Cronaca dal divano. ‘Coronavirus’: perchè spaventare e spaventarsi oltre il lecito? Adelante, con juicio!

LA CRONACA DAL DIVANO. La diffusione del Coronavirus, avviata in una remota provincia dell’immenso continente Cina, sta lambendo altri paesi del Mondo. Lo avrebbe fatto anche ai tempi della Lombardia spagnola, figuriamoci oggi con le porte del Pianeta (praticamente) spalancate a tutti. Quotidianamente, per via di quella globalizzazione divenuta oramai una realtà consolidata per tutti.
In particolare, il virus è arrivato ad incunearsi anche tra le pieghe d’una nazione più divisa che compatta, più distratta che attenta a quel che può, e quindi fragile per mille ragioni. Soprattutto politiche, inguaribili per antico uso, che poi ricadono malamente su tutto il resto. Complicando piuttosto che semplificando. E comunque sia, dal Governo sono arrivate misure speciali. I media ne stanno dando ampio e tempestivo resoconto. In un Cdm notturno è stato emanato un decreto per isolare le aree di contagio. Con sospensione di manifestazioni ed attività lavorative. E inoltre anche di scuole ed eventi sportivi, tra cui alcuni incontri di Serie A.
Se ci si sofferma sulle news, altro non emerge che un ( altro) inatteso ridimensionamento di quella che fino a poche ore prima si chiamava normalità. Quali effetti porterà tutto questo non è dato da immaginare, da vedere, anche a breve. Il bilancio ( ogni ora di più) si aggrava. Due ( al momento) i morti, mentre i casi di maggiore concentrazione del virus sono stati registrati nel Nord Italia. Per via di un controllo più marcato o che altro?
Certo è che l’Italia ( manco a dirlo) si rivela ( una volta di più) il paese europeo più esposto, insieme a paesi lontanissimi come il Sud Corea e l‘Iran. Si cerca il ‘paziente zero‘, per ricostruire l’iniziale percorso di diffusione del contagio. Qualcosa sta riversandosi dalla provincia ( Codogno) su Milano, che ( tra l’altro) ha rinviato il Mido, fiera mondiale degli occhiali.
A proposito di Milano ci sovvengono alcune pagine del romanzo storico più famoso al Mondo. Sia chiaro, pur non essendo virologhi & affini, non ci sembra affatto che il famigerato Coronavirus sia da paragonare alla peste che straziò il capoluogo lombardo nel Seicento, e che ( secondo il Tadino) ‘ per le diligenze fatte’ dopo il suo passaggio ‘ lasciò la popolazione di Milano ridotta a poco più di sessantaquattro mila anime, quando prima passava le duecento cinquanta mila‘. Non è della stessa pericolosità il virus attualmente in circolazione, non siamo ( fortunatamente) immersi nel Seicento. Infatti società e scienza ( per molti versi) hanno fatto ( anche da noi) passi in avanti enormi. Forse anche in eccesso.
Visto che il virus è certamente da prendere con tutte le dovute attenzioni, mediatiche e non, anche per non farsi gabellare come lo fu don Ferrante, e che tuttavia ( se non abbiamo mal inteso) dalle parole di quel dirigente dello Spallanzani, mortale è sì ma solo in determinate e limitate condizioni. Che possono ( normalmente) combinarsi anche nel corso di epidemie ricorrenti ( ed efficacemente contrastate) durante ultimi decenni.
Dunque, non siamo nel Seicento, e meglio così sia. Eppure le pagine del contrastato don Lisander, ci risuonano nelle orecchie. Non si sa bene perchè. Con qualche somigliante parvenza. E comunque sempre disponibili ad esser rilette in un tempo in cui a leggere son sempre meno. Opportuno sarebbe cercare il libro, andare ( almeno) al capitolo XXXII, e scorrerlo in separata sede, sgombri e attenti. Qui ci limitiamo a qualche accenno. La peste, insomma, forse a causa d’un Lanzichenecco, era travasata dall’ Oltralpè nel Ducato di Milano. Ne successero di tutti i colori che meglio ancora che nei ‘ Promessi’ vengono chiarite nella ‘Storia della colonna infame’.
In breve, il gran cancelliere Ferrer, che con le sue guerre ‘ che a dir poco, senza parlare dei soldati, portarono via circa un milione di persone‘, oltre ad avere precipitato la Lombardia alla fame, la lasciò pure in balia della peste. Lui, infatti, aveva ‘ da pensare alla guerra’. I decurioni presero al suo posto decisioni sconcertanti. Come quella di ‘ chiedere al cardinale arcivescovo, che si facesse una processione solenne, portando per la città il corpo di San Carlo‘.
Il buon prelato rifiutò. Per molte ragioni. Temeva, tra l’altro, che se tutto non fosse andato come auspicato, dalla fiducia si passasse ‘ all’iscandolo‘. Temeva anche che la processione potesse diventare motivo di ‘ caccia agli untori’. E in aggiunta, che radunare tanta gente non poteva che offrire il fianco ad una ulteriore espansione del morbo. Buonsenso. Solo buonsenso. Non condiviso soprattutto da quegli animi che ‘ sempre più amareggiati dalla presenza de’mali, irritati dall’insistenza del pericolo, abbracciavano più volentieri quella credenza: chè la collera aspira a punire, …, piacendogli d’attribuire i mali ad una perversità umana, contro cui possa far le sue vendette, che riconoscerli da una causa, con la quale non ci sia altro da fare che rassegnarsi’.
La processione alla fine si fece, come continuò la ‘ caccia alle streghe’, o meglio, ‘ agli untori‘. Da quel giorno la furia del contagio andò sempre crescendo. I lazzaretti si riempirono di contaminati. Chi potè, come certi ‘birboni’, sguazzò in quella funesta circostanza come meglio credette. L’uso della forza pubblica venne a trovarsi in gran parte nelle mani dei peggiori. ‘ All’impiego di monatti e d’apparitori – infatti – non s’adattavano generalmente che uomini sui quali l’attrattiva delle rapine e della licenza potesse più che il terrore del contagio, che ogni naturale ribrezzo’.
‘ Ma ciò che reca maggior maraviglia - completa don Lisander – è il vedere i medici, dico i medici che fin da principio avevan creduta ola peste, dico in ispecie il Tadino, il quale l’aveva pronosticata, vista entrare, tenuto d’occhio, per dir così nel suo progresso, il quale aveva detto e predicato che l’era peste, e s’attaccava al suo contatto, che non rimettendovi riparo, ne sarebbe infettato tutto il paese, vederlo poi, da questi effetti medesimi cavare argomento certo dell’unzioni venefiche e malefiche;
lui che in quel Carlo Colonna, il secondo che morì di peste a Milano, aveva notato il delirio come un accidente della malattia, vederlo poi addurre in prova dell’unzioni e della congiura diabolica, un fatto di questa sorte: che due testimoni deponevano d’aver sentito raccontare da un loro amico infermo, come, una notte, gli erano venute persone in camera, a esibirgli la guarigione e denari, se avesse voluto ungere le case del contorno; e, come, al suo rifiuto, quelli se n’erano andati, e in loro vece, era rimasto un lupo sotto il letto, e tre gattoni sopra, che sino al far del giorno dimorarono‘.
C’è chi dice che il passato non torna. C’è chi pensa invece l’opposto. Se dovessimo dar retta alla sapienza antica che così sintetizzava ‘ in medio stat virtus’, ovvero, il buono sta un po’ qua e un po’ là, dovremmo cercare proprio in situazioni come queste di far di tutto per evitare avvitamenti, eccessi, cinismi. Con autorevolezza. Compattezza. Tempestività. Perchè, poi, si sa, che Seicento o Terzo Millennio che sia, le brutte sorprese stanno sempre dietro l’angolo. Solo brutte?