Non solo sport. Calciomercato : germogliano le nostre squadre. Carucce. A quando i nuovi stadi?

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* ALFREDO BINDA. Alfredo Binda, ciclista su strada e pistard italiano. Professionista dal 1922 al 1936, vinse cinque Giri d’Italia, tre campionati del mondo su strada, quattro Giri di Lombardia, due Milano-Sanremo nel 1929 e nel 1931 e quattro Campionati nazionali su strada. Nacque l’11 agosto del 1902 a Cittiglio dove morì il 19 luglio 1986.
* COSTANTINO GIRARDENGO. Costantino Girardengo, detto Costante, è stato un ciclista su strada e pistard italiano, professionista dal 1912 al 1936. Vinse due volte il Giro d’Italia, sei volte la Milano-Sanremo nel 1918, 1921, 1923, 1925, 1926 e 1928, tre volte il Giro di Lombardia e tre volte il Giro del Piemonte. Nacque il 18 marzo 1893 a Novi Ligure, morì il 9 febbraio 1978.
* JACQUES ANQUETIL. Jacques Anquetil, ciclista su strada e pistard francese. Vincitore di cinque Tour de France, è anche uno dei soli sette corridori ad essere riuscito ad imporsi in ciascuno dei tre maggiori giri nazionali: Giro d’Italia, Vuelta e ( appunto) Tour. Fu grandissimo contro il tempo e recordman dell’ora. Nacque l’8 gennaio 1934 a Mont Saint Aignan e morì 18 novembre 1987 a Rouen.
* GINO BARTALI. Gino Bartali, ciclista su strada e dirigente sportivo italiano. Professionista dal 1934 al 1954, vinse tre Giri d’Italia e ( a distanza di dieci anni, causa la guerra) due Tour de France, oltre a numerose altre corse tra gli anni trenta e cinquanta, tra le quali spiccano quattro Milano-Sanremo e tre Giri di Lombardia. Nacque il 18 luglio 1914 a Ponte Ema e morì il 5 maggio 2000 a Firenze.
* FAUSTO COPPI. Angelo Fausto Coppi (Castellania, 15 settembre 1919 – Tortona,
2 gennaio 1960) è un ciclista su strada e pistard italiano. Soprannominato ‘il Campionissimo’ o ‘l’Airone’, fu il corridore più famoso e vincente dell’epoca d’oro del ciclismo ed è considerato uno dei più grandi e popolari atleti di tutti i tempi.
Formidabile passista, eccezionale scalatore, e dotato di un buono spunto veloce, era un corridore completo e adatto ad ogni tipo di competizione su strada.
Professionista dal 1939 al 1959, s’impose sia nelle più importanti corse a tappe sia nelle maggiori classiche di un giorno. Vinse cinque volte il Giro d’Italia (1940, 1947, 1949, 1952 e1953), un record condiviso con Binda e Merckx, e due volte ( delle tre a cui ha partecipato) il Tour de France (1949 e1952), diventando anche il primo ciclista a conquistare le due competizioni nello stesso anno. Fra i suoi numerosi successi nelle gare in linea vanno ricordate le cinque affermazioni al Giro di Lombardia (1946, 1947, 1948, 1949 e 1954), record, le tre vittorie alla Milano-Sanremo (1946, 1948 e 1949), e i successi alla Parigi-Roubaix e alla Freccia Vallone nel 1950.
Divenne campione del mondo professionisti nel 1953. Primeggiò anche nel ciclismo su pista: fu campione del mondo d’inseguimento nel 1947 e nel 1949 e primatista dell’ora (con 45,798 km) dal 1942 al 1956. Leggendaria fu la sua rivalità con Gino Bartali, che divise l’Italia nell’immediato dopoguerra(anche per le presunte diverse posizioni politiche dei due).
Celebre nell’immortalare un’intera epoca sportiva – tanto da entrare nell’immaginario collettivo degli italiani – è la foto che ritrae i due campioni mentre si passano una bottiglietta durante una salita al Tour del 1952. Coppi è anche noto per aver cambiato l’approccio alle competizioni ciclistiche, grazie al suo interesse per la dieta, per gli sviluppi tecnici della bicicletta, per i metodi di allenamento e lamedicina sportiva. Le sue imprese e le tragiche circostanze della morte ne hanno fatto un’icona della storia sportiva italiana, e a decenni dalla scomparsa la sua popolarità e fama appaiono immutate.
* FELICE GIMONDI. Felice Gimondi (Sedrina, 29 settembre 1942 – Giardini-Naxos, 16 agosto 2019) è stato un ciclista su strada, pistard e dirigente sportivo italiano.
Professionista dal 1965 al 1979, è stato un campione completo, capace di tenere sul passo, di vincere in salita, a cronometro e anche in volata. È uno dei sette corridori ad aver vinto tutti e tre i grandi Giri, cioè Giro d’Italia (per tre volte, nel 1967, 1969 e 1976),Tour de France (nel 1965) e Vuelta a España (nel 1968). Tra le corse di un giorno si aggiudicò un campionato del mondo su strada (nel 1973) e alcune classiche monumento: una Parigi-Roubaix, una Milano-Sanremo e due Giri di Lombardia. Suo è il record di podi al Giro d’Italia, 9, dove ottenne anche sette vittorie di tappa. Nonostante la sua carriera sia coincisa in gran parte con quella del ‘ cannibale’ Eddy Merckx, è stato in grado di ottenere numerosi successi; rispetto al belga ha avuto anche una maggiore longevità ad alti livelli, avendo iniziato a vincere prima, al Tour de France 1965, e terminato dopo, con il successo al Giro d’Italia 1976. Ottenne complessivamente 118 vittorie tra i professionisti.
* BERNARD HINAULT. Bernard Hinault (Yffiniac, 14 novembre 1954) è un ex ciclista su strada, pistard e ciclocrossista francese, dominatore della scena internazionale tra la fine degli anni settanta e la prima metà degli anni ottanta. Professionista su strada dal 1975 al 1986, è stato uno dei più grandi campioni della storia del ciclismo. Soprannominato le Blaireau (il Tasso), è stato il primo ciclista (soltantoAlberto Contador vi riuscì successivamente) ad aver vinto almeno due volte tutte e tre le grandi corse a tappe ciclistiche (Tour de France, Giro d’Italia e Vuelta a España), e uno dei sette ad averle vinte almeno una volta. Si aggiudicò infatti cinque Tour de France (1978, 1979, 1981, 1982 e 1985), tre Giri d’Italia (1980, 1982 e 1985) e due Vuelta a España (1978 e 1983). Nel 1978 centrò l’accoppiata Tour-Vuelta, riuscita solo a lui, Jacques Anquetil e Chris Froome. Vinse anche un titolo mondiale professionisti (nel 1980), oltre a una Parigi-Roubaix, due Giri di Lombardia e due Liegi-Bastogne-Liegi: in totale ottenne, nei dodici anni di carriera da pro, 216 vittorie.
* EDDY MERCKX. Eddy Merckx, pseudonimo di Édouard Louis Joseph Merckx (Meensel-Kiezegem, 17 giugno 1945), è un ex ciclista su strada, pistard e ciclocrossista belga. Soprannominato il ‘Cannibale’ per la voglia di vincere sempre e di non lasciare nulla agli avversari, è considerato da molti il più forte ciclista di tutti i tempi, vantando numerosi record, e il miglior sportivo belga di sempre. Professionista dal 1965 al 1978, si aggiudicò il Tour de France per cinque volte (1969,1970, 1971, 1972 e 1974), un record condiviso con Jacques Anquetil, Bernard Hinault e Miguel Indurain.
Vinse anche cinque Giri d’Italia (1968, 1970, 1972, 1973 e 1974), eguagliando il primato di successi di Alfredo Binda e Fausto Coppi, e una Vuelta a España, nel 1973. Tra le corse di un giorno fece invece suoi quattro campionati del mondo su strada, di cui tre per professionisti (1967, 1971 e 1974) e uno per dilettanti (1964), oltre a ventisette classiche, tra le quali spiccano ben diciannove classiche monumento (sette Milano-Sanremo, cinque Liegi-Bastogne-Liegi, tre Parigi-Roubaix, due Giri delle Fiandre e due Giri di Lombardia), tre Frecce Vallone, tre Gand-Wevelgem e due Amstel Gold Race. Per sette anni consecutivi, dal 1969 al 1975, fu suo il Super Prestige Pernod, sorta di coppa del mondo a punti su strada.[3] Per quanto concerne l’attività su pista fu invece primatista dell’ora su bicicletta tradizionale per ventotto anni, dal 1972 al 2000 (percorse 49,432 km)[6], vincendo inoltre diciassette Sei giorni.
È uno dei sette ciclisti ad aver conquistato tutti i tre grandi Giri, e l’unico ad essere riuscito a realizzare l’accoppiata Giro-Tour per tre volte (1970, 1972 e 1974); inoltre è l’unico ad aver aggiunto ai tre Grandi Giri la vittoria del Giro di Svizzera, considerato la quarta corsa a tappe per importanza. Nel 1974 vinse, nella stessa stagione, Giro d’Italia, Tour de France e campionato mondiale su strada: soltanto l’irlandese Stephen Roche, nel 1987, è riuscito ad eguagliarlo. È anche uno dei tre corridori ad essere riuscito ad imporsi in tutte le cinque classiche monumento e l’unico ad averle vinte tutte almeno due volte. Al Tour detiene il record di tappe vinte in totale (34) e in una sola edizione (8), e il maggior numero di maglie gialle (111); al Giro vinse invece 25 tappe e vestì di rosa per 77 volte, anche quest’ultimo è un record. Per avere un’idea di che cosa è stato Eddy Merckx per il ciclismo basta guardare al suo inarrivabile palmarès: in 1800 corse su strada, Merckx ha riportato 525 vittorie, di cui 445 tra i professionisti, 57 tra i dilettanti, e le restanti nelle varie categorie giovanili. Jacques Goddet, storico patron del Tour de France, indicò Fausto Coppi come «il più grande» ed Eddy Merckx come «il più forte» ciclista di sempre.
* MIGUEL INDURAIN. Miguel Indurain Larraya (Villava, 16 luglio 1964) è un ciclista su strada spagnolo. Professionista dal 1984 al 1996 fu campione del mondo a cronometro nel 1995 e medaglia d’oro olimpica, nella medesima specialità, ai Giochi di Atlanta nel 1996. Nel suo palmarès rientrano anche cinque Tour de France vinti consecutivamente – l’unico a riuscirvi, assieme a Lance Armstrong (titoli poi revocati) – e due Giri d’Italia in accoppiata al Tour. Atleta dalle caratteristiche tipiche del passista-scalatore, oltre ad essere un abile discesista si distingueva come fortissimo cronoman: per lo strapotere nelle prove contro il tempo e per la capacità di amministrare la corsa sulle montagne, venne spesso accostato al francese Jacques Anquetil.
* MARCO PANTANI. Marco Pantani (Cesena, 13 gennaio 1970- Rimini, 14 febbraio 2004) è un ciclista su strada italiano, con caratteristiche di scalatore puro. Professionista dal 1992 al 2003, considerato tra i più forti scalatori di sempre, ottenne in tutto 46 vittorie in carriera con i migliori risultati nelle corse a tappe, vincendo un Giro d’Italia, un Tour de France e la medaglia di bronzo ai mondiali in linea del 1995. Soprannominato ‘il Pirata’, con grandi doti di fondo e di recupero oltre che di scattista, è stato l’ultimo dei ciclisti (dopo Fausto Coppi, Jacques Anquetil, Eddy Merckx, Bernard Hinault, Stephen Roche e Miguel Indurain) ad aver realizzato l’accoppiata Giro-Tour, ovvero la vittoria al Giro d’Italia e al Tour de France nello stesso anno. Escluso dal Giro 1999 a seguito di un valore di ematocrito al di sopra del consentito. Pantani risentì del clamore mediatico suscitato dalla vicenda e, pur tornato alle gare non molto tempo dopo, raggiunse solo sporadicamente i livelli cui era abituato.
Vedi il Chelsea, ad esempio, che il chiacchierato oligarca russo ( si dice) stia per passare di mano. Inoltre, se parliamo di stadi all’altezza, ricolmi e canterini, non c’è dubbio che i nostri ( tranne qualche eccezione) fanno la figura dei ‘sedotti e abbandonati’. E da mò, che ai ‘ bacucchi’ che dirigono il Paese e lo sport di questo Paese, si chiede di mettere mano ad una nuova ed adeguata generazione di impianti sportivi ! Che non sono più solo lo stadio, comunque profondamente ripensato, ma anche tutto quello che gli ruota attorno. Con grande profitto. E magna gradevolezza, per le casse della società, ma anche per gli appassionati che sono tanti e belli ma anche stufi della solita ( e spesso pericolosa) routine finita nelle mani di non si sa chi.
Che van da Sarri a Conte a Ancelotti, tre maestri del mondo del calcio ‘ tornati a percorrere i domestici tratturi, e che nessuno offre con la stessa ricchezza agonistica e studia con tante soluzioni. Dal calcio d’estate – sottolinea la ‘rosea’, che se non ci fosse bisognerebbe inventarla – arriva la conferma di una varietà tattica unica: i nostri otto top club, per esempio, usano sei sistemi diversi.
Praticamente un 45% ca, quasi a dire una edizione su due, percentuale che non avrebbe necessità di commento se non per ricordare a smemorati e incolti che ( in regime di libertà) si può celebrare chi, quando e come si vuole, senza però voler passare per cantori pindarici quando s’è null’altro che funzionari ( consapevoli o meno) di questo e quell’ uffizio. O cari bacucchi, fateci quegli stadi, eppoi vedremo chi ( meglio) saprà coprire di stelle ( e di sogni) le sue maglie e chi no.
Che potrebbe favorire un chiarimento fra Governo e Coni, magari con la ‘ mediazione’ del Cio. L’unica variante, da un anno attesa come inevitabile, è la caduta del Governo. Che sembra arrivato ( così si va dicendo) all’ultimo rantolo. E dunque, anche per questo caso, tutto riportando sotto una bella coltre di naftalina?
E comunque tali da non farci dormire come invece capita in altri ( celebrati) tornei gemelli che già sotto l’albero di Natale, bene e spesso, in questi ultimi anni, depositano il pacco-dono d’uno scudetto ( risultato) anticipato. Il calendario ha tenuto conto, questa volta, di tanti distinguo. Che non stiamo a riprenderli. Ci sarebbe da perderci la testa. Ci fidiamo. Ci affidiamo. Quel che estrapoliamo è che gli incontri tra le big five si disputeranno tutti in giornate diverse. Per quel che riguarda anticipi e posticipi invece bisognerà attendere la trattativa tra Sky e Dazn, che già lo scorso anno ha generato non pochi malumori. Tra i clienti Sky che dal tutto ( serie B compresa) dell’anno precedente si sono visti limitare ( sopratutto) gli anticipi.
Ecco, io ambirei a parteciparvi, come architetto prima ancora che come presidente della Triennale. Ma resto dell’idea che un restyling del Meazza sarebbe la scelta più equilibrata”. I club, intanto, sostengono che non varrebbe spendere tanto danaro ( circa 700 milioni) per ristrutturare un impianto che non arriverebbe comunque ad offrire i servizi che oggi garantiscono i grandi stadi europei. i servizi di un impianto moderno garantirebbe ben altre entrate. ” Può darsi – replica l’interlocutore -, ma siamo sicuri che il tifoso italiano abbia voglia di vivere l’evento calcistico come fanno altrove, presentandosi allo stadio tre ore prima e andandosene due ore dopo la partita? Per carità, ci si abitua a tutto, ma io credo che da noi basti l’evento per riempire un pomeriggio o una serata allo stadio. Non il contorno”. Obiezioni corrette, quelle di Boeri.
Anche se non è detto a priori che gli italiani non possano, per quel che possono, modificare ataviche abitudini. Obiezioni che però non sembrano rispondere ad alcune domande fondamentali. Esempio: a) fare un restyling a San Siro, non significa ripassarlo con qualche pennellata di colore, ma sventrarlo nell’anima. Per anni. E mentre si procede, dove andrebbero a giocare Milan e Inter: a Monza o a Como ? b) Siamo sicuri che un restyling ( per quanto profondo) andrebbe a soddisfare le mille richieste procedurali, di sicurezza strutturale e di sicurezza nell’uso abituale dell’impianto? Si sa che una casa vecchia, per quanto illustre e cara sia, resta pur sempre vecchia. Con tutti i limiti della sua vecchiaia. Che non sono nè pochi nè insignificanti. Soprattutto se si vuol guardare avanti. Comunque sia, il nuovo San Siro è stato deposto sul tavolo del comune di Milano.
Gli avessero consentito i supplementari, avremmo potuto vedere chi dei due contendenti era superiore dopo una gara condotta tatticamente ( tra e pro e contro) in grande equilibrio. Morale, gli ucraini, una volta tolta di mezzo l‘Italia, sono andati dritti dritti a conquistare il loro primo (insperato, ma neppure maltolto) trofeo iridato di categoria.
La sua intelligenza ( abbianata all’esperienza) contava e non poco. E comunque in questa hanno accumulato un tale vantaggio, grazie a quello stupido cambiamento delle gomme, che sarà difficile non riportare in porto un altro titolo. Al momento, ci sono 19 team che fanno fatica e uno solo che ne beneficia. Adesso è più importante il giro per scaldare i pneumatici di quello di qualifica. Se non raggiungi la temperatura ideale, sei rovinato. Noi magari in quell’istante abbiamo la macchina più veloce in pista, poi entra la safety car, le gomme si raffreddano e siamo ( tutti) fregati”. ” Come si è verificata una situazione del genere? Quella di ridurre il battistrada – integra Marko - è stata una richiesta della Mercedes che ha sempre sofferto di ‘ blistering’. Ma così si rovina lo sport … “. Ovviamente . Come ovvia ( scontata) è stata la smentita della Pirelli, che rimanda alla superiore velocità in gara delle ‘frecce‘ il vero motivo del loro successo. Smentita, giù, ma che manco quelli della casa milanese ( probabilmente) credono. Non ne avevamo avuto abbastanza con la questio power unit, che sì è aggiunta anche questa ( ulteriore decisiva) concessione. Per quelli che vincere vogliono, sì, ma a tutti i costi. Senz’altro è per questi ‘ retroscena‘ più o meno pubblicizzati, che quando va in pole la ’rossa’ saltano i banchetti, mentre quando il solito ( i soliti) s’assidono ( qua e là pel mondo) sui gradini più alti del podio ( tuttalpiù) s’applaude. Per non sbadigliare. Così cominciamo a credere a quel venticello leggero leggero che assicura della ‘ segreta voglia’ del ( grande?) Lewis di provare ( finalmente) il brivido d’una ‘rossa‘.
L‘Atalanta ci sta lavorando. Ma occorreranno alcuni anni. Da Roma, invece, la promessa solenne della sindaca Raggi: ” Entro l’anno si parte con lo stadio “. Così assicura anche mister Saputo, per il nuovo ‘Dall’Ara‘ in una piazza tra le più prestigiose come quella di Bologna. Un po’ troppo poco per aspirare ad Euro 2028 ? Diciamo solo che qualcosa si muove, nell’attesa di passare dalle ciance ai fatti.
Che altro non sono, la ( principale) differenza che intercorre tra noi e gli (altri) tre principali tornei europei. A proposito di tornei, non manca pulpito dal quale non s’odano levarsi i soliti peana pro Premier oltre ad altri illuminati apprezzamenti sul nostro frustrato gioco del pallone. In una trasmissione-svago di Rai 2 il transfuga ( Sky) Massimo Mauro, non s’è trattenuto dal gettare al popolo la sua lucente verità: ’ Il nostro è il Campionato più noioso. Dove tutto è deciso. A me non piacciono i tornei dove tutto si sa ancor prima che partano’. Un piacere, il suo, abbastanza strano da godersi, e da condividersi, visto quanto accade, qua e là, nel Vecchio Continente.
L’Inghilterra da sola incassa, nel totale, 5,3 mld. Un dato questo, certo e assodato, che attira come specchietto per allodole ( soprattutto) tutti coloro che prima all’erba verde del campo da gioco guardano al luccichio delle monete. C’è qualche speranza per il calcio italiano di rimontare? Qualche. Solo qualche.
Questione di spiccioli, si sappia, nonostante loro abbiano il vantaggio di entrate maggiori e di stadi adeguati al moderno agone calcistico, e noi invece no, anche per situazioni generali che è difficile comprendere.
‘Dream team’ non nuovo, non inedito, a dir il vero, visto che ( se anche la nostra memoria non inganna) ha avuto debutto già qualche anno fa. In particolare, su quella pista dove lui e l’altro, come ‘bravacci’ di manzoniana memoria, si sono infilati nell’agone gridando ai ( tanti) don Abbondio ( italioti compresi) colà presenti: “ Questo (decimo ) titolo non s’ha da dare!”. E se in sede d’auspicio qualche nota stonata (purtroppo) non manca, quelle intonate sembrano ( ampiamente) compensare il conto. Quelli che non guardano solo ai (tanti) danari e alla (facile) gloria. Quelli che se si turano il naso sul doping è perchè vorrebbero vedere competizioni credibili e pulite in ogni agone sportivo. Quelli che prima di sputare sul loro piatto voglion sincerarsi che anche in Altrove non si giochi all’inganno. Del resto siam figli d’un piccolo, curioso, geniale Paese, che tanto ( soffrendo) ha dato al M0ndo che fatica ad aprire porte e finestre al primo arrivato.
La crisi investe soprattutto la Chiesa anglicana: oramai soli il 15% egli inglesi si identifica in quella religione che fino a pochi decenni fa era la confessione nazionale. Tra i più giovani, addirittura, la percentuale degli anglicani non supera il 3%. Un ridimensionamento eclatante almeno alle nostre latitudini, che si riflette ( significativamente) sulla coscienza collettiva. Commenti? Tanti.
Ma ne scegliamo uno: l’Inghilterra moderna, quella tanto celebrata anche da noi, nasce dallo scisma anglicano nei confronti della Chiesa romana. Per qualche secolo ha fatto un tutt’uno con la nazione. In forte antagonismo con i ‘papisti’ corrotti ed ignoranti. Ma mentre i ‘papisti’ ( nonostante errori e tempeste) continuano ad esprimere la personalità morale più ‘forte’ ed ‘ ascoltata’ del Pianeta, a loro non restano che sparuti vecchietti desolati in panca. Vien da chiedersi ( col senno del poi) se quando i lor signori hanno inteso ( per ragioni varie) ‘rompere‘ ogni rapporto possibile e immaginabile con l’infernale Roma non abbiano fatto come quella levatrice che per ‘ cambiare in bacinella l’acqua sporca‘ ha finito col gettar via ‘ anche il ( meraviglioso) bimbo‘ che gli stava dentro.
” Mi sono confuso- si è giustificato l’infallibile cultore delle sorti mediche del Real - per il clima di euforia che ci circondava. Nella sala antidoping entrarono infatti anche il re Juan Carlos e il primo ministro Mariano Rajoy ”(1) . Inutile aggiungere che citati (perfin0) nomi ( tanto ) illustri, i ‘ vampiri‘ della Uefa si sono subito accoccolati in qualche buio angolo dell’edificio. Noi, invece, per quel che ci riguarda, con irreligiosa curiosità, stiamo ancora chiedendoci che ci siano andati a fare il re e il ministro in una sala antidoping prima d’un evento planetario. Nota. ( 1) ‘La gazzetta dello sport’ , sabato 24 novembre 2018.
Eppoi, chi l’ha mai detto, se non quell’ingenuo di frate Francesco, che c’erano la grotta, il bue e l’asinello, e che i Magi fossero tre e anche re? C’è, insomma tanta gente, anche prestigiosa, anche dal gran nome, che circola per il Mondo dilettandosi ad iniettare ‘ dubbi’, (altre) ‘ verità’, ’ veleni’. L’importante è che il ‘ favoloso evento’ abbia a scomparire ( una volta per tutte) dagli orizzonti del ( cosiddetto) uomo moderno. Sopratutto se occidentale.
Che dev’essere impresa ostica, anche perchè restano non pochi problemi a spiegare qual ‘ spirito’ e ‘ qual genio’ abbia ‘elevato’, cattedrali, leggi, valori, (società più ) umane e ( dulcis in fundo) grandi capolavori. Cristiani, diciamolo chiaramente, una volta tanto, e che altro? Del resto i ’poveri’ , quelli che hanno conservato (ancora ) la ‘ libertà di credere a chi loro più affida‘ queste cose le sanno.
E continuano a stringersi, più numerosi di quel che lasciano ad intendere i ( cosiddetti) ‘ sondaggi‘, fatti apposta per celebrare ideologie e agevolare consumi, non intorno ad un ‘presepe degenerato‘, come van predicando gli ‘ illustri maestri‘, ma ad un ‘evento‘ antico, sconvolgente, unico, diversamente ‘raccontato’ nel tempo, certo, eppure dopo due millenni (e nonostante tutto ) condiviso e diffusamente attuale. Un respiro di fede, evviva, lungo la meravigliosa Penisola.
NOTE STORICHE
NOTRE DAME DE PARIS La cattedrale metropolitana di Nostra Signora (in francese: Cathédrale métropolitaine Notre-Dame; in latino: Ecclesia Cathedralis Nostrae Dominae), conosciuta anche come cattedrale di Notre-Dame o più semplicemente Notre-Dame (pronuncia [nɔtʁə dam]), è il principale luogo di culto cattolico di Parigi, cattedrale dell’arcidiocesi di Parigi, il cui arcivescovo metropolita è anche primate di Francia. La cattedrale, ubicata nella parte orientale dell’Île de la Cité, nel cuore della capitale francese, nella piazza omonima, rappresenta una delle costruzioni gotiche più celebri del mondo ed è uno dei monumenti più visitati di Parigi. In base alla Legge francese sulla separazione tra Stato e Chiesa del 1905, l’edificio è proprietà dello Stato francese, come tutte le altre cattedrali fatte costruire dal Regno di Francia, e il suo utilizzo è assegnato alla Chiesa cattolica.
La cattedrale, basilica minore dal 27 febbraio 1805, è monumento storico di Francia dal 1862 e Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCOdal 1991. Nell’area in cui oggi sorge la cattedrale, si trovava un tempio pagano dedicato a Giove,frutto della ricostruzione di Lutezia da parte di Caio Giulio Cesare dopo la resa di Vercingetorige del 52 a.C. Una più antica cattedrale, dedicata inizialmente a santo Stefano precedette l’attuale edificio.Si trattava di una basilica a cinque navate separate da colonne marmoree e sorgeva più ad ovest rispetto alla cattedrale odierna; annesso vi era un battistero dedicato a san Giovanni Battista, con il nome di Saint-Jean-le-Rond, definitivamente demolito nel Settecento. La cattedrale di Santo Stefano venne affiancata (chiesa doppia) e quindi sostituita da un’altra dedicata alla Vergine Maria. ( Wikipedia)
IMPERO CAROLINGIO E SACRO ROMANO IMPERO.
Nascita. L’epoca di Ludovico il Pio, Carlo Magno era il figlio di Pipino il Breve, quindi il secondo sovrano pipinide del regno di Franchi. Salito al potere come unico sovrano dopo la morte del fratello Carlomanno, iniziò una serie di campagne militari di successo, che lo portarono presto ad ingrandire i suoi possedimenti verso la Sassonia, la Baviera, la Marca di Spagna (fascia pirenaica della Spagna del Nord) e l’Italia, strappata ai Longobardi. Inoltre sconfisse gli Àvari, ottenendo la sottomissione della Pannonia, dove essi erano insediati, come stato tributario, mentre un’analoga sorte si attuava verso il ducato di Benevento.
Alla morte di Carlo l‘Impero avrebbe dovuto essere diviso tra i suoi tre figli maschi legittimi, ma la morte prematura di due di essi fece sì che il trono passasse nelle mani di Ludovico, detto ‘il Pio’ per la sua attenzione alla religione. Ludovico non fu un sovrano energico come il padre, bensì era interessato soprattutto alle questioni religiose nella convinzione che l’adesione alla dottrina cristiana avrebbe garantito quell’ordine e serenità all’Impero che veniva teorizzata dai suoi consiglieri quali Benedetto d’Aniane o Agobardo di Lione.
Nella pratica Ludovico divenne presto un sovrano incapace di manifestare la sua autorità, mentre le regioni imperiali divenivano soggette sempre più all’aristocrazia franca.
Un suo tentativo di destituire il nipote Bernardo, ucciso dopo essere stato accusato di tradimento, macchiò per sempre la sua coscienza e, su spinta degli alti prelati, fece pubblica ammenda che lo screditò ulteriormente agli occhi dell’aristocrazia.
Già prima della sua morte spartì l’impero tra i suoi tre figli Lotario, Pipino e Ludovico II il Germanico, ma il già fragile equilibro si ruppe con l’entrata in scena del figlio del suo successivo matrimonio, Carlo il Calvo, che diede origine a una guerra civile che aggravò l’instabilità del potere centrale, anche se si alternò a periodi di pace per lo scarso interesse dell’aristocrazia di parteciparvi.
La divisione dell’Impero. Alla morte di Ludovico il Pio (840) Lotario I assunse la corona imperiale, come previsto dal padre, mentre i due fratelli superstiti Ludovico e Carlo si allearono per obbligarlo a cedere una parte del potere. Il giuramento di Strasburgo, rivolto alle truppe dei due fratelli, è rimasto famoso perché conserva il primo accenno scritto alle nascenti lingue francesi e tedesca.
Nell’843, con il trattato di Verdun, Lotario dovette scendere a patti: mantenne la corona imperiale, ma si limitò a governare la fascia di territorio centrale tra Mare del Nord, bacino del Rodano, del Reno, le Alpi e l’Italia, con le città di Aquisgrana e Roma. Carlo il Calvo prese la Francia ‘occidentale’ (odierna Francia senza la fascia più vicina all’odierna Germania e la Provenza) e Ludovico il Germanico la Francia’ orientale‘, corrispondente alla porzione odierna di Germania compresa fra il Reno e l’Elba, fino alla Baviera e la Carinzia comprese. Con la morte di Lotario, Ludovico prese la corona imperiale, quindi nell’875 gli succedette Carlo il Calvo, sostenuto da papa Giovanni VIII, che vedeva in lui un possibile alleato contro il principe di Spoleto e i Musulmani, insediati alla foce del Garigliano. Carlo il Calvo morì nell’877 con l’impero carolingio ormai in dissoluzione.
Gli succedette Carlo il Grosso, figlio di Ludovico il Germanico, anch’egli incoronato da Giovanni VIII, sempre in cerca di protezione; ma l’imperatore non riuscì a impedire l’assassinio del papa nell’882, durante una delle frequenti guerre civili combattute a Roma dall’aristocrazia locale. La minaccia di incursioni esterne, Normanni e Musulmani in prima linea, avevano messo in dura difficoltà Carlo il Grosso, tanto che i Normanni assediarono la stessa Parigi. In questa situazione fu costretto ad abdicare da un’aristocrazia che si rifiutava ormai di obbedirgli (887). Trascorse gli ultimi mesi della sua vita in prigionia, senza alcun successore sul trono.
Differenza tra Impero carolingio e Sacro romano impero
L’impero carolingio era strettamente correlato alla figura del suo fondatore Carlo Magno ed alla sua discendenza carolingia, alle sue conquiste e allo speciale rapporto che esso aveva instaurato con il papato. Anche l’impero romano-germanico (il Sacro romano impero, poi della nazione tedesca) era germogliato da quello carolingio, ma essendo venuta a mancare la parte occidentale del regno di Francia, per alcuni non poteva esserne erede, se non nella stessa misura della corona francese.
La data canonica della sua fondazione è il 962, da parte di Ottone I. Il titolo imperiale venne tuttavia trasmesso dai carolingi ai sovrani successivi e presenta pertanto una sua innegabile continuità. Per tale ragione nel computo degli imperatori del Sacro Romano Impero si suole generalmente risalire fino a Carlo Magno.