Non solo sport. Solito squillo solitario del Marc cataluno. Lo sprint regale di Elia Viviani. Il pallone e le ciacole.

LA CRONACA DAL DIVANO. Un weekend tutto sommato scontato. Tranne che per l’impresa di Berrettini ( agli ottavi, inutilmente, contro re Federer). Perchè dalle moto giunge il solito squillo solitario del Marc cataluno ( avviato ormai senza patema alcuno verso l’ottavo titolo) mentre dal glorioso volley non s’apprendono altro che ( inusitate) disfatte in serie, maschili e femminili.
Questa settimana non sono uscite grandi sorprese manco dal cilindro del Calciomercato, più ciacarone che altro. La Signora dovrebbe avere stregato un sacco di bravi ragazzi, ma alla prova dei fatti taluni restano ancora lontani dalla Continassa.
Come il franco Podgba, che vorrebbe tornare ‘ a casa‘, ma che i danari realisti cercano in ogni modo di portare in Spagna. Sono sul mercato il Ninja e il Maurito che della Beneamata del Conte Dracula non farebbero più parte. Il Diavolo s’arrabatta come pote, ma di gloria eterna meglio non parlare. Al contempo, il Ciuccio del sor Carletto sogna ancora sul suo futuro ma ‘ col pensiero ( ancora) a Maradona’.
Tra l’altro c’è un tal Al Saha che sen va in Cina con un contratto da re di Leon, Castiglia e Navarra. Dicono 16 milioni netti annui. Credere a simili operazioni, non ci riesce proprio. Possibile che, tra i tanti curiosi che popolano il mondo del pallone, non ci sia qualcuno che vada a chiedere lumi su tali incredibili spostamenti di danari?
Nulla da dire se non confermare quanto si va dicendo sulla F1 finita nella fauci di piccoli, brutti, ottusi e cattivi stortignacoli. Se la ‘cucchino‘ tra di loro. E’ avviato il Tour, con sprint regale alla quarta tappa di Elia Viviani. Mentre continuano le Universiadi napoletane ( con buon bottino nostrano) e hanno chiuso i battenti i Giochi olimpici europei di Minsk. Con in vetta al medagliere : Russia, Bielorussia e Ucraina. Noi fungiam da quarti.
Con poco o nulla da eccepire, se non chiederci come abbiano fatto Bielorussia ( 1 oro, 4 argenti, 4 bronzi alle Olimpiadi 2016) e Ucraina ( 2 ori, 5 argenti e 4 bronzi sempre alle Olimpiadi 2016) a trasformarsi in un batter di ciglia superpotenze dello sport continentale.
L’umile Bielorussia, addirittura, ci ha quasi doppiato, con circa 80 medaglie complessive nel suo carniere. Ammazza, oh, vien da dire, come vanno veloci i tempi dello sport moderno! Proseguono, nel frattempo, a Napoli, rimesso a lucido, le Universiadi.
IL FUOCO D’OLIMPIA. Il Cio ha assegnato a Milano-Cortina le Olimpiadi della neve 2016. Un successo ‘ politico-diplomatico-sportivo’ che ci voleva. Per tirare fuori dalle secche uno sport italiano che con la scarsità di buoni dirigenti che ha rischia ad ogni ora di più d’invilupparsi come altri aspetti della vita nazionale. Politica in primis.
In questo caso, facendo squadra tra realtà diverse, s’è approdati ad un riconoscimento non scontato ( pochi i voti di differenza) eppure, a suo modo, significativo. Ora occorrerà rimboccarsi e le maniche e mettersi al lavoro. Perchè tante sono le cose da fare. Tra queste alcuni impianti che potrebbero segnare il futuro ( non solo) sportivo di Milano, Cortina e delle Regioni coinvolte.
Nella circostanza, guarda un po’, Inter e Milan hanno annunciato l’imminente presentazione al Comune del progetto sul nuovo San Siro, circa 60 mila spettatori, poco distante dall’attuale impianto che dovrebbe ( in seguito) essere abbattuto. Verrà, perchè ( manco a dirlo) tanti restano i nodi da sistemare. Da sciogliere.
E sempre che il Comune voglia fare una scelta lungimirante o meno. Per dirla in breve, o come Torino o come Roma. In un caso guardando avanti, nell’altro arrancando nei meandri d’un passato torbido e inconcludente.
IL FAR WEST DELLA F1. Un breve ( e ultimo) commento sulla F1 detta ormai ‘della noia’, o meglio della regola fatta su misura, chè per questo ed altro di più non merita. Infatti ferma restando la situazione attuale, dove contro il lupo ( argentato) ogni ( sacrosanta) ragion non vale, di quanto andrà ad accadere sulle piste automobilistiche di qui alla fine anno non ce ne importerà un ‘ fico secco‘.
Che esultino pure gli altri, del resto sono rimasti così tanto a digiuno che per quel che spendono da qualche anno a questa parte possono anche festeggiare qualche piatto a base wurstel e crauti. Noi ci consoleremo con altri piatti.
Ergo, i titoli che piovono dai piccoli, brutti e cattivi tortignacoli Fia e loro accoliti se li distribuiscano pur tra loro. Per noi è solo carta straccia. Non ci fa piacere dirlo, ma se anche la ‘rossa’cominciasse a pensare di abbandonare quella ( maldestra) compagnia ci farebbe felici. Intanto noi, per quel che potremo, non dedicheremo più riga alcuna ad un ‘circus’che tale è ma solo per esibire i suoi comici simulacri senza la credibilità necessaria.
Nello stesso tempo non seguiremo più telecronaca alcuna, nè gran premio, Monza compreso. Nostra speme è che in angolo del Pianeta i milioni di fans della ‘rossa’condividano ( compatti) una ‘protesta’ che gli uomini di Maranello ( al momento) non vogliono o non possono ( ancora) fare.
RITORNI A CASA. Dovremmo parlare di ‘ritorni‘. Nel calcio ( e nello sport) tra i più vilipesi ( e gloriosi ) del Pianeta. Vediamo di stilare un mini elenco, ad uso e abuso dei nostri milioni di esterofili, nella speranza ( ovvio) di non omettere ( almeno) i più significativi.
Nella pallavolo nostrana torna quel mito di don Julio, al quale hanno pensato bene di affidare la riorganizzazione dei vivai azzurri. Nel basket è rientrato sotto l’ombra della Madonnina quel gran tecnico che ha conquistato ( perfino) l’NBA, tale magister Messina. Nel calcio hanno rimesso piede nel sacro suol del Belpaese, dapprima il Carletto ( sotto il Vesuvio), eppoi il Conte Dracula ( sotto la Madonnina, sponda nerazzurra) e quindi il buon Sarri ( sotto la Mole antonelliana, sponda bianconera).
E ce ne sarebbero altri. E non solo italici. Come quel Paul Podgba che stanco del campionato ( e della squadra) più ricco(a) al mondo, potrebbe rivestirsi dei colori della zebra. Danari Real permettendo. Non male per quegli illuminati che da tempo immemore cercano di ‘ tenere lontana‘ quanta più gente possono da questo Paese.
Avremmo qualcosa da ridire anche sugli itali trapiantati in altre regioni della Terra. Alcuni in ambasce ( come Michelone Platini), altri in posizione non amabile ( come il Giacomo Pallotta, padre padrone della Lupa), altri infine ( come il Rocco della Viola) pervasi dal sacro desiderio del migrante che partito qualche lustro fa povero e disperato torna ora ricco e felice per dimostrare quanto talento continui a sprecare questo ( suo, nostro) straordinario loco planetario.
Una menzione speciale la teniam per Leo Messi , di ceppo marchigiano recanatese, che dei suoi ( illustri) avi poco o nulla ( finge?) di conoscere. Infatti ci riesce difficile, pur cercando di (ri)valutare al meglio le difficili e tormentate traversie a cui sono stati costretti i nostri migranti e le loro famiglie, non avvertire più in questi nostri ‘figli‘ ( almeno) l’orgoglio d’essere ‘frutti dispersi’ d’una madre ‘antica, illustre e rigogliosa’ che ha impiegato secoli per realizzare dna straordinari.
Suoi e non d’altri. Perchè come ben si sa non è ( e non sarà) qualche lustro di ‘ jus soli’ ad indicar chi siamo, ma solo e soltanto quell’immemore ‘jus sanguinis‘ che scorre ( e scorrerà) nelle nostre profondità chissà per quanto tempo ancora.
RIFARE O NON RIFARE… SAN SIRO? ” Non sono ideologicamente contrario ad un nuovo impianto- commenta l’architetto Stefano Boeri, 62 anni, presidente della Triennale -. Del resto come potrei nel mio ruolo?
Anzi, vi dirò di più: se passasse il progetto di un nuovo stadio, immagino ci sarebbe un concorso internazionale per scegliere lo studio migliore. Ecco, io ambirei a parteciparvi, come architetto prima ancora che come presidente della Triennale. Ma resto dell’idea che un restyling del Meazza sarebbe la scelta più equilibrata”.
I club, intanto, sostengono che non varrebbe spendere tanto danaro ( circa 700 milioni) per ristrutturare un impianto che non arriverebbe comunque ad offrire i servizi che oggi garantiscono i grandi stadi europei. i servizi di un impianto moderno garantirebbe ben altre entrate.
” Può darsi – replica l’interlocutore -, ma siamo sicuri che il tifoso italiano abbia voglia di vivere l’evento calcistico come fanno altrove, presentandosi allo stadio tre ore prima e andandosene due ore dopo la partita? Per carità, ci si abitua a tutto, ma io credo che da noi basti l’evento per riempire un pomeriggio o una serata allo stadio. Non il contorno”.
Obiezioni corrette, quelle di Boeri. Che però non sembrano rispondere ad alcune domande fondamentali. Esempio: a) fare un restyling a San Siro, non significa ripassarlo con qualche pennellata di colore, ma sventrarlo nell’anima.
Per anni. E mentre si procede, dove andrebbero a giocare Milan e Inter: a Monza o a Como ? b) Siamo sicuri che un restyling ( per quanto profondo) andrebbe a soddisfare le mille richieste procedurali, di sicurezza strutturale e di sicurezza nell’uso abituale dell’impianto? Si sa che una casa vecchia, per quanto illustre e cara sia, resta pur sempre vecchia. Con tutti i limiti della sua vecchiaia. Che non sono nè pochi nè insignificanti.
RAGAZZI AZZURRI.
Altre reminescenze. E’ una Italia che piace anche quella del Mancio da Jesi. Lotta e non si fa mettere sotto dalla Bosnia, in una partita ‘vera’ di qualificazione per l’Europeo, ma da fine stagione. Comunque i tre punti incasellati ( 2-1 il risultato) mettono un set ball per il proseguo, a settembre, con due incontri in programma. Dopodichè la partecipazione al torneo continentale dovrebbe essere ( matematicamente) assicurata.
Hanno invece ‘ defraudato’ i ragazzi della Under 20, che sotto di un gol contro i simil ucraini erano riusciti a pareggiare al 93′ con un gol stupendo, da scuola di calcio, ma subito raggelati da un Var nato per fare giustizia e usato per fare ingiustizia.
Gli avessero consentito i supplementari, avremmo potuto vedere chi dei due contendenti era superiore dopo una gara condotta tatticamente ( tra e pro e contro) in grande equilibrio. Morale, gli ucraini, una volta tolta di mezzo l‘Italia, sono andati dritti dritti a conquistare il loro primo (insperato, ma neppure maltolto) trofeo iridato di categoria.
ALTRE NOTE DALLA F1.
O ETERNE MOSCHE CAVALLINE ! F1. In Canada a tagliare per prima il traguardo è stata una ‘rossa’, ma per i (soliti giudici Fia) la vittoria è passata ( sub judice ?) ad una ‘ freccia d’argento’. La solita che da alcuni anni a questa parte si cerca di far arrivare prima alla meta costi quel che costi.
Tramite regolamenti ad hoc, pneumatici adattati alla bisogna, giudici univoci e perfino comprimari o accoliti disponibili a dare una mano propizia laddove onestà, carisma ed ingegno scarseggiano. Così è chiaro che lo sport va a puttana. Come è chiaro che i titoli assegnati in questi ultimi anni, ben che vada, saranno accettati come gli scudetti tolti alla Juve per trasferirli ad altri.
Nel senso che, giusta o sbagliata che sia l’operazione, ci sarà sempre una parte consistente degli appassionati del calcio ( o nello specifico dell’automobilismo ) che mai e poi mai accetteranno queste ‘ salomoniche‘ ingerenze ‘ regolamentari’.
” Capisco che agli appassionati – commenta un certo ing. Costa ( ex Ferrari ora Mercedes)- il risultato del Canada lascia l’amaro in bocca, ma in quel caso il regolamento è molto chiaro. Vettel è uscito e poi rientrato non in sicurezza. Hamilton ha dovuto frenare per evitare il contatto e non c’erano altre storie”.
Che la manovra di Vettel sia stata a tal punto maldestra da sottrargli la guadagnata vittoria lo crede lui, soltanto lui, non noi, che del resto poco o nulla possiamo fare se non affidarci agli occhi nostri e non a quelli di ‘ addetti ai lavori’ d’un apparato che quando c’è da decidere qualcosa d’importante vede sempre e soltanto in una unica direzione. E non da oggi, da anni.
Inoltre che certo ing. Costa capisca l’amaro in bocca dei fans della ‘rossa’ non ci pare proprio. Ci pare piuttosto che capisca quel che ( non ce ne voglia a male) i cosiddetti ‘transfuga’ da che mondo e mondo ‘sono costretti a dire’ una volta riparati sotto un altro tetto.
Del resto, come diceva( se non erriamo) Gramsci, di ‘mosche cavalline‘ ne son piene le epoche. Contano quel che contano. Però ci sono. Eccome. Ronzanti. Molti secoli fa, ai tempi dei greci antagonisti dei persiani, ad esempio, non pochi dei primi ( per affaracci loro) sono traslati al servizio dei secondi dominatori di quell’epoca.
Qualcuno sì è pure rifatto la verginità. I più, però, hanno dovuto abbassar l’ali. E qualcuno pure il collo. ” Del resto, caro, che vuoi che ti consideri – motivava con scherno il Grande Re - hai tradito la gente tua, figuriamoci se ti lascio in vita che faresti della nostra”.
MA SI’ CAMBIAMO ( ANCHE) LE GOMME! Volete saperne un’ altra, bella bella e , come si dice da queste parti, con i calzetti sulle ‘frecce’? Helmut Marko, 76 anni, braccio operativo di Dieter Mateschitz alla Red Bull, amico e connazionale del ‘ nostro‘ indimenticabile Niki, s’è sbottonato ( di recente) con la ‘rosea’ trattando tante cose interessanti.
Tra queste la decisione di adottare ( a campionato in corso) nuove gomme che ( alla prova dei fatti) aiutano ( solo e soltanto) la ricca e potente casa automobilistica di Stoccarda detta delle ‘ frecce d’argento‘. ” La morte di Lauda avrà certo un peso notevole sulle sorti delle ‘frecce d’argento’ in questo campionato. La sua intelligenza ( abbianata all’esperienza) contava e non poco.
E comunque in questa hanno accumulato un tale vantaggio, grazie a quello stupido cambiamento delle gomme, che sarà difficile non riportare in porto un altro titolo. Al momento, ci sono 19 team che fanno fatica e uno solo che ne beneficia. Adesso è più importante il giro per scaldare i pneumatici di quello di qualifica. Se non raggiungi la temperatura ideale, sei rovinato. Noi magari in quell’istante abbiamo la macchina più veloce in pista, poi entra la safety car, le gomme si raffreddano e siamo ( tutti) fregati”.
” Come si è verificata una situazione del genere? Quella di ridurre il battistrada – integra Marko - è stata una richiesta della Mercedes che ha sempre sofferto di ‘ blistering’. Ma così si rovina lo sport … “. Ovviamente .
Come ovvia ( scontata) è stata la smentita della Pirelli, che rimanda alla superiore velocità in gara delle ‘frecce‘ il vero motivo del loro successo. Smentita, giù, ma che manco quelli della casa milanese ( probabilmente) credono. Non ne avevamo avuto abbastanza con la questio power unit, che sì è aggiunta anche questa ( ulteriore decisiva) concessione.
Per quelli che vincere vogliono, sì, ma a tutti i costi.
Senz’altro è per questi ‘ retroscena‘ più o meno pubblicizzati, che quando va in pole la ’rossa’ saltano i banchetti, mentre quando il solito ( i soliti) s’assidono ( qua e là pel mondo) sui gradini più alti del podio ( tuttalpiù) s’applaude. Per non sbadigliare. Così cominciamo a credere a quel venticello leggero leggero che assicura della ‘ segreta voglia’ del ( grande?) Lewis di provare ( finalmente) il brivido d’una ‘rossa‘.
SPECIAL…ONE. Ne hanno fatta di strada quei poveri ex diavoli d’Albione che ( all’incirca) due secoli e mezzo fa erano costretti ad obbedire all’esosa Madre Patria pagando tasse oltre misura per restare colonie anglofone protette da una lontana regina negli immensi, spopolati e insidiosi territori del Nord America.
Oggi, infatti, gli eredi degli stessi, fatta debita strada, possono permettersi di parcheggiare ( per tre giorni) un enorme ed inquinante Special… One sull’isola, andando ad indicar ai nonni quale strada devono percorrere per non trovar sorprese in futuro.
Grida il buzzurro presidente dalla dorata chioma : ” Uscite dall’Europa. Uscite dalla UE , o angli diletti. Che poi vedrete quanti favolosi accordi potranno essere sottoscritti tra di noi. Tra nonni e nipoti. Roba speciale. Roba da corsa all’oro!”.
E questo grida mentre, appena sceso dal suo Special One, si approssima verso l’anziana regina per accennarle non un segno di rispetto ma un confidenziale ’ cinque‘, senza inchino alcuno, e in barba a secolari e dettagliati protocolli. Che ci volete fare? Del resto non sarà per caso che gli danno del ‘buzzurro‘ ogni volta che appoggia i suoi stivaloni borchiati sul suol straniero?
CALCIOMERCATO. E’ passata dunque di mano la Viola che, dai Della Valle sazi di ‘ continuare a begare‘ con la città di Macchiavelli , vola Oltreoceano, in braccio ad un calabro migrato adolescente negli Usa e oggi affermato imprenditore con capitale intorno 5 mld.
Meglio cominciare a tenere in mente il suo nome, Rocco Comisso, dal fare simpatico, mediterraneo, accolto con enorme simpatia, che già in partenza di beghe ( chissà se se ne rende conto) ne prospetta non poche. In primis quella di trattenere a Firenze il talento Chiesa, 21 anni, già d’ accordo ( si dice) per il prossimo campionato con la Signora, sulla base di 5 mln netti annui. L’allenatore resta Montella.
PROMOSSI BOCCIATI Campionato 2018/2019: ( vanno in Champions) Juve ( campione d’Italia), Napoli, Atalanta e Inter; ( vanno in Europa Ligue) Milan e Lazio ( gironi) e Roma (preliminari); ( retrocedono) Chievo, Frosinone ed Empoli.
AGGIORNAMENTO RANKING UEFA. Aggiornamento al 30 novembre 2018 del ranking Uefa. Classifica: Spagna, punti 96.283; Inghilterra, 73.034; Italia, 72.o11; Germania, 68.355; Francia, 54.331. Con questa posizione l’Italia ha assicurata la quarta squadra anche per il campionato 2020/2021.
ADDIO CARO NIKI. Certo che c’infastidivano le sue esultanze ad ogni trionfo delle ‘frecce d’argento‘, accanto a quel genio del Toto che quando vorrà togliersi di dosso quel camice bianco da reparto sterilizzato per mettersene un altro di color ’rossa’ passione sarà sempre tardi! Certo, che ci infastidiva!
Del resto, per un ‘amante’ della ‘rossa’ non può essere altrimenti, ogni volta, anche perchè nel suo caso specifico sembrava esserci quel riporto d’ingratitudine assai frequente nel comportamento degli uomini. Riporto amaro, e non facilmente digeribile.
Lui, il Niki, due volte campione iridato che proprio con la ‘rossa’ ( 75/77) più che con la MCLaren ( 84) era salito ( da sconosciuto) nell’Olimpo degli immortali dello sport ( non solo) automobilistico.
Nel 77, dopo essersi assicurato il secondo titolo, a due gran premi dalla fine del campionato, abbandonò la ‘rossa’ consentendo di trasferirla nelle mani dell’ (allora) imberbe Villeneuve, divenuto (poi) per tutti (noi) solo e soltanto il Giles, ovvero il figlio sportivo prediletto di Enzo, il grande Drake, padre dell’automobilismo sportivo.Tanto, sinceramente, di lui abbiamo a suo tempo pensato. E finanche di recente.
Probabilmente perchè stando al qua, o al di fuori, d’un circus speciale non potevamo avere gli elementi necessari per meglio valutarlo. Per giustamente apprezzarlo. Soprattutto nelle sue ‘sparate’ più ( apparentemente) ingenerose.
Come quando disse che alla ‘ Ferrari sarebbe stato meglio produrre spaghetti che auto da corsa’. E comunque, al di là delle sue battute, al di là delle sue esternazioni ( lodevolmente ) sempre dirette e franche, al di là delle sue (troppe) esultanze col Toto al fianco, c’è una cosa che il popolo della ‘rossa‘ ( come suo costume) mai dimenticherà : d’averlo avuto, negli anni Settanta, tra i suoi ‘figli’ ( forse ) prodighi ma (certamente) talentuosi. E più amati.
E adesso che, ad appena 70 anni se n’è andato, sale forte il rimpianto di non esserci capiti. Quando occorreva. Fino in fondo. Anche perchè i figli della ‘rossa’ sol perchè figli suoi restano eterni. Tutti raccolti entro quell’ infinito ‘cuore’ speciale senza tempo, che ad ogni appuntamento si materializza al GP d’ Italia.
Dunque, sali Niki, sali, a far compagnia ai tuoi indimenticabili compagni in tuta rossa. Per ‘proteggere‘ ( di lassù ) le sorti ( in continua evoluzione) d’uno sport ( altamente tecnologico) e ( pur sempre ) periglioso ed entusiasmate.
” Non avesse lasciato la Ferrari, avrebbe battuto il record ( 5 titoli) di Fangio” commentò il Drake, che per il Niki nutrì sempre grande considerazione. Per Montezemolo, inoltre, suo sincero ’amico’ da circa cinquant’anni, la scomparsa del grande campione austriaco è “ una perdita gravissima che resterà profondamente rimpianta e a lungo ricordata nel mondo della F1″.
A titolo di cronaca, sulla bara dell’amato Niki ‘vestito’ in tuta rossa, era depositato un profumato cuscino di fiori, dal quale spuntava un casco rosso con il Cavallino stampigliato.
BIOGRAFIA. Andreas Nikolaus Lauda, detto Niki (Vienna, 22 febbraio 1949 – Zurigo, 20 maggio 2019), è stato un pilota automobilistico, imprenditore e dirigente sportivo austriaco.
Tre volte campione del mondo di Formula 1 (nel 1975 e 1977 con la Ferrari, nel 1984 con la McLaren), come imprenditore ha fondato e diretto due compagnie aeree, la Lauda Air e la Niki; come dirigente sportivo, dopo avere diretto per due stagioni la Jaguar, dal 2012 fino alla sua morte ha ricoperto la carica di presidente non esecutivo della scuderia Mercedes AMG F1.
Ha disputato 171 Gran Premi, vincendone 25, segnando 24 pole position e altrettanti giri veloci. Ha avuto una carriera sportiva di grande livello guidando per March, BRM, Ferrari, Brabham e, infine, McLaren. Considerato uno dei migliori piloti della storia, era soprannominato Il computer per via della sua freddezza al volante. Nel 1976, sul circuito del Nürburgring, ebbe un grave incidente che lo lasciò sfigurato e con ustioni di terzo grado su tutto il corpo.
I titoli mondiali in Ferrari (1974-1977)
- Qui alcuni passaggi del periodo alla ‘rossa’. L’ingaggio fu favorito da Clay Regazzoni, suo compagno alla BRM nel 1973, che per il 1974 sarebbe tornato al volante della Ferrari. Questo fatto provocò, però, qualche polemica, in primis a causa dell’esclusione di Arturo Merzario, nonché per il fatto che l’austriaco, a parte che nel Gran Premio di Monaco, non aveva al suo attivo ulteriori prestazioni di rilievo.
Per tutto l’inverno i due piloti furono impegnati diverse ore al giorno per mettere a punto la nuova vettura del team di Maranello, che fin dai primi test si rivelò difficile da guidare, afflitta da sottosterzo e scarsamente veloce. Lauda a bordo della Ferrari 312 B3-74 sul circuito di Brands Hatch durante la Race of Champions 1974
Alcune fonti riferiscono che i problemi della messa a punto fossero così grandi che un giorno Lauda avesse detto in faccia a Enzo Ferrari «Questa macchina è una merda!». Su tale episodio tuttavia esistono versioni contrastanti, in parte riferite dallo stesso pilota austriaco: in alcune di esse egli confermò la veridicità del fatto, aggiungendo che nessun altro aveva avuto il coraggio di parlare con tanta chiarezza a Ferrari dei problemi delle macchine; per contro, in altre dichiarazioni più circostanziate, lo stesso Lauda disse di essersi lamentato con tale linguaggio con il figlio del Drake, Piero, il quale lo ammonì di non parlare in quel modo a suo padre.
L’austriaco riferì quindi di aver detto a Ferrari che la macchina non andava bene e aveva problemi in particolare alle sospensioni; il patron gli domandò allora quanto si potesse migliorare, e lui gli rispose 5 decimi. Ferrari allora gli replicò: «Se non ci riesci sei in crisi», lasciando intendere che ne avrebbe pagato le conseguenze.
Il lavoro con l’ingegner Forghieri tuttavia fu fruttuoso, portando a un miglioramento di 8 decimi; già al debutto in Argentina Lauda riuscì a salire sul podio, giungendo in seconda posizione. Ricevette anche gli elogi dell’ex campione del mondo Juan Manuel Fangio, che pronosticò per lui un luminoso futuro. ( Wikipedia)
ALTRO
IL CORRIERE SUL CALCIO CHE AMIAMO. Questa volta l’iniziativa è del ‘Corriere dello sport’ , che sul nostro calcio cerca di fare chiarezza. Intanto sulle entrate, che sono oltre i 2 mld ( 2.2 mld) , ma sotto ( di non poco) rispetto alla Bundes ( 2,8 mld) e alla Liga ( 2,9mld). E soprattutto alla Premier ( 5,3 mld), che in ogni rivolo a favore riesce a trovare oro.
Noi che potremmo implementare introiti ( soprattutto da stadio e da diritti televisivi esteri) di tanto e in poco tempo, ce ne stiam con le mani in mano. Infatti possiamo far accomodare sulle poltrone di comando chi e quanti vogliamo, che il risultato ( più o meno) resta ( purtroppo) lo stesso. Si veda la quaestio stadi. Che se ammodernati come Dio comanda tanti introiti produrrebbero, ma che restano al palo, nella loro obsoleta noncuranza. Si veda San Siro. Si veda l‘Olimpico. si veda il San Paolo.
Qualche mosca bianca svolazza, come a Udine o a Bergamo, ma è ( ancora) poca cosa rispetto a quello che ci vorrebbe per tornare ( anche qui) sul tetto d’Europa. E qui ci sovvengon le frotte di presuntuosi, ben sbarbati e di griffe vestiti, tutti a gambe accavallate su calde ( e remunerate) poltrone raccolti, a dir del loro. Che nulla cambia. Che nulla crea. Se non i calcinacci che, da quel che si dice, sembrano ( ora) staccarsi ( perfino) dal terzo anello del vetusto e glorioso San Siro.
L’ALLORO D’ALBIONE. A guastar la festa, soprattutto se tanto danarosa, si sa, non è bello. Anche perchè, oltre che a risultare antipatici, si rischia di farsi mandare ‘ a quel paese‘. Eppure quel Made in England stampigliato da quattro loro squadre sulle finali di Coppe europee di calcio, non ci convince più di tanto. Onde per cui non ci riesce d’esultare più i tanto come van facendo i ‘ faciloni’ di casa nostra sempre pronti a salire sul carro del vincitore non appena questo bordeggia le gambe nostre.
Non è una questione di ranking Uefa che, a questo punto, volgerà nettamente a favore dei valorosi d’Albione. Togliendoci quella ( non remota) possibilità di affiancarli e superarli. E’ una questione di trasparenza che nello sport, qualsiasi sport, non è solo forma ma sostanza. I ragazzi che s’affacciano sullo sport credono in quel che vedono ed ‘ingannarli’ non conviene a nessuno. Di qua e aldilà dell’Alpe.Veniamo al sospetto, che non è una prova, ma solo un sospetto.
Delle beghe con l’antidoping di Ramos lasciamo perdere. Rivolgiamo invece lo sguardo sui vari campi di gioco, dove le figlie calcistiche d’Albione hanno fatto sfracelli. Correndo a perdifiato. Fin oltre i tempi supplementari, come i ‘reeds’ con i ‘ lancieri’, più giovani ma questo ( evidentemente) poco importa quando nella mischia si possono gettare energie prodigiose che rendono poca cosa perfino il ‘ genio della lampada del calcio di tutti i tempi‘ , costretto ad assistere più che a partecipare.
Durante le telecronache un commentatore s’è lasciata sfuggire l’annotazione ‘ ma come fa al 92′ a lanciarsi con tanta energia in quegli spazi vuoti ?’. Sul Corriere dello sport, invece, nelle pagelle stilate da Alberto Polverosi si legge, tra l’altro, questa valutazione su un centrocampista del Tottenham: ” Dopo 20′ ha il fiatone essendo costretto non a correre ma a ricorrere. Non si sa dove riesca a trovare tutte quelle energie nel secondo tempo, quando resta l’unico mediano in campo’. Già, dove le trova? Chi sa perchè non spiega, por favor, una volta per tutte?
NOTRE DAME DE PARIS. Brucia l’antica cattedrale di Notre Dame di Parigi . Brucia non per un attentato o per altro intento doloso. Brucia per una ‘distrazione‘, tutta da verificare, di quanti stavano lavorando alla sua opera di ‘ ristrutturazione‘. Incredibile, ma vero. Quando la notizie si è sparsa per la grande metropoli la gente, segnalano i cronisti, di qualsiasi ceto e origine, di qualsiasi colore ed estrazione religiosa, di qualsiasi età e genere, s’è precipitata ( incredula ) a verificare direttamente quanto di inatteso stava accadendo.
Qualcosa che non doveva riguardare (solo) un monumento storico, un concentrato d’arte e storia, un prestigioso lascito collettivo d’un millenario passato, ma un fondo di appartenenza ed identità che ad altro può attingere se non alle ‘ amai abbandonate radici cristiane’ ? Ora al rogo, neglette da troppo tempo, ma ( forse) proprio per questo ( inusitatamente) capaci di qualche senso di colpa? E fors’anche di voglia di ripensamento? O perfino di tornare sul sentiero antico?
Nel frattempo, lacrime di dolore sono state versate per l’ennesimo crimine a Ceylon contro i cristiani. O meglio contro quei cattolici romani che van predicando il verbo del Cristo risorto. Per redimere. Per pacificare. Per instaurare ponti tra le civiltà del Pianeta. Al punto che tanto reiterato odio ( praticamente denunciato, Santo Padre a parte, da nessuno o quasi) verso costoro non è nè plausibile nè comprensibile.
GLI IMMORTALI. È ritenuto uno dei più grandi allenatori di ogni epoca e il suo Milan (1987-1991) una delle squadre migliori di ogni epoca, da alcuni la migliore di sempre. France football oggi lo mette al terzo posto assoluto, dopo Michels e Ferguson. I suoi metodi di allenamento e le sue idee e convinzioni sono stati spesso oggetto di discussione.
Sacchi ebbe inoltre numerosi screzi con l’opinione pubblica e con alcuni suoi giocatori: proprio per questo è stato spesso accusato di ritenere prioritari gli schemi rispetto agli uomini. Nel settembre del 2007 il Times lo ha nominato miglior allenatore italiano di tutti i tempi e 11º in assoluto a livello mondiale. Nel 2011 è entrato a far parte della Hall of Fame del calcio italiano.
Da allenatore del Milan, squadra che ha guidato dal 1987 al 1991 prima di tornare per una breve esperienza nella stagione 1996-1997, ha vinto uno Scudetto, una Supercoppa italiana, due Coppe dei campioni, due Supercoppe europee e due Coppe intercontinentali.
Durante la sua prima esperienza a Milano Sacchi forma il team soprannominato gli Immortali, una delle squadre di club migliori di tutti i tempi secondo la UEFA,oltre che una delle squadre più vincenti della storia del Milan. Ha allenato dal 1991 al 1996 anche la Nazionale italiana, guidandola ai Mondiali di calcio del 1994 (finalista) e agli Europei di calcio del 1996 (eliminazione al primo turno).
Nel 2006 la rivista internazionale France Football ha nominato il Milan di Arrigo Sacchi migliore squadra del mondo del Dopoguerra.L’anno seguente un sondaggio online pubblicato nella rivista inglese World Soccer nominò il Milan di Sacchi (in particolare quello della stagione 1988-1989) la squadra di club più forte di tutti i tempi, nonché la quarta migliore di sempre in assoluto, dietro al Brasile del 1970, all’Ungheria del 1954 e ai Paesi Bassi del 1974.
Tra i giocatori che scesero in campo nella finale vinta ( 4-0) contro la Steaua, c’era gente del calibro di Baresi, Maldini, Tassotti, Costacurta, Ancelotti, Donadoni, Rijkaard, Gullit eVan Basten. Una formazione unica, irripetibile.
Nota a parte. Con piacere notiamo il ‘ miglioramento‘ in casa Sky del commento calcistico. In generale, e in particolare grazie al contributo del don Fabio che ( finalmente) liberatosi degli ultimi ( non felici) trascorsi con le nazionali di Inghilterra e Russia, ha ripreso a rimirare con il dovuto rispetto eventi e personaggi del calcio di casa nostra.
Dobbiamo ( dolorosamente) ammettere, con ( grande) competenza, lucidità, sintesi. Diciamo che ci ’azzecca’, eccome. Vedi il vaticinio sull’impresa dei ragazzi dell’Ajax al Bernabeu. Stando le cose in questo modo, non possiamo quindi che esultare per avere ‘ ritrovato‘ un contributo ( tanto) importante per la risalita del nostro sport preferito ( stadi e commerciale a parte) nell’Olimpo europeo.
E … NON LA VOGLIONO CAPIRE. ” Dagli arresti per doping e dintorni di Seefeld - commenta Pier Bergonzi su ’ Lo spunto’ - sale un rancido odore di vecchio. Vecchio come l’impiego delle trasfusioni di sangue per migliorare le prestazioni, come i nomi che ricorrono, come la mentalità di chi proprio non la vuole capire”.
Odore di vecchio? Perchè c’è chi non la vuol capire? Già, e chi non vuol capire? Lo sport, la sua organizzazione, i suoi interpreti piccoli o grandi che siano, l’informazione che gli grava attorno? Chi? E’ comunque bastato un semplice blitz mattutino delle polizie austriaca e tedesca a Seefeld, sede dei mondiali di sci di fondo, per cogliere con la siringa conficcata nel braccio uno degli eroi che di lì a poco sarebbe sceso in pista per andare a strappare chissà quale lauro per conto suo e della bandiera che rappresenta.
Nove gli arresti, cinque sono atleti. Tra i non atleti c’è anche il medico della Gerolsteiner di ciclismo, ( a suo tempo) travolta dagli scandali doping. Sì, perchè qui, nonostante le evidenti coperture a livelli diversi diffuse in ogni angolo del Pianeta, non s’è ancora ben capito se ‘sta questione doping venga affrontata come si deve oppure no.
Una questione doping che potrebbe riguardare molti sport, addirittura anche quelli finora tenuti in zone franche, ma solo perchè talmente importanti da rischiare la deflagrazione dell’intero sistema sportivo mondiale. E tuttavia, a noi, per quel poco che contiamo, di deflagrazioni minimali o massimali poco interessa.
A noi, per quel filo irrazionale e sentimentale che ci lega ancora all’evento sportivo, interessa che quanto si va ad ammirare, allo stadio o in altro che sia, lo si possa fare ’ a cuore sereno‘. Credibilmente. D’imbrogli ed imbroglioni, insomma, ne abbiamo l’anima piena. Un appello però ai media: non lascino cadere nel vuoto questa miseria umana.
CURIOSITA’
Questi i numeri della ‘rossa‘: 31 Mondiali ( 15 piloti e 16 costruttori); 970 Gp disputati dal 1950, con 235 vittorie.
ETIMOLOGIE
Chiariamo alcuni termini, anche perchè oggi possono risultare utili. Anzi, indispensabili.
* Demagogia è un termine di origine greca (composto di demos, ’popolo‘, e aghein, ‘trascinare‘) che indica un comportamento politico
che attraverso false promesse vicine ai desideri del popolo mira ad accaparrarsi il suo favore a fini politici o per il raggiungimento/conservazione del potere.
* Populismo (dall’inglese populism, traduzione del russo народничество narodničestvo) è un atteggiamento culturale e politico che esalta genericamente il popolo, sulla base di un atteggiamento di forte sospetto nei confronti della democrazia rappresentativa. Il populismo può essere sia democratico e costituzionale, sia autoritario; nella sua variante conservatrice è spesso detto populismo di destra.
*l Sovranismo (dal francese souverainisme) è, secondo la definizione che ne dà l’enciclopedia Larousse, una dottrina politica che sostiene la preservazione o la ri-acquisizione della sovranità nazionale da parte di un popolo o di uno Stato, in contrapposizione alle istanze e alle politiche delle organizzazioni internazionali e sovranazionali.
Si definisce sovranismo l’opposizione al trasferimento di poteri e competenze dallo Stato nazionale a un livello superiore, sovranazionale o internazionale, processo visto come fattore di indebolimento e frammentazione della propria identità storica, e di declino e svuotamento del principio democratico, che stabilisce un nesso di rappresentanza diretta fra i cittadini e i decisori politici. Partiti e movimenti politici nei confronti dello Stato muovono istanze di tipo federalista, autonomista, indipendentista.
Nell’ambito delle relazioni estere con l’Unione europea, altre organizzazioni internazionali e sovranazionali, il sovranismo può tradursi in posizioni di isolazionismo politico-militare e di protezionismo economico (che nel caso del fascismo si tradussero nell’aspirazione a un’ideale autarchia).
Il movimento precursore di questa idea di democrazia può essere indicato e riconosciuto nel bonapartismo (Napoleone I e Napoleone III, in accezione cesaristica) e nella rivoluzione francese, specialmente nelle fazioni che si rifacevano alle idee politiche del filosofo Jean-Jacques Rousseau, come i giacobini. ( Da Wikipedia)
E QUESTE SAREBBERO LE BASI DELLA NUOVA EUROPA? Non è che i due vice premier sotto l’ala provvidenziale del premier Conte, ci convincano più di tanto. Anzi, l’uno imberbe, l’altro tracotante, non si sa bene cosa stiano combinando. Con le nostre leggi, con i nostri problemi. Con i nostri soldi, con le nostre frontiere.
Epperò a preoccuparci ancor di più sono quelle ( più o meno) ‘ sante alleanze‘ che spuntano ( ad intervalli più o meno regolari) nel cuore dell‘Europa con il (reiterato) intento di metter le basi della ‘ nuova Europa‘. Che più che nuova, basti guardarsi indietro, sembra essere un copia e incolla ( si fa per dire) dell’Impero carolingio o ( in subordine) del Sacro romano impero.
Dove a farla da padrona sarebbero ( ancora una volta) Franchi e Germani, gente (forse) della stessa famiglia, ma che andare d’amore e d’accordo manco lo sognano. Più o meno entrambi Goti, ( bene e spesso) hanno avuto da ’masticare amaro‘ quando dovevano vedersela con i popoli del Sud, i Mediterranei, e nell’ispecie, Italici o Padani.
Chè senza di loro l‘Europa è monca. Impotente. Inutile. Del resto che sarebbero gli Stati uniti d’America senza il Texas o la California ? Una mini potenza? Oppure una nazione sull’orlo d’ un’altra guerra civile?
Udire, di recente, che l’algido Macron e la pensionanda Merkel si sono stretti la mano per rinnovare un altro (anacronistico) ‘asse a due’ non autorizza altra speranza che ‘ possa saltare ‘ come tutti gli ‘assi‘ precedenti, europei e non, a due o tre o quattro, anche perchè ( ammesso e non concesso) dovesse ( davvero) ‘ rinsaldarsi’ per l’Europa tutta sarebbero grossi guai in vista, e per i due vetero ’assisti ‘ in primo luogo. Mamma che furbi!!! Arridateci … il conte di Cavour, il gran cancelliere Metternich e il general Charlone !
Sì, perchè, anche se i rampolli stentano a capirlo, l’Europa non è una torta dalla quale estrapolare fette, a proprio piacimento, all’infinito, ma solo e soltanto ( ancora) una gran bella torta da ‘ godersi’ ciascuno per la propria parte ( insieme) prima che arrivino altri, altri popoli, a forte desiderio di conquistarsi i primi posti sul Pianeta, ad inghiottirsela ( tutta d’un fiato) nelle voraci bocche loro.
Davanti a tanta patetica e inusuale incertezza, speriamo solo che Albione ci ripensi. E invece d’andare a navigare in solitaria in alto mare come vorrebbe la May, dimissionaria, resti dove le sue radici affondano. Dove? In Europa, logico! Magari per contribuire a (ri) dare al Vecchio Continente quell’equilibrio, nord-sud e centro, che solo i Cesari avevano ( troppo tempo fa ) imposto manovrando con le calighe dei loro imbattibili legionari, garantendo però secoli di unità, forza e crescita.
SVEGLIATEVI, O BACUCCHI ! Finalmente la vecchia, cara ‘rosea’ suona la sveglia a quelli per cui gli stadi sono solo pensieri. Fastidi. Ingombri. E tuttavia garantisce Abodi, presidente ICS, ‘ Serve una regia del Governo. Ma venti piazze ( almeno) sono pronte a partire con loro progetti. Tutti interessanti’.
Al momento, lo ricordiamo, nuovi impianti da gioco del calcio degni di menzione in Italia sono l’Allianz Stadium ( 42 mila posti), la Dacia Arena, il Mapei Stadium e il Benito Stirpe. L‘Atalanta ci sta lavorando. Ma occorreranno alcuni anni.
Da Roma, invece, la promessa solenne della sindaca Raggi: ” Entro l’anno si parte con lo stadio “. Così assicura anche mister Saputo, per il nuovo ‘Dall’Ara‘ in una piazza tra le più prestigiose come quella di Bologna. Un po’ troppo poco per aspirare ad Euro 2028 ?
Diciamo solo che qualcosa si muove, nell’attesa di passare dalle ciance ai fatti. Che altro non sono, la ( principale) differenza che intercorre tra noi e gli (altri) tre principali tornei europei. A proposito di tornei, non manca pulpito dal quale non s’odano levarsi i soliti peana pro Premier oltre ad altri illuminati apprezzamenti sul nostro frustrato gioco del pallone.
In una trasmissione-svago di Rai 2 il transfuga ( Sky) Massimo Mauro, non s’è trattenuto dal gettare al popolo la sua lucente verità: ’ Il nostro è il Campionato più noioso. Dove tutto è deciso. A me non piacciono i tornei dove tutto si sa ancor prima che partano’. Un piacere, il suo, abbastanza strano da godersi, e da condividersi, visto quanto accade, qua e là, nel Vecchio Continente. In Liga e in Ligue, infatti, tutto è stabilito, o quasi, da tempo. In Bundes ( fortuna loro e nostra) menti illuminate devono avere ( finalmente ) consigliato al Bayern di Monaco di prendersi un anno sabbatico, visto che dei bavaresi ad alzare scudetti non se ne poteva proprio più.
Da quelle bande sembra che del defilarsi dei bavaresi ne stia approfittando il Borussia D., sembra, infatti, visto che di Bundes ne ha vinte ( finora) abbastanza poche. La maggiore suspence ( manco a dirlo) ci giunge dalla Premier, dove la palma della più bella del reame è contesa a due ( solo a due), tra Liverpool e City ( secondo, a 5 punti).
Mamma, che brividi! E che dire della ‘noia mortale’ che s’è impadronita della mitica Coppa dalle grandi orecchie, nell’ultimo lustro finita ( con le buone o con le cattive) per ben 4 volte ( ad eccezione del 2014/2015) nelle mani del Real del Florentino madridista ?
Certo, il piacere di parlare e sparlare sul piatto in cui s’è mangiato e si continua a mangiare, è un esercizio che nel Belpaese trova i suoi più geniali, generosi ed indefessi cultori. Morale è , però, che mentre milioni di nuovi fans in giro pel Pianeta vengono convinti ad affezionarsi ad altre leghe con prodigiosi ritorni economici, la nostra resta al palo.
A contare spiccioli. E come potrebbe essere altrimenti? Scusate, ma se siamo noi i primi a ‘sconsigliare‘ l’acquisto del nostro ( pur sempre pregevole) ’ panettone‘ chi volete poi che ( stadi a parte) voglia affannarsi ad acquistarlo per rallegrare le ore di festa?
CICLISMO. A proposito di grandi, su Bike Channel, in una trasmissione dedicata alla ‘ Grande storia‘ del ciclismo, qualcuno degli invitati nello stilare la graduatoria degli scalatori d’ogni tempo, ancora una volta s’è dimenticato di citare Bartali nel confronto con i Gaul, Fuentes, Bahamontes, aggiungendo invece Mercxs e non Coppi.
I quali, se non andiam a farfalle, sarebbero entrambi da classificare passisti-scalatori e non (solo ) scalatori, o grimpeur , come i francesi chiamano i camosci delle montagne. Che nelle salite, anche durissime, una volta preso il loro passo, sanno seminare anche i più irriducibili specialisti.
L’ ignoranza non sorprende, perchè è da anni che delle vere grandi pagine dello sport italiano non si fa più giusta memoria. E così dei suoi pochi leggendari protagonisti. Incredibilmente. Soprattutto se datati o del Dopoguerra.
Che di eguali però non ne abbiamo mai più avuti. Perchè se è vero che il Pirata ( più di recente) faceva fermare l’Italia degli appassionati, Coppi, Bartali e Magni ( dal ’30 al ’60) non solo hanno fatto scorrere fiumi di lacrime ad ogni impresa ma incidevano ( perfino) sulla rinascita post bellica di questo nostro ( smemorato) Paese.
RAZZISMO O ALTRO? Durante un sabato recente ’piccoli‘ fans hanno riempito il primo anello di San Siro per Inter-Sassuolo, chiuso ai ‘grandi’ per ‘ razzismo’. Non disattendendo la speranza che si mettessero a fare gli adulti, o meglio, certi adulti, che adulti sono ma solo all’anagrafe. I ‘piccoli’ infatti hanno trionfato. Ridimensionando manifestazioni di insulso ‘ razzismo‘, che come tanti altri famigerati ‘ismi‘ che hanno martoriato il ventesimo secolo non dovrebbe essere manco più menzionato.
E tuttavia, nostro malgrado, così non è. ‘Razzismo’, ‘ violenza’, ‘ignoranza‘ continuano imperterriti a cavalcare come i quattro cavalieri dell‘Apocalisse nella pancia dei popoli del mondo. Dire che qualcuno sia esente è una falsità. Dire però che la ‘ maggior parte dell’umanità‘ condivida certe realtà è una falsità ancora più grande.
Da noi, spesso, quando si parla di sport, o meglio di calcio, si fa riferimento a culture ritenute ‘ superiori’, perchè non infette da certi ‘tumori umani’. Si cita, ad esempio, Albione, con quei suoi cori canterini attorno ai campi, che mai e poi mai si metterebbero ad esercitarsi in quei ridicoli e insulsi ‘ buu, buu‘ che invece s’ascoltano, ad intermittenza, ma si ascoltano, imperterriti, nei nostri tuttora (obsoleti) impianti sportivi.
Dimenticando però che quando si va dicendo d’Albione non è cultura ma solo cronaca. Neppure tanto remota, visti i pregressi che portano date ( ancora ) vicine ai giorni nostri.
Ad esempio, la sera all’Heysel, anno 1985, dove 39 spettatori trovarono la morte, calpestati da invasati fans inglesi; una sera, quella, che portò le squadre d’Albione fuor delle coppe per un lustro. Ma le loro tragedie non si sono fermate qui. Perchè ad Hillosborught , anno 1989, andò ancor peggio, con 96 morti. L’elenco prosegue. Come dire che i canterini d’oggi sono stati ‘ educati’ a cambiare registro da governi e leggi opportune. Tempestivamente applicate. Hooligans, Casual, Skinheads … , donde tengon infatti tutti costoro le loro culle?
E in ogni caso quel (loro) pericolo non è cessato. Perchè se è vero che nei moderni impianti calcistici d‘Albione si può oggi fare baldoria senza timore alcuno, basta allontanarsi qualche chilometro più in là per toccar con mano i tanti rivoli d’una realtà ben diversa da quel che si vuol sbandierare.
Si leggano, cioè, meglio, le realtà dei nostri giorni. Onde per cui, s’astengano i generosi anglofili, dal propinarci omelie ad ogni piè sospinto. Noi non siam peggio d’altri. Noi non manchiamo di ’sciagurati’ da ‘ convertire‘, certo, tanto che sarebbero benedetti leggi ( opportune) e governi ( condivisi) all’altezza del compito.
E tuttavia possiamo contare anche su una marea infinita di gran bravi giovani che ‘ razzismo‘ e ‘ violenza’ subiscono e non ‘provocano’. Perchè allora non chiamarli a raccolta, senza deprimerli?
Il 12 settembre 2018, tanto per tornare alle paginette di cronaca misconosciuta, i fans del Millwall e del Brentford si sono dati appuntamento in aperta campagna per massacrarsi a piacimento tra loro senza limite alcuno. Anche da noi capitano certe sciagure. Certo.
Più circoscritte, e comunque pericolose, da non sottovalutare e d’altra origine originate, ma capitano. Epperò, forse, tanto per fare di testa nostra, la miglior cosa da fare è continuare a celebrare ( presunte ) altrui virtù o riscoprire le nostre, che c’erano, che ci sono, anche per evitare ( l’infame) e (non negletta) abitudine altrui a gettare ( occorrendo) ‘polvere sotto il tappeto‘? Per tornare a difendere una volta tanto, paradossalmente, i più e non i pochi. Non per apparire, ma per essere.
Si è costretti a parlare di calciomercato, quando non lo si vorrebbe proprio fare. Anche perchè scatena ogni volta un mercimonio che non trova più limiti.
Affidato a infinite ‘ gole profonde’ che altro non sanno che ‘danarizzare’ ogni passo sul verde rettangolo di gioco. A incassare sono i giocatori, ma anche altri, di varia provenienza e genere, ad ogni sessione di mercato sempre più voraci, quasi che in quel mondo non esistano più remore e confini.
Tra i voraci ci si sono messi anche i parenti. Come il fratello del Pipita, che non contento dei milioni rossoneri portati a casa a sbafo vorrebbe mandarlo ad infognarsi con quelli che sborserebbe in Albione un oligarca russo ( in fase di cambio di residenza); come la bella Wanda, che tutti la vogliono ma nessuno la comanda, lesta oltre ogni dire giorno e notte, sui social e non solo, per far di meglio i conti per lo suo amato. Il bello è che quei ‘poveracci’ che se ne stanno a soffrire pene d’amore sugli spalti ( più o meno) obsoleti dei nostri stadi, aspettano gli esiti esultanti.
DEDICATO AGLI ESTEROFILI. Un pensiero dedicato ai milioni gli esterofili che abitano il Belpaese. Ma anche a quei giocatori, giovani e non, come Chiesa, il Pipita o Perisic che sognano Albione alla ricerca di un Eldorado in questa valle di lacrime. O meglio, ‘ del posto ideale in cui crescere‘.
Basti allora questa confessione di Emiliano Viviani, portiere classe 1985 della Spal: ” Perchè sono tornato? Perchè in Italia si sta come in cima al mondo. Perchè a Lisbona era tutto surreale; mi mancava la quotidianità dei rapporti umani. A Londra e Lisbona è più dura andare in piazza, bere un caffè, leggere il giornale, parlare con la gente. Qui si può. E, a Ferrara, eccome!”
IL CALCIO EUROPEO A TRE VELOCITA’. Non c’è crisi nel calcio europeo. Più ricavi, più spettatori, più utili. Si allarga però la forbice tra ricchi e poveri della pedata. I 12 club ‘ globali‘ fra cui la ( sola) Juventus, fatturano 1,6 mld di sponsor e commerciale, esattamente il 65% del totale. Tutto il restante non raggiunge, messi assieme, un miliardo. Tra le prime 12, 6 inglesi, 2 spagnole, 2 tedesche, una francese e una italiana ( Juve).
La Serie A fattura 2.2 mld, ma è troppo dipendente dalla tivù ( 49% del totale). Siamo al quarto posto, lontani da Spagna ( 2,9 mld) e Germania ( 2,8 mld), con distanze in prospettiva ulteriormente allungabili visti i prossimi rinnovi tivù di Liga e Bundesliga. L’Inghilterra da sola incassa, nel totale, 5,3 mld. Un dato questo, certo e assodato, che attira come specchietto per allodole ( soprattutto) tutti coloro che prima all’erba verde del campo da gioco guardano al luccichio delle monete.
C’è qualche speranza per il calcio italiano di rimontare? Qualche. Solo qualche. Perchè, a dirla alla Teotino, qui occorre qualcuno che sappia allungare la vista oltre il proprio orticello e faccia costruire nuovi e moderni impianti.
Stadi e non soltanto. Infatti c’è anche il marketing. Questo e poc’altro. E subito.
Picciolo sorriso ce lo fa venire il dato che, in compenso, il valore medio di una rosa di un club italiano, 85 mln, è secondo soltanto all’Inghilterra ( 135 mln). Sì, aggrappiamoci all’ aggrappabile. Del resto, che altro fare? Controllare se questi dati sono certi?
ESSERE NOI STESSI O ALTRI ? ” Manchester City e Liverpool - esulta il buon Arrigo - hanno regalato 97′ di emozioni e spettacolo. Hanno vinto con merito gli uomini di Pep contro il fortissimo Liverpool di Jurgen, ma in realtà tutte e due le squadre sono uscite vittoriose: ha vinto il calcio. L’incontro è stato giocato a velocità e ritmi impressionanti, impensabili per il nostro calcio…”.
In effetti, qualcosa di notevole si è visto nel match di punta di quel Campionato che nel ranking Uefa sta lottando con il nostro per la seconda/terza posizione. Questione di spiccioli, si sappia, nonostante loro abbiano il vantaggio di entrate maggiori e di stadi adeguati al moderno agone calcistico, e noi invece no, anche per situazioni generali che è difficile comprendere.
Continuare a dirci che gli altri volano e noi passeggiamo più che a stimolarci a fare altrettanto ci preoccupano e non poco. Nell’agone sportivo moderno altre discipline, e non soltanto il calcio, ci hanno insegnato che le ‘ prestazioni fisiche’ non son frutto ( solo) di ‘ eredità genetiche‘ o di ‘ casualità’. C’è ( oggi) di mezzo la ( cosiddetta) medicina dello sport, con tutte le sue sofisticherie, sempre più chiamata a fare il possibile ( e l’impossibile) per ‘ ottimizzare‘ la prestazione ( soprattutto) quando questa ( deve risultare) decisiva.
Allora, più che a venire a lamentare le solite nostrane ‘ inferiorità’, pensiamo a qual spettacolo sia meglio affezionarci. A quello di un calcio collettivo, di corsa e (soprattutto) agonistico o a quello di un calcio che coltiva radici profonde, sociali, di campanile, se vogliamo, ma anche di di corsa ( quando serve) e comunque mai a vanvera, perchè soppesato, magari fin troppo, ritagliato apposta come un buon abito sul soggetto interessato, e ricolmo di colore e passione quando esprime al meglio le sue innumerevoli ( e mai anonime) identità?
A qual calcio, dunque, vogliamo affezionarci? A quello foresto o a quello nostrano? Guardarsi attorno è meritevole. Auspicabile. Per ‘ tenerci al passo’, si dice, ma per ‘ scopiazzare’ no. Questo no. Tanto più che abbiamo nel nostro secolare retroterra tanti e tali ‘ retaggi‘, ‘risorse’, ‘peculiarità‘ che tutto possiam fare fuorche diventare fotocopia d’altri.
Ha detto un ( nostro) saggio: per Albione due/tre secoli d’impero sono stati una immensità, per noi una inezia. Del resto, per restare nel solo calcio, in un ‘ confronto’ estivo a tre su Sky, il Pep tanto amato dal buon Arrigo non s’è trattenuto dal dire ” Avete vinto così tanto, e in tanti modi, che se c’è qualcuno che ha da imparare siamo (semmai ) noi e non voi”.
Detto tutto ciò, per favore, o bacucchi/e nostrani e non, dateci quei benedetti nuovi stadi. E poi potremo valutare tra ‘ciance’ e ’fatti‘.
COSA HA VOLUTO DIRE UN … ANFITEATRO! Sono anni, anzi, decenni, che si chiede d’avere impianti sportivi aggiornati e adeguati. Potevamo centrare l’obiettivo, almeno parzialmente, con l’assegnazione dell’Olimpiade estiva a Roma. Ma, qui, si sa com’è andata, con quel ( tragico) rifiuto della giovin sindaca impegnata a far tirocinio. Potremmo, sempre parzialmente, centrare qualche impianto minore con l’eventuale assegnazione dell’Olimpiade della neve a Milano-Cortina. Potevamo, potremmo.
E non possiamo. Visto che tutto è in fieri. A Roma, con quella pantomima che lascia interdetti; a Milano, con cino-americani ancora alle ciance, su Santo Siro o altro nevico Ippodromo; a Firenze, con qualche progetto ancora sulla scrivania; a Napoli, con il sindaco De Magistris intenzionato a fare un restyling, o poco più, del vetusto San Paolo. E così via. Insipienti di qua, insipienti di là. E pensare che basterebbe sfogliare qualche vecchio libro per apprendere quanto lungimirante sia costruire un nuovo impianto ( o sta nell’ispecie).
” Vespasiano- si legge – sentì l’esigenza di un colpo di scena: ad esempio, una costruzione monumentale che gli procurasse fama e ammirazione imperiture. Ebbe, allora, la lungimiranza di individuare il tipo di edificio adatto alle sue ambizioni. L’Urbe aveva bisogno di una grande arena per celebrare la sua passione più grande, ovvero il combattimento tra gladiatori? Il Cesare comprese che se avesse realizzato cotale aspirazione, avrebbe potuto ’ eguagliare’ o ( finanche ) ‘oscurare’ i predecessori più celebrati.
La capitale disponeva di quattro anfiteatri. I primi due non abbastanza capienti e gli altri in legno. Il nuovo agone doveva perciò risultare diverso, molto diverso. Vespasiano pensò allora ad un (mega) anfiteatro che potesse ospitare (almeno ) 50 mila spettatori (comodamente alloggiati). Il figlio Tito, con il bottino raccolto in Oriente, gli fornì i danari e la soluzione. Allora, non fu trascurato alcun dettaglio. Neppure l’ubicazione. Scelta ( significativamente) tra Palatino, Equilino e Celio.
Su quei terreni Nerone aveva sognato infatti la favolosa Domus aurea. Di cui al tempo dei Flavi era rimasto lo ’stagnum Neronis’, luogo di feste e sperperi. Vespasiano restituì quei terreni alla cittadinanza. E iniziò il lavori per quello che sarebbe passato ai posteri col nome di Colosseo. Era il 70 d.C., i cantieri durarono circa dieci anni. Vespasiano non riuscì a vedere la realizzazione completa del suo lungimirante e monumentale progetto, poichè se ne andò nell’estate del 79 d.C., lasciando però ai figli il completamento.
Il Colosseo infatti è oggi noto ( anche ) come anfiteatro Flavio. E comunque, a chi attribuirlo o meno poco importa, quel che importa è che chi ebbe l’idea e la mano per cotale opera, nata ( dunque) per allettare i concittadini, oggi ( più o meno) simil ad uno stadiolo dove far scorrere una palla , ha trovato memoria imperitura. ‘ Panem et circenses’ dicevano, i vecchi, i vecchi Cesari, eppure come sapevano guadare lontano! Lontano. Lontano. Sforando i secoli, contrariamente a questi amministratori odierni che a malapena sanno contare i minuti oltre la punta del loro naso.
QUEL DECIMO TITOLO NON S’HA DA DARE! Nuovo anno ( non solo di sport), con (vecchie ) abitudini e relativi ( vecchi) arnesi all’opera. Il buon Lorenzo, trentenne, maiorchino, è ‘ (tra) passato‘ com’ è noto ( dopo due anni) dalla sella della Ducati a quella della Honda. Sembrerebbe, a starlo sentire, per via di qualche centimetro in più che non consentivano, a lui, piccoletto, di dominare a piacimento la terribile Desmo di Borgo Panigale per spadroneggiare come aquila in libero volo sulle piste del mondo.
Due anni per prendere qualche misura tra lui e una moto son tanti, ma non per Lorenzo che le sue cose fa e medita. Compreso la rievocazione del ’ dream team’ che sarebbe stato partorito in combutta con l’amico-nemico Marc, proprio per incantare ( come il Real) negli anni a venire gli appassionati della moto da corsa sparsi sui cinque continenti.
‘Dream team’ non nuovo, non inedito, a dir il vero, visto che ( se anche la nostra memoria non inganna) ha avuto debutto già qualche anno fa. In particolare, su quella pista dove lui e l’altro, come ‘bravacci’ di manzoniana memoria, si sono infilati nell’agone gridando ai ( tanti) don Abbondio ( italioti compresi) colà presenti: “ Questo (decimo ) titolo non s’ha da dare!”.
E se in sede d’auspicio qualche nota stonata (purtroppo) non manca, quelle intonate sembrano ( ampiamente) compensare il conto. Quelli che non guardano solo ai (tanti) danari e alla (facile) gloria. Quelli che se si turano il naso sul doping è perchè vorrebbero vedere competizioni credibili e pulite in ogni agone sportivo.
Quelli che prima di sputare sul loro piatto voglion sincerarsi che anche in Altrove non si giochi all’inganno. Del resto siam figli d’un piccolo, curioso, geniale Paese, che tanto ( soffrendo) ha dato al M0ndo che fatica ad aprire porte e finestre al primo arrivato.
ARGOMENTI.
INGHILTERRA : SACERDOTI CERCASI. Il sinodo anglicano ha abrogato una legge canonica che imponeva la messa ogni giorno festivo. La norma, che risaliva al 1603, prevedeva che le funzioni mattutina e serale fosse ‘pronunciata o cantata in maniera udibile in ogni chiesa parrocchiale ogni domenica o giorno festivo’.
Il perchè della ( sconcertante) decisione è presto detto: non si trovano più preti a sufficienza e, soprattutto, non ci sono più fedeli che si recano in chiesa ad ascoltare funzioni. Il declino della frequentazione della messa domenicale appare inarrestabile: lo scorso anno, a seguire regolarmente la funzione festiva sono stati solo 722 mila, contro i 740 mila del 2016.
Numeri che attestano che quella britannica è una società (sostanzialmente) post religiosa. I non credenti hanno superato il 50% della popolazione, in particolare, la religione non troverebbe più posto alcuno nella vita pubblica.
La crisi investe soprattutto la Chiesa anglicana: oramai soli il 15% egli inglesi si identifica in quella religione che fino a pochi decenni fa era la confessione nazionale. Tra i più giovani, addirittura, la percentuale degli anglicani non supera il 3%. Un ridimensionamento eclatante almeno alle nostre latitudini, che si riflette ( significativamente) sulla coscienza collettiva.
Commenti? Tanti. Ma ne scegliamo uno: l’Inghilterra moderna, quella tanto celebrata anche da noi, nasce dallo scisma anglicano nei confronti della Chiesa romana. Per qualche secolo ha fatto un tutt’uno con la nazione.
In forte antagonismo con i ‘papisti’ corrotti ed ignoranti. Ma mentre i ‘papisti’ ( nonostante errori e tempeste) continuano ad esprimere la personalità morale più ‘forte’ ed ‘ ascoltata’ del Pianeta, a loro non restano che sparuti vecchietti desolati in panca.
Vien da chiedersi ( col senno del poi) se quando i lor signori hanno inteso ( per ragioni varie) ‘rompere‘ ogni rapporto possibile e immaginabile con l’infernale Roma non abbiano fatto come quella levatrice che per ‘ cambiare in bacinella l’acqua sporca‘ ha finito col gettar via ‘ anche il ( meraviglioso) bimbo‘ che gli stava dentro.
IL GRANDE AIRONE HA CHIUSO LE ALI. Per ricollocare in giusta posizione il grande campione nato il 24 settembre 1919 a Castellania e che ha interessato le penne più autorevoli del giornalismo ( non solo) sportivo, ( non solo italiano) del Dopoguerra, basti il ‘saluto’ sulle colonne del ‘Corriere’ porto da Orio Vergani, il giorno dopo l’avvenuta scomparsa.
” Milano, 2 gennaio 1960. Il grande airone ha chiuso le ali. Quante volte Fausto Coppi evocò in noi l’immagine di un grande airone lanciato in volo con il battere delle lunghe ali a sfiorare valli e monti, spiagge e nevai?
Fortissimo e fragile al tempo stesso, qualche volta la stanchezza e la sfortuna lo abbattevano e lo facevano crollare a terra, sul ciglio di una strada o sull’ erba del prato di un velodromo: la sua figura sembrava spezzarsi in una strana geometria, come quella di un pantografo, e una volta di più suscitava l’immagine di un airone ferito. Altre volte era l’immagine di una tragica conclusione di caccia.
Quante volte, di lui affranto per la stanchezza sull’ erba, a pochi metri da un traguardo sentimmo dire: «Sembra un cervo moribondo»!
L’ occhio galleggiava immobile, con la pupilla arrovesciata al limite della palpebra: le guance erano scavate, le labbra anelanti per l’amara fatica: le lunghe braccia, le lunghe gambe come buttate là, senza più armonia, scompostamente, in una stanchezza mortale.
La fragilità fu la compagna sinistra di quest’ uomo che per tanti anni sembrò un ragazzo, il ragazzo più forte di tutti, sostenuto da una energia quasi magica, una forza da racconto delle fate. Il trittico su cui poggiava il misterioso ’sistema’ delle sue capacità fisiche – cuore, polmoni, muscoli – nascondeva, quasi invisibile, un punto di estrema vulnerabilità.
Questa era la vulnerabilità dei ragazzi. Coppi era rimasto tale: sembrava si fosse fermato al gradino dei sedici anni: ossa troppo leggere – dicevano: «Uno scheletro in canna» -, nervi troppo scoperti, un ingenuo palpitare dei sentimenti, un difficile equilibrio fra l’anima del ragazzotto di campagna ch’ egli era stato e l’uomo che la vita l’ aveva costretto a diventare.
Un abulico che poteva scatenare fulminei scatti di lampeggiante volontà; un uomo rimasto per tutta la vita stranamente melanconico favorito dalla natura, perseguitato – bisogna dirlo anche se toccò le soglie della più alta fortuna – perseguitato dalla sorte
. Ora che le ali del campionissimo si sono chiuse, non si può non ricordare quante volte la sua carriera e la sua vita stessa corsero il rischio di essere spezzate da quello che si chiama abitualmente un «banale incidente», una caduta come un ragazzo ne fa a centinaia, cavandosela con una sbucciatura ad un gomito o ad un ginocchio.
Mai nella forsennata vertigine della corsa, quando la ruota della bicicletta va saettando a disegnare il filo sospeso fra la vita e la morte sul ciglio di un burrone: ma a metà di una pedalata senza storia, a passo di carovana, a passo di trasferta.
Anche oggi, è un piccolo, misterioso, atroce imponderabile intervento del fato quello che colloca l’angosciosa parola fine alla sua vita. Fausto vinse sempre senza mai sorridere, quasi non credendo mai totalmente in se stesso.
Sembrava sempre soprappensiero: come stranamente e fissamente in ascolto di una qualche voce interna che gli andasse mormorando dentro una incomprensibile parola.
Quella parola segreta non era: ’Fortuna’. La guigne, vecchia parola dei tempi lontanissimi delle antiche corse su strada, ha rotto il filo della sua vita fragilissima, come un piccolo soffio di vento spezza il filo di una tela di ragno coperta di brina, là, sulle siepi invernali del suo paese di campagna”.
( Orio Vergani, 1960, ’Corriere della Sera’ )
DOPING ? CHE SARA’ MAI STO DOPING? La più grande occasiona mancata dell’antidoping mondiale sembrava aver recuperato l’ora del riscatto. Questo nella prima parte di ottobre.
Quando grazie ad una sentenza di un tribunale spagnolo e al lavoro della della giustizia sportiva italiana ha acconsentito che le (oltre ) 200 sacche di sangue ( sopravvissute, tra le molte altre) durante la (fantomatica) Operacion Puerto venissero ’assegnate‘ al Coni per dare ( finalmente) nome e volto ai 26 uomini e 3 donne a cui appartengono. Restiamo nell’ attesa. Trepidanti, anzi, titubanti.
Sempre sul filo rosso del doping colore giallorosso, era uscita la soffiata di un Sergio Ramos afflitto da ‘ due irregolarità procedurali in altri test antidoping‘. Il Real dell’Innominato, ovviamente, ha alzato immediatamente il ponte levatoio. Ma alcune carte ( peraltro) pubblicate, richiederebbero giusta luce sul ‘ guerriero’ del Blancos, che guerriero sarà pure ma con sempre più ombre sulla sua nuova capigliatura a fraticello.
Le carte rivelerebbero che il buon Sergio dopo la finale 2017, quella di Cardiff, che alcune e mail intercettate all’uopo, presentasse ‘ tracce di Desametasone, con proprietà antinfiammatorie, e che può essere consumato per via intramuscolare lontano dall’evento, fino a 24 ore dalla gara”. Dovrebbe essere dichiarato dal medico. Che però, nella circostanza, indicò un altro medicinale della famiglia dei Glucorticoidi, il Celestone cronodose ( anche questo proibito), specificando che nel pomeriggio della vigilia aveva fatto due iniezioni a Ramos, nella spalla e nel ginocchio, per calmagli i forti dolori derivati da problemi cronici ( mai resi noti in questa portata) agli arti in questione.
” Mi sono confuso- si è giustificato l’infallibile cultore delle sorti mediche del Real - per il clima di euforia che ci circondava. Nella sala antidoping entrarono infatti anche il re Juan Carlos e il primo ministro Mariano Rajoy ”(1) . Inutile aggiungere che citati (perfin0) nomi ( tanto ) illustri, i ‘ vampiri‘ della Uefa si sono subito accoccolati in qualche buio angolo dell’edificio. Noi, invece, per quel che ci riguarda, con irreligiosa curiosità, stiamo ancora chiedendoci che ci siano andati a fare il re e il ministro in una sala antidoping prima d’un evento planetario.
Nota. ( 1) ‘La gazzetta dello sport’ , sabato 24 novembre 2018.
AGGIORNAMENTO NUOVI STADI.
MILANO. L’annuncio c’è: Milan e Inter intendono costruire una nuova casa, a due passi da quella vecchia, da condividere in tutto. A partire dall’onere iniziale di 6oo mln ca, per un impianto della capienza di 60 mila spettatori da terminare in quattro anni. Il sindaco di Milano, Sala, che evidentemente naviga habitat totalmente diverso da quello della Raggi, di nuovo piombata in altre ambasce, s’è detto disponibile alla proposta. Importante che le venga inoltrata in tempi e modi consoni.
Certo, dimenticare quanto dal 1926 è accaduto in quel tempio del calcio, ormai obsoleto, non sarà facile. Tuttavia, se si punta per davvero ad un futuro più solido e certo, anche questo ‘ sacrificio’ può essere accetto. Soprattutto dai giovani, che di quel pantheon della pedata milanese ( e mondiale) poco sa o manco immagina.
BOLOGNA. Restyling del Dall’Ara al via nel 2020. Due mesi previsti per la presentazione del progetto, con capienza 29 max mila posti. L’accordo col Comune c’è, infatti 30 mln per la costruzione dell’opera li metterà palazzo d’ Accursio, mentre manca la definizione di un partner finanziario fondamentale per ragionare in termini di avanzamenti. Joey Saputo anticipa “ Sarà bellissimo, un mix di antico e moderno, tutto al coperto“.
ROMA. Sullo stadio dell‘Urbe, invece, va registrata una dichiarazione ( auspicante ) a sorpresa del sindaco Virginia Raggi, 40 anni.
Allora, ci siamo o no, con questo nuovo stadio a Tor di Valle?
” C’è tutta volontà di andare avanti al più presto”.
Cosa manca al progetto per completare l’iter amministrativo e dar il via ai lavori?
“ In primis, sto aspettando l’esito del parere che ho chiesto al Politecnico di Torino, poi penseremo alla variante urbanistica. Non è un atto dovuto ma ho ritenuto che, dopo tutto quello che abbiamo letto sui giornali, i cittadini abbiano il diritto ad un ulteriore approfondimento.
Ci sono alcune questioni aperte: ad esempio, io continuo a ritenere che si dovrebbe investire di più sulla linea ferroviaria Roma-Lido che collega il centro a Ostia. Il progetto sarebbe ancora più bello e utile alla città. In pratica, dopo la relazione del Politecnico completeremo l’iter. I lavori potranno partire già entro quest’anno”.
( La gazzetta dello sport, venerdì 18 gennaio 2019, pagina 14)
L’ OCCIDENTE RINCOGLIONITO. Non è bastato ( qualche giorno fa) Putin a rammentare alla sciagurata genia umana un possibile ( se non imminente) scenario nucleare; non sono bastati secoli di continua e circostanziata ‘demolizione‘ di quel che recò al mondo il giorno della ’venuta al mondo’ del ‘figlio di Dio‘ , che non sono mancate frotte di epigoni decisi a spegnere le ultime luci su un evento che ha ‘ tracciato‘ e ‘segnato’ storie ( ormai) profonde due millenni.
Sulla ‘prima‘ di un celebre quotidiano italiano è spuntata infatti una recensione, la solita ormai da anni alla vigilia dell’evento cristiano, a metterci sull’avviso che stiamo a festeggiare ‘ bufale, miti e leggende’ d’ una festa ( gradita al mondo dei consumi) e che così appare da qualche secolo in qua. Da noi, ad esempio, l’albero addobbato, non il presepe, fu introdotto da Margherita di Savoia, ovvio, ai suoi tempi. Eppoi, chi l’ha mai detto, se non quell’ingenuo di frate Francesco, che c’erano la grotta, il bue e l’asinello, e che i Magi fossero tre e anche re?
C’è, insomma tanta gente, anche prestigiosa, anche dal gran nome, che circola per il Mondo dilettandosi ad iniettare ‘ dubbi’, (altre) ‘ verità’, ’ veleni’. L’importante è che il ‘ favoloso evento’ abbia a scomparire ( una volta per tutte) dagli orizzonti del ( cosiddetto) uomo moderno. Sopratutto se occidentale.
Che dev’essere impresa ostica, anche perchè restano non pochi problemi a spiegare qual ‘ spirito’ e ‘ qual genio’ abbia ‘elevato’, cattedrali, leggi, valori, (società più ) umane e ( dulcis in fundo) grandi capolavori. Cristiani, diciamolo chiaramente, una volta tanto, e che altro?
Del resto i ’poveri’ , quelli che hanno conservato (ancora ) la ‘ libertà di credere a chi loro più affida‘ queste cose le sanno.
E continuano a stringersi, più numerosi di quel che lasciano ad intendere i ( cosiddetti) ‘ sondaggi‘, fatti apposta per celebrare ideologie e agevolare consumi, non intorno ad un ‘presepe degenerato‘, come van predicando gli ‘ illustri maestri‘, ma ad un ‘evento‘ antico, sconvolgente, unico, diversamente ‘raccontato’ nel tempo, certo, eppure dopo due millenni (e nonostante tutto ) condiviso e diffusamente attuale. Un respiro di fede, evviva, lungo la meravigliosa Penisola.
NOTE STORICHE
NOTRE DAME DE PARIS
La cattedrale metropolitana di Nostra Signora (in francese: Cathédrale métropolitaine Notre-Dame; in latino: Ecclesia Cathedralis Nostrae Dominae), conosciuta anche come cattedrale di Notre-Dame o più semplicemente Notre-Dame (pronuncia [nɔtʁə dam]), è il principale luogo di culto cattolico di Parigi, cattedrale dell’arcidiocesi di Parigi, il cui arcivescovo metropolita è anche primate di Francia.
La cattedrale, ubicata nella parte orientale dell’Île de la Cité, nel cuore della capitale francese, nella piazza omonima, rappresenta una delle costruzioni gotiche più celebri del mondo ed è uno dei monumenti più visitati di Parigi.
In base alla Legge francese sulla separazione tra Stato e Chiesa del 1905, l’edificio è proprietà dello Stato francese, come tutte le altre cattedrali fatte costruire dal Regno di Francia, e il suo utilizzo è assegnato alla Chiesa cattolica. La cattedrale, basilica minore dal 27 febbraio 1805, è monumento storico di Francia dal 1862 e Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCOdal 1991.
Nell’area in cui oggi sorge la cattedrale, si trovava un tempio pagano dedicato a Giove,frutto della ricostruzione di Lutezia da parte di Caio Giulio Cesare dopo la resa di Vercingetorige del 52 a.C. Una più antica cattedrale, dedicata inizialmente a santo Stefano precedette l’attuale edificio. Si trattava di una basilica a cinque navate separate da colonne marmoree e sorgeva più ad ovest rispetto alla cattedrale odierna; annesso vi era un battistero dedicato a san Giovanni Battista, con il nome di Saint-Jean-le-Rond, definitivamente demolito nel Settecento. La cattedrale di Santo Stefano venne affiancata (chiesa doppia) e quindi sostituita da un’altra dedicata alla Vergine Maria. ( Wikipedia)
IMPERO CAROLINGIO E SACRO ROMANO IMPERO.
Nascita. L’epoca di Ludovico il Pio, Carlo Magno era il figlio di Pipino il Breve, quindi il secondo sovrano pipinide del regno di Franchi. Salito al potere come unico sovrano dopo la morte del fratello Carlomanno, iniziò una serie di campagne militari di successo, che lo portarono presto ad ingrandire i suoi possedimenti verso la Sassonia, la Baviera, la Marca di Spagna (fascia pirenaica della Spagna del Nord) e l’Italia, strappata ai Longobardi. Inoltre sconfisse gli Àvari, ottenendo la sottomissione della Pannonia, dove essi erano insediati, come stato tributario, mentre un’analoga sorte si attuava verso il ducato di Benevento.
Alla morte di Carlo l‘Impero avrebbe dovuto essere diviso tra i suoi tre figli maschi legittimi, ma la morte prematura di due di essi fece sì che il trono passasse nelle mani di Ludovico, detto ‘il Pio’ per la sua attenzione alla religione. Ludovico non fu un sovrano energico come il padre, bensì era interessato soprattutto alle questioni religiose nella convinzione che l’adesione alla dottrina cristiana avrebbe garantito quell’ordine e serenità all’Impero che veniva teorizzata dai suoi consiglieri quali Benedetto d’Aniane o Agobardo di Lione.
Nella pratica Ludovico divenne presto un sovrano incapace di manifestare la sua autorità, mentre le regioni imperiali divenivano soggette sempre più all’aristocrazia franca.
Un suo tentativo di destituire il nipote Bernardo, ucciso dopo essere stato accusato di tradimento, macchiò per sempre la sua coscienza e, su spinta degli alti prelati, fece pubblica ammenda che lo screditò ulteriormente agli occhi dell’aristocrazia.
Già prima della sua morte spartì l’impero tra i suoi tre figli Lotario, Pipino e Ludovico II il Germanico, ma il già fragile equilibro si ruppe con l’entrata in scena del figlio del suo successivo matrimonio, Carlo il Calvo, che diede origine a una guerra civile che aggravò l’instabilità del potere centrale, anche se si alternò a periodi di pace per lo scarso interesse dell’aristocrazia di parteciparvi.
La divisione dell’Impero. Alla morte di Ludovico il Pio (840) Lotario I assunse la corona imperiale, come previsto dal padre, mentre i due fratelli superstiti Ludovico e Carlo si allearono per obbligarlo a cedere una parte del potere.
Il giuramento di Strasburgo, rivolto alle truppe dei due fratelli, è rimasto famoso perché conserva il primo accenno scritto alle nascenti lingue francesi e tedesca.
Nell’843, con il trattato di Verdun, Lotario dovette scendere a patti: mantenne la corona imperiale, ma si limitò a governare la fascia di territorio centrale tra Mare del Nord, bacino del Rodano, del Reno, le Alpi e l’Italia, con le città di Aquisgrana e Roma. Carlo il Calvo prese la Francia ‘occidentale’ (odierna Francia senza la fascia più vicina all’odierna Germania e la Provenza) e Ludovico il Germanico la Francia’ orientale‘, corrispondente alla porzione odierna di Germania compresa fra il Reno e l’Elba, fino alla Baviera e la Carinzia comprese.
Con la morte di Lotario, Ludovico prese la corona imperiale, quindi nell’875 gli succedette Carlo il Calvo, sostenuto da papa Giovanni VIII, che vedeva in lui un possibile alleato contro il principe di Spoleto e i Musulmani, insediati alla foce del Garigliano.
Carlo il Calvo morì nell’877 con l’impero carolingio ormai in dissoluzione. Gli succedette Carlo il Grosso, figlio di Ludovico il Germanico, anch’egli incoronato da Giovanni VIII, sempre in cerca di protezione; ma l’imperatore non riuscì a impedire l’assassinio del papa nell’882, durante una delle frequenti guerre civili combattute a Roma dall’aristocrazia locale.
La minaccia di incursioni esterne, Normanni e Musulmani in prima linea, avevano messo in dura difficoltà Carlo il Grosso, tanto che i Normanni assediarono la stessa Parigi. In questa situazione fu costretto ad abdicare da un’aristocrazia che si rifiutava ormai di obbedirgli (887). Trascorse gli ultimi mesi della sua vita in prigionia, senza alcun successore sul trono.
Differenza tra Impero carolingio e Sacro romano impero
L’impero carolingio era strettamente correlato alla figura del suo fondatore Carlo Magno ed alla sua discendenza carolingia, alle sue conquiste e allo speciale rapporto che esso aveva instaurato con il papato. Anche l’impero romano-germanico (il Sacro romano impero, poi della nazione tedesca) era germogliato da quello carolingio, ma essendo venuta a mancare la parte occidentale del regno di Francia, per alcuni non poteva esserne erede, se non nella stessa misura della corona francese. La data canonica della sua fondazione è il 962, da parte di Ottone I.
Il titolo imperiale venne tuttavia trasmesso dai carolingi ai sovrani successivi e presenta pertanto una sua innegabile continuità. Per tale ragione nel computo degli imperatori del Sacro Romano Impero si suole generalmente risalire fino a Carlo Magno.