Non solo sport. Cade il Dovi e vola il Marquez. Torna la nostra cara Serie A, con tanti nodi da sciogliere.

La misteriosa Araba Fenice vuole che geni come Renzo Piano, senatore a vita, resti attaccato alla madre sua, la bella e sofferente Genova, un tempo regina del mare e scrigno finanziario dell’Europa, e ci riservi un progetto che per stile e originalità farà una volta di più stupire quanti ( non solo dalle nostre parti) hanno dato per scontato il tramonto del Belpaese.
” La Spagna - si legge sul Sole24Ore - aspetta da decenni riforme strutturali che dovrebbero rilanciare la competitività della sua economia… ( eppure) ha dimostrato di saper resistere alle lacune della politica ( da 100 giorni è senza un governo) fornendo stabilità anche senza un governo sorretto da una chiara maggioranza”.
La filosofia di Renzo Piano del ‘ pezzo per pezzo‘ che andrà ad applicarsi per il nuovo viadotto di Genova, ci sembra null’altro che una ( straordinaria) ’ testimonianza del Made in Italy ai suoi massimi livelli, perchè, come continuano a ripetere tutti gli attori ( quasi mille persone ai vari livelli di responsabilità) qui si gioca il riscatto dell’ Italian pride: l’onorabilità di quanti si ostinano a contrastare l’ideologia del declino giocando la nobile carta del ‘saper fare’ di cui, nonostante tutto, l’Italia è ancora maestra’.
Con risultati economico-finanziari lusinghieri. Che però sono apparenza. Perchè non bisogna far finta di niente quando si verifica che gran parte delle squadre di calcio d’Albione è di proprietà estera. E non sempre raccomandabile. Visto che son danari che piovono dalla steppa, dai deserti e da Oltreoceano, e che spesso, come i venti che li portano, arrivano e se ne vanno.
Vedi il Chelsea, ad esempio, che il chiacchierato oligarca russo ( si dice) stia per passare di mano. Inoltre, se parliamo di stadi all’altezza, ricolmi e canterini, non c’è dubbio che i nostri ( tranne qualche eccezione) fanno la figura dei ‘sedotti e abbandonati’. E da mò, che ai ‘ bacucchi’ che dirigono il Paese e lo sport di questo Paese, si chiede di mettere mano ad una nuova ed adeguata generazione di impianti sportivi ! Che non sono più solo lo stadio, comunque profondamente ripensato, ma anche tutto quello che gli ruota attorno. Con grande profitto. E magna gradevolezza, per le casse della società, ma anche per gli appassionati che sono tanti e belli ma anche stufi della solita ( e spesso pericolosa) routine finita nelle mani di non si sa chi.
Son belli loro, siam belli noi ( sia pure con qualche acciacco). Sennò, che c’è venuto a fare il pluri medagliato Cr7 in un agone come il nostro? E’ rincoglionito o è venuto a sapere che per ragionar di storia non c’è ‘contesto ’ più accreditato del nostro? Lui di storia deve intendersi, eccome, magari più e meglio del Messi da Recanati , accucciato da sempre e per sempre dentro un’amorevole e sola culla; o di quel genio maledetto del partenopeo Maradona, che per superare il meraviglioso Pelè s’era trasferito armi e bagagli da una grande di Spagna ad una media squadra del campionato italiano. Trasformandola d’incanto da Calimero a Cigno. E siamo belli perchè sono belli i nostri campanili che rendono infuocate e imprevedibili anche le diatribe più insignificanti. E i duelli più radicati. E i personaggi più impensati.
Che van da Sarri a Conte ad Ancelotti, tre maestri del mondo del calcio ‘ tornati a percorrere i domestici tratturi, e che nessuno offre con la stessa ricchezza agonistica e studia con tante soluzioni. Dal calcio d’estate – sottolinea la ‘rosea’, che se non ci fosse bisognerebbe inventarla – arriva la conferma di una varietà tattica unica: i nostri otto top club, per esempio, usano sei sistemi diversi.
Ma con un comune denominatore: la voglia di ‘ far’ gioco. Chi altri può offrire tanto? e se nessuno può offrirlo, perchè celebrare ( e arricchire) sempre l’orto del vicino e mai il nostro?
Forse per un altro ciclo ( l’ultimo successo inglese in Champions l’aveva ottenuto il Chelsea nel 2011/2012, bissando lo United del 2007/2008). Forse. C’è però da ammonire che, tra le tante altre cose, nelle 65 edizioni della Coppa dalla grandi orecchie fin qui disputate, 27 volte sono arrivate in finale squadre italiane.
Praticamente un 45% ca, quasi a dire una edizione su due, percentuale che non avrebbe necessità di commento se non per ricordare a smemorati e incolti che ( in regime di libertà) si può celebrare chi, quando e come si vuole, senza però voler passare per cantori pindarici quando s’è null’altro che funzionari ( consapevoli o meno) di questo e quell’ uffizio. O cari bacucchi, fateci quegli stadi, eppoi vedremo chi ( meglio) saprà coprire di stelle ( e di sogni) le sue maglie e chi no.
E comunque tali da non farci dormire come invece capita in altri ( celebrati) tornei gemelli che già sotto l’albero di Natale, bene e spesso, in questi ultimi anni, depositano il pacco-dono d’uno scudetto ( risultato) anticipato. Il calendario ha tenuto conto, questa volta, di tanti distinguo. Che non stiamo a riprenderli. Ci sarebbe da perderci la testa. Ci fidiamo. Ci affidiamo. Quel che estrapoliamo è che gli incontri tra le big five si disputeranno tutti in giornate diverse. Per quel che riguarda anticipi e posticipi invece bisognerà attendere la trattativa tra Sky e Dazn, che già lo scorso anno ha generato non pochi malumori. Tra i clienti Sky che dal tutto ( serie B compresa) dell’anno precedente si sono visti limitare ( sopratutto) gli anticipi.
Ecco, io ambirei a parteciparvi, come architetto prima ancora che come presidente della Triennale. Ma resto dell’idea che un restyling del Meazza sarebbe la scelta più equilibrata”. I club, intanto, sostengono che non varrebbe spendere tanto danaro ( circa 700 milioni) per ristrutturare un impianto che non arriverebbe comunque ad offrire i servizi che oggi garantiscono i grandi stadi europei. i servizi di un impianto moderno garantirebbe ben altre entrate. ” Può darsi – replica l’interlocutore -, ma siamo sicuri che il tifoso italiano abbia voglia di vivere l’evento calcistico come fanno altrove, presentandosi allo stadio tre ore prima e andandosene due ore dopo la partita? Per carità, ci si abitua a tutto, ma io credo che da noi basti l’evento per riempire un pomeriggio o una serata allo stadio. Non il contorno”. Obiezioni corrette, quelle di Boeri.
Anche se non è detto a priori che gli italiani non possano, per quel che possono, modificare ataviche abitudini. Obiezioni che però non sembrano rispondere ad alcune domande fondamentali. Esempio: a) fare un restyling a San Siro, non significa ripassarlo con qualche pennellata di colore, ma sventrarlo nell’anima. Per anni. E mentre si procede, dove andrebbero a giocare Milan e Inter: a Monza o a Como ? ;
b) Siamo sicuri che un restyling ( per quanto profondo) andrebbe a soddisfare le mille richieste procedurali, di sicurezza strutturale e di sicurezza nell’uso abituale dell’impianto? Si sa che una casa vecchia, per quanto illustre e cara sia, resta pur sempre vecchia. Con tutti i limiti della sua vecchiaia. Che non sono nè pochi nè insignificanti. Soprattutto se si vuol guardare avanti. Comunque sia, il nuovo San Siro è stato deposto sul tavolo del comune di Milano.