Non solo sport. Non ‘amor cortese’ ma ‘ amor finito’ tra Max e la Signora. Volley azzurro sul tetto d’Europa.

LA CRONACA DAL DIVANO. Vediamo di fare il punto. Allora: la F1 nell’attesa attesa del sesto appuntamento stagionale sui tornantini di Montecarlo ha appreso la triste notizia della morte di Niki Lauda, 70 anni, tre volte campione del Mondo di F1 ( due con la ‘rossa‘); la MotoGp s’è dovuta ( una volta di più) sorbire l’assolo del solito cataluno in sella ( ripetiamolo) ad un purosangue avverso ad altri su ronzini e bardotti, con il nostro più contro mulini a vento che altro; gli Internazionali d’Italia sono andati ( una volta ancora) al formidabile Rafa maiorchino impostosi sull’amato Nole serbo;
la pallavolo italiana ha dato spettacolo sul tetto d’Europa, con Novara su Conegliano ( nel femminile) e Civitanova su Kazan ( nel maschile) ; il Giro, che sotto infinite tempeste d’acqua, è salito sul Titano con i suoi Titani: avrebbe vinto Roglic, 29 anni, sloveno, nuovo gran specialista del crono, con una formidabile prova contro il tempo, ma il nostro Nibali non s’è affatto spaurito e pur con un minuto sul groppone può ancora giocarsi le sue carte per suo terzo lauro nella corsa a tappe ( non s’0ffenda il vecchio e caro Tour) più bella ( e dura) al Mondo.
Non ce l’hanno fatta a battere l’Olanda i ragazzini della U17, forse, già troppo ‘ pressati‘ dalle nostre ( eccessive) attenzioni. A breve andranno in campo per i Mondiali anche quelli del U20. Da rimarcare inoltre in questa altri sport ( da noi) detti minori, che minori ( proprio) non sono. Come il taekwondo, che ha regalato al giovane Simone Alessio, 19 anni, il Mondiale nei 74 kg: sarebbe il primo azzurro nella storia di questa disciplina.
O come il motocross, MXGP, che in Portogallo ha visto il nostro Cairoli, nove titoli mondiali, contendere allo stremo contro il ( più) giovane Gajser un allora prestigioso. Al momento, dopo la prima prova in Lusitania, Cairoli guida il Mondiale con 263 contro 226 di Gajser.
Per quel che riguarda il pallone, la bomba sta nell’annuncio ( nell’aria) dell’esonero ( consensuale) di Allegri alla Juventus. Ben condotta ma niente affatto convincente è stata la conferenza stampa indetta per dare al mondo il grande annuncio. L’annuncio non dell’amor cortese ma dell’amor finito. Che apre (però) nuove ed interessanti prospettive.
Non solo italiche, visto che coinvolgerebbe nomi di prestigio ( anche) impegnati nell’Altrove o in Albione. Come il buon Sarri che nonostante le ( reiterate) sperticate lodi della Premier ‘ paese dei balocchi della pedata‘, potrebbe tornare laddove ‘mamma’ comanda. Potrebbe, perchè le sorprese ( con la Signora) stan dietro all’angolo.
Il ‘sorrisino‘ illuminante del buon Nedved lo lascia presagire. Probabile, infatti, che i giochi siano stati fatti anche su questo versante. Non con il Conte Dracula che ( dicono) si sia ‘promesso’ alla Beneamata, sempre che questa riesca a battere ( nell’ultima, a San Siro) il travolgente Empoli sognante l’impresa della vita.
E se la Dea del Gasp con quel pari ( 1-1) contro la Signora raggiunge al terzo posto la Beneamanata, entrambe non possono cullar sogni tranquilli, perchè al tergo incombe la truppaglia del Ringhio, tanto criticata, tanto rabberciata, tanto desiderata, ma ( ora) ad un sol punto dal quarto ( terzo) posto Champions. In coda alla classifica, ci sarà spareggio tra Empoli ( 38 punti) e Genoa (37). Dire come andrà a finire non è dato a sapere, visto ad essere impelagata è ( soprattutto) la Beneamata.
L’INCHIESTA DEL CORRIERE SUL CALCIO. Questa volta l’iniziativa è del ‘Corriere dello sport’ , che sul nostro calcio cerca di fare chiarezza. Intanto sulle entrate, che sono oltre i 2 mld ( 2.2 mld) , ma sotto ( di non poco) rispetto alla Bundes ( 2,8 mld) e alla Liga ( 2,9mld). E soprattutto alla Premier ( 5,3 mld), che in ogni rivolo a favore riesce a trovare oro.
Noi che potremmo implementare introiti ( soprattutto da stadio e da diritti televisivi esteri) di tanto e in poco tempo, ce ne stiam con le mani in mano. Infatti possiamo far accomodare sulle poltrone di comando chi e quanti vogliamo, che il risultato ( più o meno) resta ( purtroppo) lo stesso. Si veda la quaestio stadi. Che se ammodernati come Dio comanda tanti introiti produrrebbero, ma che restano al palo, nella loro obsoleta noncuranza. Si veda San Siro. Si veda l‘Olimpico. si veda il San Paolo.
Qualche mosca bianca svolazza, come a Udine o a Bergamo, ma è ( ancora) poca cosa rispetto a quello che ci vorrebbe per tornare ( anche qui) sul tetto d’Europa. E qui ci sovvengon le frotte di presuntuosi, ben sbarbati e di griffe vestiti, tutti a gambe accavallate su calde ( e remunerate) poltrone raccolti, a dir del loro. Che nulla cambia. Che nulla crea. Se non i calcinacci che, da quel che si dice, sembrano ( ora) staccarsi ( perfino) dal terzo anello del vetusto e glorioso San Siro.
NELL’ATTESA DI MONTECARLO. Vanno in archivio le ostilità nella F1, con la quinta doppietta di fila in Spagna delle auto di Stoccarda ‘ pilotate’ da Toto Wolff. A noi tocca di vedere le vicende del gran ‘ circus’ automobilistico dall’esterno, da sopra un divano, e quindi con conoscenza attenta ma non diretta di persone, fatti e cose.
Catturiamo impressioni. Non da svolazzanti, però, visto che molti altri le condividono. Ebbene, a noi, in questa, non fa altro che tornare alla mente quello straordinario uomo col ‘ maglioncino blu’ che dopo la Fiat aveva riportato tra le aziende leader anche la ‘ rossa’ di Maranello.
Riportata in condizioni di competere e (perfino) di sopravanzare le ‘ frecce d’argento‘. Ma ora, che quella carismatica presenza non c’è più, in casa della ‘rossa’, sembra tutto riavvolgersi all’indietro. Agli anni della desolazione. Con un Binotto ( e sui ragazzi) confuso e senza più ‘ poteri magici’ . Toto, ovviamente, con quel suo camice bianco sterilizzato, esulta. Concedendosi perfino il lusso d’un derby per il titolo circoscritto ai suoi due driver .
A breve si correrà sulle impervie stradine di Montercarlo, circuito prestigioso ma ( soprattutto) per chi ha casa e residenza fiscale nel feudo dei genovesi Grimaldi. Ma questo conterà poco. Perchè quello è un circuito a sè stante. Forse ( particolarmente) appetibile al giovane Leclerc, che del principato è nativo.
Ma ( poco) o nulla più, per valutare una stagione della ‘rossa’ che s’annuncia ( speriam d’essere smentiti) tra le peggiori mai fatte. Con Binotto non più Binotto. E con due driver non in grado d’affrontare perfino il redivivo Bottas. Seba ci sembra sazio, mentre Carletto deve ancora digerir pagnotte per metter all’angolo quel genio del Toto che ben sa ‘ alternare’ i suoi due ‘ fenomeni’ al volante. Di qualsiasi pista al mondo.
Da rimarcare, qual nota a margine, che in Spagna dopo le due Mercedes, s’ è portato lo smanioso Vestappen con la RedBull: ci sovvengono però i brividi, nel pensare che non solo i soliti di Stoccarda ma anche altri in altre terre acquartierati potranno disporre a piacimento ( nei prossimi Gp) della (pur) sempre mitica ‘ rossa’.
VECCHIO CARO GRANDE GIRO. Viaggia sotto bufere d’acqua il Giro, che grazie alla sua morfologia storica e geografica non può che essere il ‘più bello e difficile ’ al Mondo. Si può vincere il Tour, o una Vuelta, ma se non si aggiunge al palmares anche il Giro, le porte dell’ immortalità sportiva in bici restano chiuse ( o quasi).
L’edizione di quest’anno che nasce in sintonia con anniversari speciali come quelli dedicati a padre Pio, Montanelli e Leonardo, è dedicata al Grande Airone, l’uomo di Castellania, il più grande tra quanti si sono cimentati nello sport della bici. ” Cosa mai avrebbe vinto quest’uomo – si chiede con grande onestà Mercks nella prefazio al bel libro di Auro Bulbarelli - se non ci fossero stati gli anni della guerra ( e della ricostruzione ) a ‘ridurre’ e ‘condizionare’ il suo curriculum sportivo?”.
Al Giro, sempre più evento mondiale, il prossimo anno infatti partirà da Budapest, raccoglie al momento un budget di circa 40 mln di euro; tanti, con una visibilità internazionale per tappa intorno ai 900 mln di contatti. Ma cifre record a parte, quel che più conta è che resta sempre viva l’attesa di porre orecchio a quel fruscio di ruote d’audaci eroi che scivolano lungo le strade meravigliose, impervie ed imprevedibili del Belpaese. Miracolo conosciuto e sconosciuto insieme.
IL LAURO D’ALBIONE. Guastar la festa, soprattutto se tanto danarosa, non è bello. Anche perchè, oltre che a risultare antipatici, si rischia di farsi mandare ‘ a quel paese‘.Eppure quel Made in England stampigliato da quattro loro squadre sulle finali di Coppe europee di calcio, non ci convince più di tanto. Onde per cui non ci riesce d’esultare più i tanto come van facendo i ‘ faciloni’ di casa nostra sempre pronti a salire sul carro del vincitore non appena questo bordeggia le gambe nostre.
Non è una questione di ranking Uefa che, a questo punto, volgerà nettamente a favore dei valorosi d’Albione. Togliendoci quella ( non remota) possibilità di affiancarli e superarli. E’ una questione di trasparenza che nello sport, qualsiasi sport, non è solo forma ma sostanza. I ragazzi che s’affacciano sullo sport credono in quel che vedono ed ‘ingannarli’ non conviene a nessuno. Di qua e aldilà dell’Alpe.Veniamo al sospetto, che non è una prova, ma solo un sospetto.
Delle beghe con l’antidoping di Ramos lasciamo perdere. Rivolgiamo invece lo sguardo sui vari campi di gioco, dove le figlie calcistiche d’Albione hanno fatto sfracelli. Correndo a perdifiato. Fin oltre i tempi supplementari, come i ‘reeds’ con i ‘ lancieri’, più giovani ma questo ( evidentemente) poco importa quando nella mischia si possono gettare energie prodigiose che rendono poca cosa perfino il ‘ genio della lampada del calcio di tutti i tempi‘ , costretto ad assistere più che a partecipare.
Durante le telecronache un commentatore s’è lasciata sfuggire l’annotazione ‘ ma come fa al 92′ a lanciarsi con tanta energia in quegli spazi vuoti ?’. Sul Corriere dello sport, invece, nelle pagelle stilate da Alberto Polverosi si legge, tra l’altro, questa valutazione su un centrocampista del Tottenham: ” Dopo 20′ ha il fiatone essendo costretto non a correre ma a ricorrere. Non si sa dove riesca a trovare tutte quelle energie nel secondo tempo, quando resta l’unico mediano in campo’. Già, dove le trova? Chi sa ce lo vuol spiegare, por favor, una volta per tutte?
Detto tutto questo, e in attesa di lumi, non possiamo non fare un bilancio della travolgente ascesa di Coppa delle squadre d’Albione. Il Liverpool ( 5 Coppe vinte) dovrà vedersela con ilTottenham ( nessuna Coppa vita) per la Champions, mentre il Chelsea ( 1 Champions) dovrà fronteggiare l’Arsenal ( nessuna Champions vinta). Sarà dunque l’edizione dei ’ calimeri piccoli e neri ‘ che finalmente ( Liverpool a parte) potranno togliersi la soddisfazione di trasformarsi ( una volta tanto) in candidi ( agognati) cigni .
Scompaiono dall’ orizzonte, dopo due lustri ( almeno) di ( quasi) absoluto dominio, le ispaniche. La ’punitio divinis’ inflitta al Barca dai giovanotti dell’Ajax è stata dura. Forse troppo dura. Ma tant’è, Eupalla quando crede può fare questo ed altro. Diciamo piuttosto che al cospetto di tanta nuova realtà calcistica trovare un futuro per le nostre squadre è problematico. Squadre che ancora passeggiano in campo, mentre l’altre volano.
IL BUON SARRI. A margine il commento( tuttora) entusiasta pre finale del buon Sarri, toscano come Collodi, approdato nel Paese dei balocchi del calcio mondiale. Che, in ogni caso, sia chiaro, di pregi ne ha tanti. A prescindere dal buon Sarri. Al quale auguriamo di restare ( se glielo consentono) a lungo laddove cuore ( e tasca) più forte comandano.
FINALE CHAMPIONS: ( Madrid, 1 giugno) Liverpool-Tottenham; FINALE UEFA ( Baku, 29 maggio) : Chelsea- Arsenal.
Trema San Siro, vetusto e glorioso. Ma oramai ai calcinacci. Speriamo solo che Milan sia Milan, quella che ‘ respira‘ moderna Europa e non troglodito Medioevo. Donde invece sembrano arroccati quelli sul Tevere. Che di tutto parlano ( e sparlano ) fuorchè di fare.
STORIE DI SPORT VERE O FASULLE. Di sport, oggigiorno, non si finirebbe mai di trattare. Anche perchè sta ‘invadendo’ ogni attimo del quotidiano. Giusta quindi la proposta d’inserirlo nelle ore di storia scolastiche quale momento, o momenti, importante/i della vita di un popolo.
Del nostro popolo, che allo sport deve tanto. In particolare appresso certi momenti di difficoltà ( o di ‘rinascita‘) dove sono bastati alcuni nostri grandi interpreti per ( contribuire) a (rei)infondere con le loro storie straordinarie orgoglio e voglia di lottare.
In questo frangente assai emblematico, più di smarrimento che altro, a due storie ci par d’0bbligo riferirsi: quella del Grande Airone di Castellania ( scomparso il 2 gennaio 1960) e il Grande Toro ’ distrutto’ in un incidente aereo sul colle di Superga il 4 maggio di sett’anni fa.
Del primo basta rifarsi all’ epica penna d’Orio Vergani; del secondo alla lettura fatta a voce limpida dal suo giovane odierno capitano Andrea Bellotti della lapide in cui restano marchiati ad imperitura memoria i nomi di giocatori, dirigenti, tecnici e componenti dell’equipaggio. Gli adolescenti, ai quali bisognerebbe rammentare più e più volte le radici sulle quale affondano i lori piedi in un contesto tanto disperso, non impiegano tanto a cogliere nessi e valori e sottintesi. Anzi. Sono proprio loro che davanti a cotal passato possono (ri)assumere linfa vera, benefica e duratura per evitare di ‘disperdersi‘ nei meandri senza fine creati da falsi miti, valori e maestri d’un epoca ( non esclusivamente) social.
XXIX DI CAMPIONATO. Juventus punti 89 ( Campione d’Italia) , Napoli 79, Inter 66, Atalanta 66, Milan 65, Roma 63, Torino 60 … ( retrocessione) Udinese ( una partita in meno) 40, Parma 39, Empoli 38, Genoa 37, Frosinone 24 ( retrocesso) , Chievo 15 ( retrocesso).
XXX DI CAMPIONATO. ( alcune) Inter- Empoli, Atalanta- Sassuolo, Roma-Parma, Milan-Spal, Torino-Lazio, Lazio-Torino… Parma-Roma, Genoa-Fiorentina.
Cronaca non solo sportiva. Brucia l’antica cattedrale di Notre Dame di Parigi . Brucia non per un attentato o per altro intento doloso. Brucia per una ‘distrazione‘, tutta da verificare, di quanti stavano lavorando alla sua opera di ‘ ristrutturazione‘. Incredibile, ma vero. Quando la notizie si è sparsa per la grande metropoli la gente, segnalano i cronisti, di qualsiasi ceto e origine, di qualsiasi colore ed estrazione religiosa, di qualsiasi età e genere, s’è precipitata ( incredula ) a verificare direttamente quanto di inatteso stava accadendo.
Qualcosa che non doveva riguardare (solo) un monumento storico, un concentrato d’arte e storia, un prestigioso lascito collettivo d’un millenario passato, ma un fondo di appartenenza ed identità che ad altro può attingere se non alle ‘ amai abbandonate radici cristiane’ ? Ora al rogo, neglette da troppo tempo, ma ( forse) proprio per questo ( inusitatamente) capaci di qualche senso di colpa? E fors’anche di voglia di ripensamento?
Nel frattempo, lacrime di dolore sono state versate per l’ennesimo crimine a Ceylon contro i cristiani. O meglio contro quei cattolici romani che van predicando il verbo del Cristo risorto. Per redimere. Per pacificare. Per instaurare ponti tra le civiltà del Pianeta. Al punto che tanto reiterato odio verso costoro non è nè plausibile nè comprensibile.
GLI IMMORTALI. È ritenuto uno dei più grandi allenatori di ogni epoca e il suo Milan (1987-1991) una delle squadre migliori di ogni epoca, da alcuni la migliore di sempre.
France football oggi lo mette al terzo posto assoluto, dopo Michels e Ferguson. I suoi metodi di allenamento e le sue idee e convinzioni sono stati spesso oggetto di discussione. Sacchi ebbe inoltre numerosi screzi con l’opinione pubblica e con alcuni suoi giocatori: proprio per questo è stato spesso accusato di ritenere prioritari gli schemi rispetto agli uomini. Nel settembre del 2007 il Times lo ha nominato miglior allenatore italiano di tutti i tempi e 11º in assoluto a livello mondiale. Nel 2011 è entrato a far parte della Hall of Fame del calcio italiano.
Da allenatore del Milan, squadra che ha guidato dal 1987 al 1991 prima di tornare per una breve esperienza nella stagione 1996-1997, ha vinto uno Scudetto, una Supercoppa italiana, due Coppe dei campioni, due Supercoppe europee e due Coppe intercontinentali.
Durante la sua prima esperienza a Milano Sacchi forma il team soprannominato gli Immortali, una delle squadre di club migliori di tutti i tempi secondo la UEFA,oltre che una delle squadre più vincenti della storia del Milan. Ha allenato dal 1991 al 1996 anche la Nazionale italiana, guidandola ai Mondiali di calcio del 1994 (finalista) e agli Europei di calcio del 1996 (eliminazione al primo turno).
Nel 2006 la rivista internazionale France Football ha nominato il Milan di Arrigo Sacchi migliore squadra del mondo del Dopoguerra.L’anno seguente un sondaggio online pubblicato nella rivista inglese World Soccer nominò il Milan di Sacchi (in particolare quello della stagione 1988-1989) la squadra di club più forte di tutti i tempi, nonché la quarta migliore di sempre in assoluto, dietro al Brasile del 1970, all’Ungheria del 1954 e ai Paesi Bassi del 1974.
Tra i giocatori che scesero in campo nella finale vinta ( 4-0) contro la Steaua, c’era gente del calibro di Baresi, Maldini, Tassotti, Costacurta, Ancelotti, Donadoni, Rijkaard, Gullit eVan Basten. Una formazione unica, irripetibile.
Nota a parte. Con piacere notiamo il ‘ miglioramento‘ in casa Sky del commento calcistico. In generale, e in particolare grazie al contributo del don Fabio che ( finalmente) liberatosi degli ultimi ( non felici) trascorsi con le nazionali di Inghilterra e Russia, ha ripreso a rimirare con il dovuto rispetto eventi e personaggi del calcio di casa nostra.
Dobbiamo ( dolorosamente) ammettere, con ( grande) competenza, lucidità, sintesi. Diciamo che ci ’azzecca’, eccome. Vedi il vaticinio sull’impresa dei ragazzi dell’Ajax al Bernabeu. Stando le cose in questo modo, non possiamo quindi che esultare per avere ‘ ritrovato‘ un contributo ( tanto) importante per la risalita del nostro sport preferito ( stadi e commerciale a parte) nell’Olimpo europeo.
E … NON LA VOGLIONO CAPIRE. ” Dagli arresti per doping e dintorni di Seefeld - commenta Pier Bergonzi su ’ Lo spunto’ - sale un rancido odore di vecchio. Vecchio come l’impiego delle trasfusioni di sangue per migliorare le prestazioni, come i nomi che ricorrono, come la mentalità di chi proprio non la vuole capire”.
Odore di vecchio? Perchè c’è chi non la vuol capire? Già, e chi non vuol capire? Lo sport, la sua organizzazione, i suoi interpreti piccoli o grandi che siano, l’informazione che gli grava attorno? Chi? E’ comunque bastato un semplice blitz mattutino delle polizie austriaca e tedesca a Seefeld, sede dei mondiali di sci di fondo, per cogliere con la siringa conficcata nel braccio uno degli eroi che di lì a poco sarebbe sceso in pista per andare a strappare chissà quale lauro per conto suo e della bandiera che rappresenta.
Nove gli arresti, cinque sono atleti. Tra i non atleti c’è anche il medico della Gerolsteiner di ciclismo, ( a suo tempo) travolta dagli scandali doping. Sì, perchè qui, nonostante le evidenti coperture a livelli diversi diffuse in ogni angolo del Pianeta, non s’è ancora ben capito se ‘sta questione doping venga affrontata come si deve oppure no.
Una questione doping che potrebbe riguardare molti sport, addirittura anche quelli finora tenuti in zone franche, ma solo perchè talmente importanti da rischiare la deflagrazione dell’intero sistema sportivo mondiale. E tuttavia, a noi, per quel poco che contiamo, di deflagrazioni minimali o massimali poco interessa.
A noi, per quel filo irrazionale e sentimentale che ci lega ancora all’evento sportivo, interessa che quanto si va ad ammirare, allo stadio o in altro che sia, lo si possa fare ’ a cuore sereno‘. Credibilmente. D’imbrogli ed imbroglioni, insomma, ne abbiamo l’anima piena. Un appello però ai media: non lascino cadere nel vuoto questa miseria umana.
CURIOSITA’
Questi i numeri della ‘rossa‘: 31 Mondiali ( 15 piloti e 16 costruttori); 970 Gp disputati dal 1950, con 235 vittorie.
ETIMOLOGIE
Sarò meglio chiarire alcuni termini, anche perchè oggi possono risultare utili. Anzi, indispensabili.
* Demagogia è un termine di origine greca (composto di demos, ’popolo‘, e aghein, ‘trascinare‘) che indica un comportamento politico
che attraverso false promesse vicine ai desideri del popolo mira ad accaparrarsi il suo favore a fini politici o per il raggiungimento/conservazione del potere.
* Populismo (dall’inglese populism, traduzione del russo народничество narodničestvo) è un atteggiamento culturale e politico che esalta genericamente il popolo, sulla base di un atteggiamento di forte sospetto nei confronti della democrazia rappresentativa. Il populismo può essere sia democratico e costituzionale, sia autoritario; nella sua variante conservatrice è spesso detto populismo di destra.
*l Sovranismo (dal francese souverainisme) è, secondo la definizione che ne dà l’enciclopedia Larousse, una dottrina politica che sostiene la preservazione o la ri-acquisizione della sovranità nazionale da parte di un popolo o di uno Stato, in contrapposizione alle istanze e alle politiche delle organizzazioni internazionali e sovranazionali.
Si definisce sovranismo l’opposizione al trasferimento di poteri e competenze dallo Stato nazionale a un livello superiore, sovranazionale o internazionale, processo visto come fattore di indebolimento e frammentazione della propria identità storica, e di declino e svuotamento del principio democratico, che stabilisce un nesso di rappresentanza diretta fra i cittadini e i decisori politici. Partiti e movimenti politici nei confronti dello Stato muovono istanze di tipo federalista, autonomista, indipendentista.
Nell’ambito delle relazioni estere con l’Unione europea, altre organizzazioni internazionali e sovranazionali, il sovranismo può tradursi in posizioni di isolazionismo politico-militare e di protezionismo economico (che nel caso del fascismo si tradussero nell’aspirazione a un’ideale autarchia).
Il movimento precursore di questa idea di democrazia può essere indicato e riconosciuto nel bonapartismo (Napoleone I e Napoleone III, in accezione cesaristica) e nella rivoluzione francese, specialmente nelle fazioni che si rifacevano alle idee politiche del filosofo Jean-Jacques Rousseau, come i giacobini. ( Da Wikipedia)
FITCH SALVA L’ITALIA. ” Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!”.
Così il sommo poeta, che oggi ( molto probabilmente) sarebbe finito confusamente fra i milioni di ‘geni’ ai quali una tecnologia rivoluzionaria ( e straordinaria) ha concesso di esibirsi a loro esclusivo piacimento giorno e notte, senza soluzione di continuità, a tutte le latitudini. Confuso. Non preso in considerazione. Ignorato.
E comunque chissà che avrebbe scritto davanti ai responsi delle agenzie di rating internazionali sul Belpaese? Responsi, manco tanto oscuri, come quelli degli oracoli antichi, anzi, piuttosto orientati a tenere in perenne soggezione un Paese che ( alcuni, sparsi qua e là pel Pianeta) vorrebbero eternamente bambino. Chino. Tremante.
Giusto, giusto, al punto per fargli pagare il fio d’una passata grandezza che (evidentemente) non tutti gli perdonano. E comunque sia, che non esista un modo per rispedire al mandante tali e siffatti responsi, non è da credere. Perchè allora non s’opra a trovare un rimedio, magari una tantum, come tante altre tasse vessatorie imposte a questo Paese dalla ricchezza sommersa? Se la ghigliottina è quel ‘ maldido‘ debito pubblico, allora, invece di ciancischiare altri anni per dar alibi ai corvi, perchè non calarlo? Di brutto. Una volta per tutte.
Per palesare ( finalmente) a tutti la nostra reale solidità.
E anche per avere la soddisfazione di poter andare a ‘ controllare‘ quelli degli altri. Quello della Germania, ad esempio, che non ci risulta essere una bazzecola; ma anche quelli ( non da poco) di Usa, Francia, Regno Unito, etc etc.
Zittendo ( finalmente) le agenzie di rating, che tanto sembrano fantomatiche ‘cornacchie’ ripescate in remoti antri per andare ad adempiere chissà quali disegni degli attuali potentati delPianeta. Per la generosa Fitch meritiamo tre BBB. Come dire poco: sopra la ‘spazzatura’. Già, ‘spazzatura‘, ma noi o colei?
E QUESTE SAREBBERO LE BASI DELLA NUOVA EUROPA? Non è che i due vice premier sotto l’ala provvidenziale del premier Conte, ci convincano più di tanto. Anzi, l’uno imberbe, l’altro tracotante, non si sa bene cosa stiano combinando. Con le nostre leggi, con i nostri problemi. Con i nostri soldi, con le nostre frontiere.
Epperò a preoccuparci ancor di più sono quelle ( più o meno) ‘ sante alleanze‘ che spuntano ( ad intervalli più o meno regolari) nel cuore dell‘Europa con il (reiterato) intento di metter le basi della ‘ nuova Europa‘. Che più che nuova, basti guardarsi indietro, sembra essere un copia e incolla ( si fa per dire) dell’Impero carolingio o ( in subordine) del Sacro romano impero.
Dove a farla da padrona sarebbero ( ancora una volta) Franchi e Germani, gente (forse) della stessa famiglia, ma che andare d’amore e d’accordo manco lo sognano. Più o meno entrambi Goti, ( bene e spesso) hanno avuto da ’masticare amaro‘ quando dovevano vedersela con i popoli del Sud, i Mediterranei, e nell’ispecie, Italici o Padani.
Chè senza di loro l‘Europa è monca. Impotente. Inutile. Del resto che sarebbero gli Stati uniti d’America senza il Texas o la California ? Una mini potenza? Oppure una nazione sull’orlo d’ un’altra guerra civile?
Udire, di recente, che l’algido Macron e la pensionanda Merkel si sono stretti la mano per rinnovare un altro (anacronistico) ‘asse a due’ non autorizza altra speranza che ‘ possa saltare ‘ come tutti gli ‘assi‘ precedenti, europei e non, a due o tre o quattro, anche perchè ( ammesso e non concesso) dovesse ( davvero) ‘ rinsaldarsi’ per l’Europa tutta sarebbero grossi guai in vista, e per i due vetero ’assisti ‘ in primo luogo. Mamma che furbi!!! Arridateci … il conte di Cavour, il gran cancelliere Metternich e il general Charlone !
Sì, perchè, anche se i rampolli stentano a capirlo, l’Europa non è una torta dalla quale estrapolare fette, a proprio piacimento, all’infinito, ma solo e soltanto ( ancora) una gran bella torta da ‘ godersi’ ciascuno per la propria parte ( insieme) prima che arrivino altri, altri popoli, a forte desiderio di conquistarsi i primi posti sul Pianeta, ad inghiottirsela ( tutta d’un fiato) nelle voraci bocche loro.
Davanti a tanta patetica e inusuale incertezza, speriamo solo che Albione ci ripensi. E invece d’andare a navigare in solitaria in alto mare come vorrebbe la May, resti dove le sue radici affondano. In Europa. Logico. Magari per contribuire a (ri) dare al Vecchio Continente quell’equilibrio, nord-sud e centro, che solo i Cesari gli avevano ( molto tempo fa ) imposto, garantendogli secoli di unità, forza e crescita.
SVEGLIATEVI, O BACUCCHI ! Finalmente la vecchia, cara ‘rosea’ suona la sveglia a quelli per cui gli stadi sono solo pensieri. Fastidi. Ingombri. E tuttavia garantisce Abodi, presidente ICS, ‘ Serve una regia del Governo. Ma venti piazze ( almeno) sono pronte a partire con loro progetti. Tutti interessanti’.
Al momento, lo ricordiamo, nuovi impianti da gioco del calcio degni di menzione in Italia sono l’Allianz Stadium ( 42 mila posti), la Dacia Arena, il Mapei Stadium e il Benito Stirpe. L‘Atalanta ci sta lavorando. Ma occorreranno alcuni anni.
Da Roma, invece, la promessa solenne della sindaca Raggi: ” Entro l’anno si parte con lo stadio “. Così assicura anche mister Saputo, per il nuovo ‘Dall’Ara‘ in una piazza tra le più prestigiose come quella di Bologna. Un po’ troppo poco per aspirare ad Euro 2028 ?
Diciamo solo che qualcosa si muove, nell’attesa di passare dalle ciance ai fatti. Che altro non sono, la ( principale) differenza che intercorre tra noi e gli (altri) tre principali tornei europei. A proposito di tornei, non manca pulpito dal quale non s’odano levarsi i soliti peana pro Premier oltre ad altri illuminati apprezzamenti sul nostro frustrato gioco del pallone.
In una trasmissione-svago di Rai 2 il transfuga ( Sky) Massimo Mauro, non s’è trattenuto dal gettare al popolo la sua lucente verità: ’ Il nostro è il Campionato più noioso. Dove tutto è deciso. A me non piacciono i tornei dove tutto si sa ancor prima che partano’. Un piacere, il suo, abbastanza strano da godersi, e da condividersi, visto quanto accade, qua e là, nel Vecchio Continente. In Liga e in Ligue, infatti, tutto è stabilito, o quasi, da tempo. In Bundes ( fortuna loro e nostra) menti illuminate devono avere ( finalmente ) consigliato al Bayern di Monaco di prendersi un anno sabbatico, visto che dei bavaresi ad alzare scudetti non se ne poteva proprio più.
Da quelle bande sembra che del defilarsi dei bavaresi ne stia approfittando il Borussia D., sembra, infatti, visto che di Bundes ne ha vinte ( finora) abbastanza poche. La maggiore suspence ( manco a dirlo) ci giunge dalla Premier, dove la palma della più bella del reame è contesa a due ( solo a due), tra Liverpool e City ( secondo, a 5 punti).
Mamma, che brividi! E che dire della ‘noia mortale’ che s’è impadronita della mitica Coppa dalle grandi orecchie, nell’ultimo lustro finita ( con le buone o con le cattive) per ben 4 volte ( ad eccezione del 2014/2015) nelle mani del Real del Florentino madridista ?
Certo, il piacere di parlare e sparlare sul piatto in cui s’è mangiato e si continua a mangiare, è un esercizio che nel Belpaese trova i suoi più geniali, generosi ed indefessi cultori. Morale è , però, che mentre milioni di nuovi fans in giro pel Pianeta vengono convinti ad affezionarsi ad altre leghe con prodigiosi ritorni economici, la nostra resta al palo.
A contare spiccioli. E come potrebbe essere altrimenti? Scusate, ma se siamo noi i primi a ‘sconsigliare‘ l’acquisto del nostro ( pur sempre pregevole) ’ panettone‘ chi volete poi che ( stadi a parte) voglia affannarsi ad acquistarlo per rallegrare le ore di festa?
AGGIORNAMENTO RANKING UEFA. Aggiornamento al 30 novembre 2018 del ranking Uefa. Classifica: Spagna, punti 96.283; Inghilterra, 73.034; Italia, 72.o11; Germania, 68.355; Francia, 54.331. Con questa posizione l’Italia ha assicurata la quarta squadra anche per il campionato 2020/2021.
CICLISMO. A proposito di grandi, su Bike Channel, in una trasmissione dedicata alla ‘ Grande storia‘ del ciclismo, qualcuno degli invitati nello stilare la graduatoria degli scalatori d’ogni tempo, ancora una volta s’è dimenticato di citare Bartali nel confronto con i Gaul, Fuentes, Bahamontes, aggiungendo invece Mercxs e non Coppi.
I quali, se non andiam a farfalle, sarebbero entrambi da classificare passisti-scalatori e non (solo ) scalatori, o grimpeur , come i francesi chiamano i camosci delle montagne. Che nelle salite, anche durissime, una volta preso il loro passo, sanno seminare anche i più irriducibili specialisti.
L’ ignoranza non sorprende, perchè è da anni che delle vere grandi pagine dello sport italiano non si fa più giusta memoria. E così dei suoi pochi leggendari protagonisti. Incredibilmente. Soprattutto se datati o del Dopoguerra.
Che di eguali però non ne abbiamo mai più avuti. Perchè se è vero che il Pirata ( più di recente) faceva fermare l’Italia degli appassionati, Coppi, Bartali e Magni ( dal ’30 al ’60) non solo hanno fatto scorrere fiumi di lacrime ad ogni impresa ma incidevano ( perfino) sulla rinascita post bellica di questo nostro ( smemorato) Paese.
RAZZISMO O ALTRO? Durante un sabato recente ’piccoli‘ fans hanno riempito il primo anello di San Siro per Inter-Sassuolo, chiuso ai ‘grandi’ per ‘ razzismo’. Non disattendendo la speranza che si mettessero a fare gli adulti, o meglio, certi adulti, che adulti sono ma solo all’anagrafe. I ‘piccoli’ infatti hanno trionfato. Ridimensionando manifestazioni di insulso ‘ razzismo‘, che come tanti altri famigerati ‘ismi‘ che hanno martoriato il ventesimo secolo non dovrebbe essere manco più menzionato.
E tuttavia, nostro malgrado, così non è. ‘Razzismo’, ‘ violenza’, ‘ignoranza‘ continuano imperterriti a cavalcare come i quattro cavalieri dell‘Apocalisse nella pancia dei popoli del mondo. Dire che qualcuno sia esente è una falsità. Dire però che la ‘ maggior parte dell’umanità‘ condivida certe realtà è una falsità ancora più grande.
Da noi, spesso, quando si parla di sport, o meglio di calcio, si fa riferimento a culture ritenute ‘ superiori’, perchè non infette da certi ‘tumori umani’. Si cita, ad esempio, Albione, con quei suoi cori canterini attorno ai campi, che mai e poi mai si metterebbero ad esercitarsi in quei ridicoli e insulsi ‘ buu, buu‘ che invece s’ascoltano, ad intermittenza, ma si ascoltano, imperterriti, nei nostri tuttora (obsoleti) impianti sportivi.
Dimenticando però che quando si va dicendo d’Albione non è cultura ma solo cronaca. Neppure tanto remota, visti i pregressi che portano date ( ancora ) vicine ai giorni nostri.
Ad esempio, la sera all’Heysel, anno 1985, dove 39 spettatori trovarono la morte, calpestati da invasati fans inglesi; una sera, quella, che portò le squadre d’Albione fuor delle coppe per un lustro. Ma le loro tragedie non si sono fermate qui. Perchè ad Hillosborught , anno 1989, andò ancor peggio, con 96 morti. L’elenco prosegue. Come dire che i canterini d’oggi sono stati ‘ educati’ a cambiare registro da governi e leggi opportune. Tempestivamente applicate. Hooligans, Casual, Skinheads … , donde tengon infatti tutti costoro le loro culle?
E in ogni caso quel (loro) pericolo non è cessato. Perchè se è vero che nei moderni impianti calcistici d‘Albione si può oggi fare baldoria senza timore alcuno, basta allontanarsi qualche chilometro più in là per toccar con mano i tanti rivoli d’una realtà ben diversa da quel che si vuol sbandierare.
Si leggano, cioè, meglio, le realtà dei nostri giorni. Onde per cui, s’astengano i generosi anglofili, dal propinarci omelie ad ogni piè sospinto. Noi non siam peggio d’altri. Noi non manchiamo di ’sciagurati’ da ‘ convertire‘, certo, tanto che sarebbero benedetti leggi ( opportune) e governi ( condivisi) all’altezza del compito.
E tuttavia possiamo contare anche su una marea infinita di gran bravi giovani che ‘ razzismo‘ e ‘ violenza’ subiscono e non ‘provocano’. Perchè allora non chiamarli a raccolta, senza deprimerli?
Il 12 settembre 2018, tanto per tornare alle paginette di cronaca misconosciuta, i fans del Millwall e del Brentford si sono dati appuntamento in aperta campagna per massacrarsi a piacimento tra loro senza limite alcuno. Anche da noi capitano certe sciagure. Certo.
Più circoscritte, e comunque pericolose, da non sottovalutare e d’altra origine originate, ma capitano. Epperò, forse, tanto per fare di testa nostra, la miglior cosa da fare è continuare a celebrare ( presunte ) altrui virtù o riscoprire le nostre, che c’erano, che ci sono, anche per evitare ( l’infame) e (non negletta) abitudine altrui a gettare ( occorrendo) ‘polvere sotto il tappeto‘? Per tornare a difendere una volta tanto, paradossalmente, i più e non i pochi. Non per apparire, ma per essere.
Si è costretti a parlare di calciomercato, quando non lo si vorrebbe proprio fare. Anche perchè scatena ogni volta un mercimonio che non trova più limiti.
Affidato a infinite ‘ gole profonde’ che altro non sanno che ‘danarizzare’ ogni passo sul verde rettangolo di gioco. A incassare sono i giocatori, ma anche altri, di varia provenienza e genere, ad ogni sessione di mercato sempre più voraci, quasi che in quel mondo non esistano più remore e confini.
Tra i voraci ci si sono messi anche i parenti. Come il fratello del Pipita, che non contento dei milioni rossoneri portati a casa a sbafo vorrebbe mandarlo ad infognarsi con quelli che sborserebbe in Albione un oligarca russo ( in fase di cambio di residenza); come la bella Wanda, che tutti la vogliono ma nessuno la comanda, lesta oltre ogni dire giorno e notte, sui social e non solo, per far di meglio i conti per lo suo amato. Il bello è che quei ‘poveracci’ che se ne stanno a soffrire pene d’amore sugli spalti ( più o meno) obsoleti dei nostri stadi, aspettano gli esiti esultanti.
DEDICATO AGLI ESTEROFILI. Un pensiero dedicato ai milioni gli esterofili che abitano il Belpaese. Ma anche a quei giocatori, giovani e non, come Chiesa, il Pipita o Perisic che sognano Albione alla ricerca di un Eldorado in questa valle di lacrime. O meglio, ‘ del posto ideale in cui crescere‘.
Basti allora questa confessione di Emiliano Viviani, portiere classe 1985 della Spal: ” Perchè sono tornato? Perchè in Italia si sta come in cima al mondo. Perchè a Lisbona era tutto surreale; mi mancava la quotidianità dei rapporti umani. A Londra e Lisbona è più dura andare in piazza, bere un caffè, leggere il giornale, parlare con la gente. Qui si può. E, a Ferrara, eccome!”
IL CALCIO EUROPEO A TRE VELOCITA’. Non c’è crisi nel calcio europeo. Più ricavi, più spettatori, più utili. Si allarga però la forbice tra ricchi e poveri della pedata. I 12 club ‘ globali‘ fra cui la ( sola) Juventus, fatturano 1,6 mld di sponsor e commerciale, esattamente il 65% del totale. Tutto il restante non raggiunge, messi assieme, un miliardo. Tra le prime 12, 6 inglesi, 2 spagnole, 2 tedesche, una francese e una italiana ( Juve).
La Serie A fattura 2.2 mld, ma è troppo dipendente dalla tivù ( 49% del totale). Siamo al quarto posto, lontani da Spagna ( 2,9 mld) e Germania ( 2,8 mld), con distanze in prospettiva ulteriormente allungabili visti i prossimi rinnovi tivù di Liga e Bundesliga. L’Inghilterra da sola incassa, nel totale, 5,3 mld. Un dato questo, certo e assodato, che attira come specchietto per allodole ( soprattutto) tutti coloro che prima all’erba verde del campo da gioco guardano al luccichio delle monete.
C’è qualche speranza per il calcio italiano di rimontare? Qualche. Solo qualche. Perchè, a dirla alla Teotino, qui occorre qualcuno che sappia allungare la vista oltre il proprio orticello e faccia costruire nuovi e moderni impianti.
Stadi e non soltanto. Infatti c’è anche il marketing. Questo e poc’altro. E subito.
Picciolo sorriso ce lo fa venire il dato che, in compenso, il valore medio di una rosa di un club italiano, 85 mln, è secondo soltanto all’Inghilterra ( 135 mln). Sì, aggrappiamoci all’ aggrappabile. Del resto, che altro fare? Controllare se questi dati sono certi?
‘SCOPIAZZARE’ O ESSERE NOI STESSI? ” Manchester City e Liverpool - esulta il buon Arrigo - hanno regalato 97′ di emozioni e spettacolo. Hanno vinto con merito gli uomini di Pep contro il fortissimo Liverpool di Jurgen, ma in realtà tutte e due le squadre sono uscite vittoriose: ha vinto il calcio. L’incontro è stato giocato a velocità e ritmi impressionanti, impensabili per il nostro calcio…”.
In effetti, qualcosa di notevole si è visto nel match di punta di quel Campionato che nel ranking Uefa sta lottando con il nostro per la seconda/terza posizione. Questione di spiccioli, si sappia, nonostante loro abbiano il vantaggio di entrate maggiori e di stadi adeguati al moderno agone calcistico, e noi invece no, anche per situazioni generali che è difficile comprendere. E tuttavia, non riusciamo a sottrarci a dei ‘ distinguo‘ non di poco conto.
Anche perchè continuare a dirci che gli altri volano e noi passeggiamo più che a stimolarci a fare altrettanto ci preoccupano e non poco. Nell’agone sportivo moderno altre discipline, e non soltanto il calcio, ci hanno insegnato che le ‘ prestazioni fisiche’ non son frutto ( solo) di ‘ eredità genetiche‘ o di ‘ casualità’. C’è di mezzo (ormai) la medicina dello sport, con tutte le sue sofisticherie, sempre più chiamata a fare il possibile ( e l’impossibile) per ‘ ottimizzare‘ la prestazione ( soprattutto) quando questa ( deve risultare) decisiva.
Allora, più che a venire a lamentare le solite nostrane ‘ inferiorità’, pensiamo a qual spettacolo sia meglio affezionarci. A quello di un calcio collettivo, di corsa e (soprattutto) agonistico o a quello di un calcio che coltiva radici profonde, sociali, di campanile, se vogliamo, ma anche di di corsa ( quando serve) e comunque mai a vanvera, perchè soppesato, magari fin troppo, ritagliato apposta come un buon abito sul soggetto interessato, e ricolmo di colore e passione quando esprime al meglio le sue innumerevoli ( e mai anonime) identità?
A qual calcio, dunque, vogliamo affezionarci? A quello foresto o a quello ( ) nostrano? Guardarsi attorno è meritevole. Auspicabile. Per ‘ tenerci al passo’, ma per ‘ scopiazzare’ no. Questo no. Tanto più che abbiamo nel nostro secolare retroterra tanti e tali ‘ retaggi‘, ‘risorse’, ‘peculiarità‘ che tutto possiam fare fuorche diventare fotocopia d’altri.
Ha detto un ( nostro) saggio: per Albione due/tre secoli d’impero sono stati una immensità, per noi una inezia. Del resto, per restare sul solo calcio, in un ‘ confronto’ estivo a tre su Sky, il Pep tanto amato dal buon Arrigo non s’è trattenuto dal dire ” Avete vinto così tanto, e in tanti modi, che se c’è qualcuno che ha da imparare siamo (semmai ) noi e non voi”.
Detto tutto ciò, per favore, bacucchi/e nostrani di varia estrazione, dateci quei benedetti nuovi stadi. E poi valuteremo tra ciance e fatti.
COSA HA VOLUTO DIRE UN … ANFITEATRO! Sono anni, anzi, decenni, che si chiede d’avere impianti sportivi aggiornati e adeguati. Potevamo centrare l’obiettivo, almeno parzialmente, con l’assegnazione dell’Olimpiade estiva a Roma. Ma, qui, si sa com’è andata, con quel ( tragico) rifiuto della giovin sindaca impegnata a far tirocinio. Potremmo, sempre parzialmente, centrare qualche impianto minore con l’eventuale assegnazione dell’Olimpiade della neve a Milano-Cortina. Potevamo, potremmo.
E non possiamo. Visto che tutto è in fieri. A Roma, con quella pantomima che lascia interdetti; a Milano, con cino-americani ancora alle ciance, su Santo Siro o altro nevico Ippodromo; a Firenze, con qualche progetto ancora sulla scrivania; a Napoli, con il sindaco De Magistris intenzionato a fare un restyling, o poco più, del vetusto San Paolo. E così via. Insipienti di qua, insipienti di là. E pensare che basterebbe sfogliare qualche vecchio libro per apprendere quanto lungimirante sia costruire un nuovo impianto ( o sta nell’ispecie).
” Vespasiano- si legge – sentì l’esigenza di un colpo di scena: ad esempio, una costruzione monumentale che gli procurasse fama e ammirazione imperiture. Ebbe, allora, la lungimiranza di individuare il tipo di edificio adatto alle sue ambizioni. L’Urbe aveva bisogno di una grande arena per celebrare la sua passione più grande, ovvero il combattimento tra gladiatori? Il Cesare comprese che se avesse realizzato cotale aspirazione, avrebbe potuto ’ eguagliare’ o ( finanche ) ‘oscurare’ i predecessori più celebrati.
La capitale disponeva di quattro anfiteatri. I primi due non abbastanza capienti e gli altri in legno. Il nuovo agone doveva perciò risultare diverso, molto diverso. Vespasiano pensò allora ad un (mega) anfiteatro che potesse ospitare (almeno ) 50 mila spettatori (comodamente alloggiati). Il figlio Tito, con il bottino raccolto in Oriente, gli fornì i danari e la soluzione. Allora, non fu trascurato alcun dettaglio. Neppure l’ubicazione. Scelta ( significativamente) tra Palatino, Equilino e Celio.
Su quei terreni Nerone aveva sognato infatti la favolosa Domus aurea. Di cui al tempo dei Flavi era rimasto lo ’stagnum Neronis’, luogo di feste e sperperi. Vespasiano restituì quei terreni alla cittadinanza. E iniziò il lavori per quello che sarebbe passato ai posteri col nome di Colosseo. Era il 70 d.C., i cantieri durarono circa dieci anni. Vespasiano non riuscì a vedere la realizzazione completa del suo lungimirante e monumentale progetto, poichè se ne andò nell’estate del 79 d.C., lasciando però ai figli il completamento.
Il Colosseo infatti è oggi noto ( anche ) come anfiteatro Flavio. E comunque, a chi attribuirlo o meno poco importa, quel che importa è che chi ebbe l’idea e la mano per cotale opera, nata ( dunque) per allettare i concittadini, oggi ( più o meno) simil ad uno stadiolo dove far scorrere una palla , ha trovato memoria imperitura. ‘ Panem et circenses’ dicevano, i vecchi, i vecchi Cesari, eppure come sapevano guadare lontano! Lontano. Lontano. Sforando i secoli, contrariamente a questi amministratori odierni che a malapena sanno contare i minuti oltre la punta del loro naso.
QUEL DECIMO TITOLO NON S’HA DA DARE! Nuovo anno ( non solo di sport), con (vecchie ) abitudini e relativi ( vecchi) arnesi all’opera. Il buon Lorenzo, trentenne, maiorchino, è ‘ (tra) passato‘ com’ è noto ( dopo due anni) dalla sella della Ducati a quella della Honda. Sembrerebbe, a starlo sentire, per via di qualche centimetro in più che non consentivano, a lui, piccoletto, di dominare a piacimento la terribile Desmo di Borgo Panigale per spadroneggiare come aquila in libero volo sulle piste del mondo.
Due anni per prendere qualche misura tra lui e una moto son tanti, ma non per Lorenzo che le sue cose fa e medita. Compreso la rievocazione del ’ dream team’ che sarebbe stato partorito in combutta con l’amico-nemico Marc, proprio per incantare ( come il Real) negli anni a venire gli appassionati della moto da corsa sparsi sui cinque continenti.
‘Dream team’ non nuovo, non inedito, a dir il vero, visto che ( se anche la nostra memoria non inganna) ha avuto debutto già qualche anno fa. In particolare, su quella pista dove lui e l’altro, come ‘bravacci’ di manzoniana memoria, si sono infilati nell’agone gridando ai ( tanti) don Abbondio ( italioti compresi) colà presenti: “ Questo (decimo ) titolo non s’ha da dare!”.
E se in sede d’auspicio qualche nota stonata (purtroppo) non manca, quelle intonate sembrano ( ampiamente) compensare il conto. Quelli che non guardano solo ai (tanti) danari e alla (facile) gloria. Quelli che se si turano il naso sul doping è perchè vorrebbero vedere competizioni credibili e pulite in ogni agone sportivo.
Quelli che prima di sputare sul loro piatto voglion sincerarsi che anche in Altrove non si giochi all’inganno. Del resto siam figli d’un piccolo, curioso, geniale Paese, che tanto ( soffrendo) ha dato al M0ndo che fatica ad aprire porte e finestre al primo arrivato.
ALTRE DI CALCIO.
ARGOMENTI NON DI SOLO SPORT
GB: SACERDOTI CERCASI. Il sinodo anglicano ha abrogato una legge canonica che imponeva la messa ogni giorno festivo. La norma, che risaliva al 1603, prevedeva che le funzioni mattutina e serale fosse ‘pronunciata o cantata in maniera udibile in ogni chiesa parrocchiale ogni domenica o giorno festivo’.
Il perchè della ( sconcertante) decisione è presto detto: non si trovano più preti a sufficienza e, soprattutto, non ci sono più fedeli che si recano in chiesa ad ascoltare funzioni. Il declino della frequentazione della messa domenicale appare inarrestabile: lo scorso anno, a seguire regolarmente la funzione festiva sono stati solo 722 mila, contro i 740 mila del 2016.
Numeri che attestano che quella britannica è una società (sostanzialmente) post religiosa. I non credenti hanno superato il 50% della popolazione, in particolare, la religione non troverebbe più posto alcuno nella vita pubblica.
La crisi investe soprattutto la Chiesa anglicana: oramai soli il 15% egli inglesi si identifica in quella religione che fino a pochi decenni fa era la confessione nazionale. Tra i più giovani, addirittura, la percentuale degli anglicani non supera il 3%. Un ridimensionamento eclatante almeno alle nostre latitudini, che si riflette ( significativamente) sulla coscienza collettiva.
Commenti? Tanti. Ma ne scegliamo uno: l’Inghilterra moderna, quella tanto celebrata anche da noi, nasce dallo scisma anglicano nei confronti della Chiesa romana. Per qualche secolo ha fatto un tutt’uno con la nazione.
In forte antagonismo con i ‘papisti’ corrotti ed ignoranti. Ma mentre i ‘papisti’ ( nonostante errori e tempeste) continuano ad esprimere la personalità morale più ‘forte’ ed ‘ ascoltata’ del Pianeta, a loro non restano che sparuti vecchietti desolati in panca.
Vien da chiedersi ( col senno del poi) se quando i lor signori hanno inteso ( per ragioni varie) ‘rompere‘ ogni rapporto possibile e immaginabile con l’infernale Roma non abbiano fatto come quella levatrice che per ‘ cambiare in bacinella l’acqua sporca‘ ha finito col gettar via ‘ anche il ( meraviglioso) bimbo‘ che gli stava dentro.
BREXIT : GB NEL CAOS. Con 325 voti contro 306 la signora May resta in sella. Si fa per dire. Perchè la sua maggioranza è ora una inezia, in più dovrà convincere l’Europa a concederle più tempo per ‘ rivedere’ l’intesa. Mal digerita da buona parte dell’agone politico britannico. Mentre il nuovo referendum chiesto a gran voce dall’opinione pubblica resta ( al momento) solo teorico.
La May è passata con la manciata di voti di una piccola formazione nord irlandese. Il risultato scongiura il caos, ma le strade da intraprendere ora sono poche e obbligate.
Cosa succede con la Brexit? La data del 29 marzo pv giorno in cui la Gb dovrebbe staccarsi dall’Ue, è dietro l’angolo, mentre non è disponibile un piano B, almeno per ora. Occorre dunque posticipare l’uscita.
Forse a fine luglio, ma nessuno garantisce nulla. I laburisti traccheggiano indecisi. Corbyn, invece, contrario all‘Europa della finanza, balla tra due fuochi: quello dell’elettorato giovane ( over 30) e vecchio ( over 50). I primi guardano al futuro, i secondi al passato. La quaestio alla frontiera tra Irlanda e Irlanda del Nord inoltre non ha soluzione. Quel che potrebbe creare fa venire il mal di testa. Chi glielo fa fare alla May di continuare a puntare a ‘ testa bassa’ una prospettiva che manco i suoi elettori vogliono più?
Nel frattempo non felice futuro potrebbero trovare i 700/800 mila italiani che lavorano in GB. Qualche migliaio di loro è già tornato a casa. A dicembre il governo May ha pubblicato un ‘ Libro bianco’ sull’immigrazione, con i nuovi criteri d’ingresso.
L’obiettivo è quello di ridurre drasticamente gli arrivi, comprimendo la presenza a poche migliaia l’anno. Così si guarda innanz. Così s’opera in quel d’ Albione, la perfida Albione, dove per qualche atavica regoletta si giocan le sorti del Vecchio Continente, che più ‘vecchio‘di così ( forse) non è mai stato.
TESTIMONIANZE
* Due ‘ testimonianze‘, entrambe da non trascurare. La prima è una lunga intervista sul calcio europeo alla ‘rosea’ del buon Zvone ‘ Zorro’ Boban, croato ex milanista e ora buon vice presidente Fifa; la seconda è il bel librone curato da Auro Bubarelli e Giampiero Petrucci sull’ indimenticabile Airone di Castellania, deceduto 59 anni fa.
ZVONE IL CROATO MILANISTA. Zvone Boban, che del (non breve) passaggio a Sky ha approfittato per migliorare il suo primigenio look fin al punto da far concorrenza a quegli elegantoni di Leonardo e Maldini, non le manda a dire. A nessuno. Soprattutto a quelli che a vario titolo restano parcheggiati nel pianeta calcio. Oggi come ieri.
E se ora è diventato un alto dirigente Fifa poco importa. Il suo è il solito approccio concreto, credibile, attento e senza ipocrisie di sorta. Piace così, insomma, a tutti, anche perchè di gente che vive di calcio confessando il suo amore ’ per quel pallone che rotola sulla verde erbetta di un campetto da gioco‘ , ( abbagli a parte ) ce n’è sempre di meno.
Zvone nel suo excursus con la ‘ rosea’ tratta molti aspetti del calcio milionario d’oggigiorno. Tra l’altro mette ( finalmente) il dito su quell’assurdo Fair play finanziario che dovendo creare equilibri ha finito col creare ( ulteriori) squilibri. E vistose contraddizioni. Vedi le squadre di Stato qatariote parcheggiate qua e là.
‘ Se non si pongono ( tempestivi ) correttivi al Fair play finanziario - ammette - Inter e Milan, per citare due italiane, faticheranno a tornare al vertice del movimento. Pur essendo giusto vigilare sulla (reale) salute dei club, le norme che impongono il pareggio di bilancio impediscono a nuovi imprenditori di fare i necessari investimenti. Con danari freschi. E mi sembra che Inter e Milan ed altri club versino ( al momento ) proprio in questa condizione ‘.
Un avviso? Un auspicio? Un intendimento? Nel frattempo sulle compagini qatariote, ma anche altre d’oligarca russo o di conte da Montecristo tutte ( più o meno) operanti nell’ infida Albione, risultano indagini in corso.
Che vogliam sperare non finiscano in cavalleria come quelle, ben più tristi, ben più annose, sul doping praticato in discipline diverse, meglio note come Operacion Puerto e volatilizzate grazie a ‘magi… strali’ colpi da mago Silvan.
Psg e Manchester City sono ‘ accusate’ di avere aggirato le regole del Fair play finanziario con aiuti degli azionisti sotto forma di sponsorizzazioni. Vedremo cosa rimedierà l’Uefa. Siamo (ovvio) speranzosi. Mentre non possiamo far altro che (ri)metterci come il cinesino sull’argine del fiume nell’ attesa che passi ( finalmente) il … cadavere.
Zvone anticipa anche alcune importanti novità sul panorama calcistico Fifa. Intanto, il Mondiale per Nazionali che potrà essere allargato a 48 squadre; eppoi, quello che per club, ridicola esibizione appena aggiudicata al solito Real che ( anche ) di ‘ coppe del nonno ‘ ama fare incetta pur di rimpinguare il suo ( infinito?) palmares.
Zvone oltre ad essersi ricreduto sull’uso del Var, non manca di stigmatizzare il fenomeno del razzismo, più o meno evidente, o manifesto, dolorosamente, in ogni angolo del mondo. Quando gli si chiede qual gioco lo entusiasma di più, cita il ‘ tiki taka‘ di Guardiola al Barca, senza dimenticare, però, come puntualmente fanno i nostri esterofili, quel che ‘ lo stesso Pep ha chiarito nel confessare d’avere preso spunto e ispirazione dal ( Milan di ) Sacchi”. Il Milan, già, che a Zvone resta sempre nel cuore in posizione privilegiata.
MA SENZA LA GUERRA CHE AVREBBE VINTO? ” Penso a quanti Giri, Tour, Mondiali, Record dell’ora, classiche avrebbe vinto Fausto se non ci fosse stata la guerra. Ci rifletto spesso e se il numero che accompagna il nome è a tre cifre quale sarebbe stato il suo senza quella lunga inattività”. A porsi il quesito è un tale Eddy Merchx, nella encomiabile prefazione al libro di Auro Bulbarelli e Giampiero Petrucci dal titolo ‘ Coppi, per sempre’.
Per chi ( per ragioni diverse) non è edotto sul quesito bastino poche cifre: Coppi, da Castellania, nasce il 24 settembre 1919. A poco più di vent’anni vince il primo ( di cinque) Giri d’Italia. Destino vuole però che tra il primo ( 1940) e il secondo ( 1947) trascorrono sette anni circa. Durante i quali accumula una vittoria nel 1941 e altrettanta del 1942; richiamato alle armi, tra il 1943/1944 finisce prigioniero di guerra. Risale in bicicletta, con Nulli, nel 1945, riportando 5 vittorie. Per rivederlo in piena attività lungo le strade di una Italia distrutta dal trascorso bellico bisognerà aspettare non tanto il 1946 ( 9 vittorie, tra cui la Milano-Sanremo in solitaria) ma il 1947, dove riporterà 12 vittorie, compreso il secondo Giro d’Italia.
Gli è stato possibile andare al Tour solo tre volte. La prima nel 1949, a trent’anni, centrando la doppietta Giro-Tour; la seconda nel 1951, l’ annus horribilis, segnato dalla morte dell’amatissimo fratello Serse; la terza nel 1952, per ripetere la doppietta Giro-Tour. La disponibilità di Coppi in bici è pressochè totale. Infatti non c’è specializzazione, percorso, gara dove ( volendo) non riesce a primeggiare. Come passista-pistard tenne per (circa) un ventennio il record dell’ora, laureandosi inoltre 5 volte campione italiano dell’inseguimento e due volte mondiale.
Lasciando a parte i suoi avversari che appartenevano all’epoca dei semidei del ciclismo, e la sua profonda incidenza nella rinascita di un popolo, perchè a leggere queste pagine penseranno altri, basterà concentrasi anche solo sugli anni in cui ha potuto espletare compiutamente l’attività sportiva.
Praticamente dall’età dei trent’anni in su, ovvero, quando per un ciclista s’incomincia ad intravvedere la prospettiva di appendere la bici al chiodo. Cosa, ad esempio, non capitata a Merckx, che il meglio si sè l’ha dato durante la ‘ migliore gioventù‘, ovvero fin ai 30 anni.
” I paragoni – confessa onestamente Merckx - non mi sono mai piaciuti … Merckx più di Coppi? Lui il più grande, io il più forte? Cosa significa ? Nulla. Io volevo solo essere il migliore della mia generazione, Lui, la sua, l’ha stravolta …”. Forse, qui, a recar lumi, basterebbe Raphael Geminiani, che i due ha ben conosciuto. E Geminiani, si sa, che abbia detto. Sull’uno e sull’altro.
” Quando Fausto vinceva per distacco – chiosò tra l’altro Raphael - non avevi bisogno di un cronometro svizzero. Andava bene anche l’orologio del campanile”.
IL GRANDE AIRONE HA CHIUSO LE ALI. Per ricollocare in giusta posizione il grande campione nato il 24 settembre 1919 a Castellania e che ha interessato le penne più autorevoli del giornalismo ( non solo) sportivo, ( non solo italiano) del Dopoguerra, basti il ‘saluto’ sulle colonne del ‘Corriere’ porto da Orio Vergani, il giorno dopo l’avvenuta scomparsa.
” Milano, 2 gennaio 1960. Il grande airone ha chiuso le ali. Quante volte Fausto Coppi evocò in noi l’immagine di un grande airone lanciato in volo con il battere delle lunghe ali a sfiorare valli e monti, spiagge e nevai?
Fortissimo e fragile al tempo stesso, qualche volta la stanchezza e la sfortuna lo abbattevano e lo facevano crollare a terra, sul ciglio di una strada o sull’ erba del prato di un velodromo: la sua figura sembrava spezzarsi in una strana geometria, come quella di un pantografo, e una volta di più suscitava l’immagine di un airone ferito. Altre volte era l’immagine di una tragica conclusione di caccia.
Quante volte, di lui affranto per la stanchezza sull’ erba, a pochi metri da un traguardo sentimmo dire: «Sembra un cervo moribondo»!
L’ occhio galleggiava immobile, con la pupilla arrovesciata al limite della palpebra: le guance erano scavate, le labbra anelanti per l’amara fatica: le lunghe braccia, le lunghe gambe come buttate là, senza più armonia, scompostamente, in una stanchezza mortale.
La fragilità fu la compagna sinistra di quest’ uomo che per tanti anni sembrò un ragazzo, il ragazzo più forte di tutti, sostenuto da una energia quasi magica, una forza da racconto delle fate. Il trittico su cui poggiava il misterioso ’sistema’ delle sue capacità fisiche – cuore, polmoni, muscoli – nascondeva, quasi invisibile, un punto di estrema vulnerabilità.
Questa era la vulnerabilità dei ragazzi. Coppi era rimasto tale: sembrava si fosse fermato al gradino dei sedici anni: ossa troppo leggere – dicevano: «Uno scheletro in canna» -, nervi troppo scoperti, un ingenuo palpitare dei sentimenti, un difficile equilibrio fra l’anima del ragazzotto di campagna ch’ egli era stato e l’uomo che la vita l’ aveva costretto a diventare.
Un abulico che poteva scatenare fulminei scatti di lampeggiante volontà; un uomo rimasto per tutta la vita stranamente melanconico favorito dalla natura, perseguitato – bisogna dirlo anche se toccò le soglie della più alta fortuna – perseguitato dalla sorte
. Ora che le ali del campionissimo si sono chiuse, non si può non ricordare quante volte la sua carriera e la sua vita stessa corsero il rischio di essere spezzate da quello che si chiama abitualmente un «banale incidente», una caduta come un ragazzo ne fa a centinaia, cavandosela con una sbucciatura ad un gomito o ad un ginocchio.
Mai nella forsennata vertigine della corsa, quando la ruota della bicicletta va saettando a disegnare il filo sospeso fra la vita e la morte sul ciglio di un burrone: ma a metà di una pedalata senza storia, a passo di carovana, a passo di trasferta.
Anche oggi, è un piccolo, misterioso, atroce imponderabile intervento del fato quello che colloca l’angosciosa parola fine alla sua vita. Fausto vinse sempre senza mai sorridere, quasi non credendo mai totalmente in se stesso.
Sembrava sempre soprappensiero: come stranamente e fissamente in ascolto di una qualche voce interna che gli andasse mormorando dentro una incomprensibile parola.
Quella parola segreta non era: ’Fortuna’. La guigne, vecchia parola dei tempi lontanissimi delle antiche corse su strada, ha rotto il filo della sua vita fragilissima, come un piccolo soffio di vento spezza il filo di una tela di ragno coperta di brina, là, sulle siepi invernali del suo paese di campagna”.
( Orio Vergani, 1960, ’Corriere della Sera’ )
DOPING ? CHE SARA’ MAI STO DOPING? La più grande occasiona mancata dell’antidoping mondiale sembrava aver recuperato l’ora del riscatto. Questo nella prima parte di ottobre.
Quando grazie ad una sentenza di un tribunale spagnolo e al lavoro della della giustizia sportiva italiana ha acconsentito che le (oltre ) 200 sacche di sangue ( sopravvissute, tra le molte altre) durante la (fantomatica) Operacion Puerto venissero ’assegnate‘ al Coni per dare ( finalmente) nome e volto ai 26 uomini e 3 donne a cui appartengono. Restiamo nell’ attesa. Trepidanti, anzi, titubanti.
Sempre sul filo rosso del doping colore giallorosso, era uscita la soffiata di un Sergio Ramos afflitto da ‘ due irregolarità procedurali in altri test antidoping‘. Il Real dell’Innominato, ovviamente, ha alzato immediatamente il ponte levatoio. Ma alcune carte ( peraltro) pubblicate, richiederebbero giusta luce sul ‘ guerriero’ del Blancos, che guerriero sarà pure ma con sempre più ombre sulla sua nuova capigliatura a fraticello.
Le carte rivelerebbero che il buon Sergio dopo la finale 2017, quella di Cardiff, che alcune e mail intercettate all’uopo, presentasse ‘ tracce di Desametasone, con proprietà antinfiammatorie, e che può essere consumato per via intramuscolare lontano dall’evento, fino a 24 ore dalla gara”. Dovrebbe essere dichiarato dal medico. Che però, nella circostanza, indicò un altro medicinale della famiglia dei Glucorticoidi, il Celestone cronodose ( anche questo proibito), specificando che nel pomeriggio della vigilia aveva fatto due iniezioni a Ramos, nella spalla e nel ginocchio, per calmagli i forti dolori derivati da problemi cronici ( mai resi noti in questa portata) agli arti in questione.
” Mi sono confuso- si è giustificato l’infallibile cultore delle sorti mediche del Real - per il clima di euforia che ci circondava. Nella sala antidoping entrarono infatti anche il re Juan Carlos e il primo ministro Mariano Rajoy ”(1) . Inutile aggiungere che citati (perfin0) nomi ( tanto ) illustri, i ‘ vampiri‘ della Uefa si sono subito accoccolati in qualche buio angolo dell’edificio. Noi, invece, per quel che ci riguarda, con irreligiosa curiosità, stiamo ancora chiedendoci che ci siano andati a fare il re e il ministro in una sala antidoping prima d’un evento planetario.
Nota. ( 1) ‘La gazzetta dello sport’ , sabato 24 novembre 2018.
AGGIORNAMENTO SUI NUOVI STADI.
MILANO. L’annuncio c’è: Milan e Inter intendono costruire una nuova casa, a due passi da quella vecchia, da condividere in tutto. A partire dall’onere iniziale di 6oo mln ca, per un impianto della capienza di 60 mila spettatori da terminare in quattro anni. Il sindaco di Milano, Sala, che evidentemente naviga habitat totalmente diverso da quello della Raggi, di nuovo piombata in altre ambasce, s’è detto disponibile alla proposta. Importante che le venga inoltrata in tempi e modi consoni.
Certo, dimenticare quanto dal 1926 è accaduto in quel tempio del calcio, ormai obsoleto, non sarà facile. Tuttavia, se si punta per davvero ad un futuro più solido e certo, anche questo ‘ sacrificio’ può essere accetto. Soprattutto dai giovani, che di quel pantheon della pedata milanese ( e mondiale) poco sa o manco immagina.
BOLOGNA. Restyling del Dall’Ara al via nel 2020. Due mesi previsti per la presentazione del progetto, con capienza 29 max mila posti. L’accordo col Comune c’è, infatti 30 mln per la costruzione dell’opera li metterà palazzo d’ Accursio, mentre manca la definizione di un partner finanziario fondamentale per ragionare in termini di avanzamenti. Joey Saputo anticipa ” Sarà bellissimo, un mix di antico e moderno, tutto al coperto”.
ROMA. Sullo stadio dell‘Urbe, invece, va registrata una dichiarazione auspicante a sorpresa del sindaco Virginia Raggi, 40 anni.
Allora, ci siamo o no, con questo nuovo stadio a Tor di Valle?
” C’è tutta volontà di andare avanti al più presto”.
Cosa manca al progetto per completare l’iter amministrativo e dar il via ai lavori?
“ In primis, sto aspettando l’esito del parere che ho chiesto al Politecnico di Torino, poi penseremo alla variante urbanistica. Non è un atto dovuto ma ho ritenuto che, dopo tutto quello che abbiamo letto sui giornali, i cittadini abbiano il diritto ad un ulteriore approfondimento.
Ci sono alcune questioni aperte: ad esempio, io continuo a ritenere che si dovrebbe investire di più sulla linea ferroviaria Roma-Lido che collega il centro a Ostia. Il progetto sarebbe ancora più bello e utile alla città. In pratica, dopo la relazione del Politecnico completeremo l’iter. I lavori potranno partire già entro quest’anno”.
( La gazzetta dello sport, venerdì 18 gennaio 2019, pagina 14)
L’ OCCIDENTE RINCOGLIONITO. Non è bastato ( qualche giorno fa) Putin a rammentare alla sciagurata genia umana un possibile ( se non imminente) scenario nucleare; non sono bastati secoli di continua e circostanziata ‘demolizione‘ di quel che recò al mondo il giorno della ’venuta al mondo’ del ‘figlio di Dio‘ , che non sono mancate frotte di epigoni decisi a spegnere le ultime luci su un evento che ha ‘ tracciato‘ e ‘segnato’ storie ( ormai) profonde due millenni.
Sulla ‘prima‘ di un celebre quotidiano italiano è spuntata infatti una recensione, la solita ormai da anni alla vigilia dell’evento cristiano, a metterci sull’avviso che stiamo a festeggiare ‘ bufale, miti e leggende’ d’ una festa ( gradita al mondo dei consumi) e che così appare da qualche secolo in qua. Da noi, ad esempio, l’albero addobbato, non il presepe, fu introdotto da Margherita di Savoia, ovvio, ai suoi tempi. Eppoi, chi l’ha mai detto, se non quell’ingenuo di frate Francesco, che c’erano la grotta, il bue e l’asinello, e che i Magi fossero tre e anche re?
C’è, insomma tanta gente, anche prestigiosa, anche dal gran nome, che circola per il Mondo dilettandosi ad iniettare ‘ dubbi’, (altre) ‘ verità’, ’ veleni’. L’importante è che il ‘ favoloso evento’ abbia a scomparire ( una volta per tutte) dagli orizzonti del ( cosiddetto) uomo moderno. Sopratutto se occidentale.
Che dev’essere impresa ostica, anche perchè restano non pochi problemi a spiegare qual ‘ spirito’ e ‘ qual genio’ abbia ‘elevato’, cattedrali, leggi, valori, (società più ) umane e ( dulcis in fundo) grandi capolavori. Cristiani, diciamolo chiaramente, una volta tanto, e che altro?
Del resto i ’poveri’ , quelli che hanno conservato (ancora ) la ‘ libertà di credere a chi loro più affida‘ queste cose le sanno.
E continuano a stringersi, più numerosi di quel che lasciano ad intendere i ( cosiddetti) ‘ sondaggi‘, fatti apposta per celebrare ideologie e agevolare consumi, non intorno ad un ‘presepe degenerato‘, come van predicando gli ‘ illustri maestri‘, ma ad un ‘evento‘ antico, sconvolgente, unico, diversamente ‘raccontato’ nel tempo, certo, eppure dopo due millenni (e nonostante tutto ) condiviso e diffusamente attuale. Un respiro di fede, evviva, lungo la meravigliosa Penisola.
NOTE STORICHE
NOTRE DAME DE PARIS
La cattedrale metropolitana di Nostra Signora (in francese: Cathédrale métropolitaine Notre-Dame; in latino: Ecclesia Cathedralis Nostrae Dominae), conosciuta anche come cattedrale di Notre-Dame o più semplicemente Notre-Dame (pronuncia [nɔtʁə dam]), è il principale luogo di culto cattolico di Parigi, cattedrale dell’arcidiocesi di Parigi, il cui arcivescovo metropolita è anche primate di Francia.
La cattedrale, ubicata nella parte orientale dell’Île de la Cité, nel cuore della capitale francese, nella piazza omonima, rappresenta una delle costruzioni gotiche più celebri del mondo ed è uno dei monumenti più visitati di Parigi.
In base alla Legge francese sulla separazione tra Stato e Chiesa del 1905, l’edificio è proprietà dello Stato francese, come tutte le altre cattedrali fatte costruire dal Regno di Francia, e il suo utilizzo è assegnato alla Chiesa cattolica. La cattedrale, basilica minore dal 27 febbraio 1805, è monumento storico di Francia dal 1862 e Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCOdal 1991.
Nell’area in cui oggi sorge la cattedrale, si trovava un tempio pagano dedicato a Giove,frutto della ricostruzione di Lutezia da parte di Caio Giulio Cesare dopo la resa di Vercingetorige del 52 a.C. Una più antica cattedrale, dedicata inizialmente a santo Stefano precedette l’attuale edificio. Si trattava di una basilica a cinque navate separate da colonne marmoree e sorgeva più ad ovest rispetto alla cattedrale odierna; annesso vi era un battistero dedicato a san Giovanni Battista, con il nome di Saint-Jean-le-Rond, definitivamente demolito nel Settecento. La cattedrale di Santo Stefano venne affiancata (chiesa doppia) e quindi sostituita da un’altra dedicata alla Vergine Maria. ( Wikipedia)
IMPERO CAROLINGIO E SACRO ROMANO IMPERO.
Nascita. L’epoca di Ludovico il Pio, Carlo Magno era il figlio di Pipino il Breve, quindi il secondo sovrano pipinide del regno di Franchi. Salito al potere come unico sovrano dopo la morte del fratello Carlomanno, iniziò una serie di campagne militari di successo, che lo portarono presto ad ingrandire i suoi possedimenti verso la Sassonia, la Baviera, la Marca di Spagna (fascia pirenaica della Spagna del Nord) e l’Italia, strappata ai Longobardi. Inoltre sconfisse gli Àvari, ottenendo la sottomissione della Pannonia, dove essi erano insediati, come stato tributario, mentre un’analoga sorte si attuava verso il ducato di Benevento.
Alla morte di Carlo l‘Impero avrebbe dovuto essere diviso tra i suoi tre figli maschi legittimi, ma la morte prematura di due di essi fece sì che il trono passasse nelle mani di Ludovico, detto ‘il Pio’ per la sua attenzione alla religione. Ludovico non fu un sovrano energico come il padre, bensì era interessato soprattutto alle questioni religiose nella convinzione che l’adesione alla dottrina cristiana avrebbe garantito quell’ordine e serenità all’Impero che veniva teorizzata dai suoi consiglieri quali Benedetto d’Aniane o Agobardo di Lione.
Nella pratica Ludovico divenne presto un sovrano incapace di manifestare la sua autorità, mentre le regioni imperiali divenivano soggette sempre più all’aristocrazia franca.
Un suo tentativo di destituire il nipote Bernardo, ucciso dopo essere stato accusato di tradimento, macchiò per sempre la sua coscienza e, su spinta degli alti prelati, fece pubblica ammenda che lo screditò ulteriormente agli occhi dell’aristocrazia.
Già prima della sua morte spartì l’impero tra i suoi tre figli Lotario, Pipino e Ludovico II il Germanico, ma il già fragile equilibro si ruppe con l’entrata in scena del figlio del suo successivo matrimonio, Carlo il Calvo, che diede origine a una guerra civile che aggravò l’instabilità del potere centrale, anche se si alternò a periodi di pace per lo scarso interesse dell’aristocrazia di parteciparvi.
La divisione dell’Impero. Alla morte di Ludovico il Pio (840) Lotario I assunse la corona imperiale, come previsto dal padre, mentre i due fratelli superstiti Ludovico e Carlo si allearono per obbligarlo a cedere una parte del potere. Il giuramento di Strasburgo, rivolto alle truppe dei due fratelli, è rimasto famoso perché conserva il primo accenno scritto alle nascenti lingue francesi e tedesca.
Nell’843, con il trattato di Verdun, Lotario dovette scendere a patti: mantenne la corona imperiale, ma si limitò a governare la fascia di territorio centrale tra Mare del Nord, bacino del Rodano, del Reno, le Alpi e l’Italia, con le città di Aquisgrana e Roma. Carlo il Calvo prese la Francia ‘occidentale’ (odierna Francia senza la fascia più vicina all’odierna Germania e la Provenza) e Ludovico il Germanico la Francia’ orientale‘, corrispondente alla porzione odierna di Germania compresa fra il Reno e l’Elba, fino alla Baviera e la Carinzia comprese.
Con la morte di Lotario, Ludovico prese la corona imperiale, quindi nell’875 gli succedette Carlo il Calvo, sostenuto da papa Giovanni VIII, che vedeva in lui un possibile alleato contro il principe di Spoleto e i musulmani, insediati alla foce del Garigliano.
Carlo il Calvo morì nell’877 con l’impero carolingio ormai in dissoluzione. Gli succedette Carlo il Grosso, figlio di Ludovico il Germanico, anch’egli incoronato da Giovanni VIII, sempre in cerca di protezione; ma l’imperatore non riuscì a impedire l’assassinio del papa nell’882, durante una delle frequenti guerre civili combattute a Roma dall’aristocrazia locale.
La minaccia di incursioni esterne, Normanni e musulmani in prima linea, avevano messo in dura difficoltà Carlo il Grosso, tanto che i Normanni assediarono la stessa Parigi. In questa situazione fu costretto ad abdicare da un’aristocrazia che si rifiutava ormai di obbedirgli (887). Trascorse gli ultimi mesi della sua vita in prigionia, senza alcun successore sul trono.
Differenza tra Impero carolingio e Sacro romano impero
L’impero carolingio era strettamente correlato alla figura del suo fondatore Carlo Magno ed alla sua discendenza carolingia, alle sue conquiste e allo speciale rapporto che esso aveva instaurato con il papato. Anche l’impero romano-germanico (il Sacro romano impero, poi della nazione tedesca) era germogliato da quello carolingio, ma essendo venuta a mancare la parte occidentale del regno di Francia, per alcuni non poteva esserne erede, se non nella stessa misura della corona francese. La data canonica della sua fondazione è il 962, da parte di Ottone I.
Il titolo imperiale venne tuttavia trasmesso dai carolingi ai sovrani successivi e presenta pertanto una sua innegabile continuità. Per tale ragione nel computo degli imperatori del Sacro Romano Impero si suole generalmente risalire fino a Carlo Magno.