centro di Ritymna ( tuttora) difesa dal monumentale forte veneziano e con l’affollato centro storico ‘pullulante’ di mille richiami turistici e ‘refrigerato’ da una graziosa fontana con tanto di sopravvissuto ‘signacolo’ di San Marco, che ‘dialoga’ con un minareto.
Difficile è dimenticare l’albergo che ci ha ospitato, con il selvatico e denso verde mediterraneo alle spalle e il ceruleo trasparente mare Ionio di fronte. Un dì, al tramonto, nella ariosa sala da pranzo con lunga vetrata lato mare, in francese, qualcuno ha gridato : ‘ Les delphines ! Les delphines!’.
Un richiamo sufficiente a far gettare repentinamente l’occhio di tutti i presenti sui riverberi rossastri di un mare appena increspato dal solito impercettibile alito di vento. Diciamo che ‘qualcosa’ s’è visto, dapprima balzando sull’onde , eppoi per rigettarsi in mare. Rapidamente. Troppo rapidamente, in vero, per poter dire se si trattasse o no di ‘delfini’ o ‘d’altro’.
Certo è venuto spontaneo associarli ( inconsciamente) ai dipinti di mano ignota ancora ammirabili nella stanza della regina, lassù, al piano alto sbriciolato dal tempo, dei resti palaziali di Cnosso.
Del resto i delfini, in questo mare, sono presenze familiari. Dalla notte dei tempi. Costantemente tutelati. Anche perché considerati ‘esseri particolarmente intelligenti’, ‘amanti della musica’ e ‘ generosamente predisposti’ a salvare natanti e naufraghi.
Meriti non da poco, questi, per chi, partendo alla conquista del Mediterraneo senza ricorrere a strumenti di guerra o di offesa, basava (pacificamente) speranze e fortune ( soprattutto) sulla navigazione e sul commercio. Mentre a ‘tutelare’ i delfini, ben oltre dio o uomo che fosse, provvedeva l’occhio ( parimenti ) amorevole e severo di Apollo, figlio di Zeus.
Roberto Vannoni
15/05/2007