Santarcangelo d/R. ‘Ricordi e amnesie’ (1999), per ritrovare il bizzarro mondo di Federico Moroni.

Federico Moroni ( 1914-2000), santarcangiolese, è uno dei personaggi più prolifici e originali della cultura, dell’arte e della didattica della Romagna del Dopoguerra.
Attratto ( in gioventù ) dal neorealismo, poi abbandonato non senza qualche titubanza, è andato ( negli anni) via via cercando altri riferimenti e interessi: scoprendo Kafka, ad esempio, sul versante letterario; ma anche abbracciando i ragazzi del Portonaccio, sul versante pittorico, contemporaneamente esplorando De Pisis, Morandi, Vespignani; e, infine, recuperando, con un balzo a ritroso nel tempo, il concittadino Guido Cagnacci, ( per lui) capace come pochi altri di ritrarre con magistrale naturalezza “ fiori a cespo entro il collo del fiascone scocciato e spagliato”.
Cogliere l’attività e il mondo di Federico Moroni non è semplice. Ci ha provato con grande sensibilità e acume Luca Cesari, l’autore della prefazione di ‘Ricordi e amnesie’, un testo uscito nel maggio 1999, poco noto al grande pubblico, ma per molti aspetti indispensabile per definire la complessiva dimensione del personaggio ( soprattutto ) in campo grafico – pittorico.
“ Moroni – avverte Luca Cesari, in ‘Ricordi e amnesie’ – ha tirato fuori di dentro tutto quello che, nella vita, gli è stato più caro, ovvero, da Armstrong allo spiritello Gni fin al giardino di Bob. Oltre ad ambienti, figure, affetti, capaci di raccontare in modo giocondo ed arguto, la sua amicizia per gli uomini e per gli oggetti”.
Il tutto col corredo d’una miriade di episodi, aneddoti, boutades, confessioni, ritratti, senza i quali oggi sarebbe più problematico cogliere l’anima del suo sconfinato universo creativo caratterizzato da una lunga galleria di bizzarri soggetti-oggetti.
Dello spiritello Gni, l’antesignano tra loro, Federico Moroni, ventenne, venne a conoscenza i primi giorni d’un dolce settembre trascorso a Pietra dell’Uso, dove era stato chiamato a far parte della commissione per gli esami di licenza elementare. A Pietra, per via dell’impegno scolastico che sarebbe durato qualche giorno, chiese ospitalità al parroco don Palpacelli.
Che acconsentì, sistemandolo in una cameretta tutta per lui. Federico, durante la prima notte, dormì senza problema alcuno, mentre nella seconda restò disturbato da ‘ un qualcosa di strano’ che lo agitò non poco.
La mattina dopo confessò la ‘ notte in bianco’ a don Palpacelli, che non esitò a rivelargli la presenza d’un beffardo spiritello che s’era insediato da tempo in canonica prendendo di mira, ad ogni piè sospinto, ospiti e forestieri.
Allo spiritello il parroco aveva dato il nome di Gni. Che col suo modo buffo e giocoso d’interferire incuriosì non poco Moroni, il quale , senza dar tempo al tempo, cercò di contattarlo.
“ Una vocina dentro di me – ricordò poi Moroni - rispondeva che per essere amico di Gni avrei dovuto andare a vivere in un luogo senza spazio né tempo. In pratica, fra i trapassati, e dunque nell’altra vita”.
Un sacrificio, a dir il vero, grosso, un po’troppo grosso, e irreversibile, per cui al maestro non restò altro che ribattere: ” Caro Gni, arrivederci, senz’altro, ma il più tardi possibile!”.
‘Ricordi e amnesie’ è ricco di questo ed altro. A partire dai giorni dell’infanzia.
Sui sei/sette anni, ad esempio, di domenica mattina, la madre era solita accompagnarlo dalla nonna. Federico, nella circostanza, era ‘costretto’ a indossare un abitino blù alla marinara, con tanto di lucenti bottoni dorati.
Che odiava, cordialmente. Anche perché, fosse stato per lui, pur di levarsi di dosso l’impiccio, avrebbe preferito mille volte i giochi con i coetanei: ma tanto ‘voleva’ la mamma, che altro non gli restò che fare buon viso a cattiva sorte.
Una mattina però accadde l’imprevisto. In prossimità di via Saffi, allora (ancora ) in salita e ciottolosa, s’avvertì il suono sempre più prossimo d’una banda in lontananza. Federico avrebbe voluto correrle incontro. La madre, invece, lo bloccò. Perentoria.
E lui, per protesta, piangendo, sbraitando, si gettò a terra stracciando perfino l’abitino blù. La madre, vista la mal parata, almeno quella volta, rinunciò a portarlo dalla nonna, imponendogli però un caro prezzo.
“ Per i miei capricci – confida poi Moroni – dovetti trascorrere il resto della giornata da solo. Abbandonato, dentro una desolata e dolorosa solitudine interiore”.
In quel tempo circolava in paese un certo Ceracola, rivestito da un lungo pastrano giallastro che lo copriva fin ai piedi. Lo s’incontrava per le vie del borgo ( in particolare) durate le fiere ( fitte ed affollate) che si susseguivano ( allora ) a Santarcangelo.
A Ceracola ( abitualmente) veniva affidato il compito di attrarre, tramite gli squilli d’una lustra trombetta d’ottone, l’attenzione dei passanti sull’ottimo vino che si mesceva nelle (favolose) cantine ( cantòini) ‘Brudett’, ‘Pitrett’ e ’I tri becch’.
Cantine segnalate sui loro ingressi “ da una verde frasca che ombreggiava la botte panciuta con la cannella stillante gocce di nettare color rubino dentro un bianco e obeso boccale, che portava scritto sul ventre: 2 litri…”.
Il nonno del maestro era un rinomato mediatore nel commercio del vino e capitava (spesso) di vederlo tornare a casa un poco ‘alticcio’.
La madre, per sdrammatizzare, davanti ai ragazzi, lo scherniva: “ Federico! A si dvent piò bas?”. E lui, candido come un angelo, ribatteva: ” E quest che zcours el ?”.
Il nonno, di cui Moroni portò sempre con orgoglio il nome, se ne andò quando il futuro maestro era ancora molto piccolo, lasciandogli dentro un gran vuoto. Dolcissimo. Più volte rimpianto.
“ Di lui – ricorda poi il maestro – porto ancora in me il ricordo vivo dei suoi baffoni che, nel sonno, mi sfioravano la fronte”.
Sempre in ‘Ricordi e amnesie’, nel racconto ‘La voìpa’, compare la figura d’un certo ‘Cicarèli’, che faceva il calzolaio, un lavoro ( allora) talmente redditizio da consentire di mettere a cena per la famiglia null’altro che ‘ un pogn d’luvoin e do’smenti’.La bottega di ‘Cicarèli’, vedeva un via vai continuo di gente. La più parte senza lavoro, “per andare a chiacchierare, fumare e fare a gara nel raccontare i fatti più originali, divertendo e divertendosi”.
Moroni, notò che tra gli avventori ce n’erano alcuni che sbarcavano il lunario con il contrabbando di sigarette: costoro, infatti, obbligati dalla necessità, raggiungevano il Marecchia per guadarlo all’altezza della repubblica di San Marino. Qui acquistavano sigari a basso prezzo per rivenderli in Riviera o nell’Entroterra, ovviamente, con il provvidenziale ricarico.
Nella lunga serie di ricordi giovanili di Moroni ce ne sono di riservati a Maria “ una donna di bassa statura e gambe robuste, il viso rotondo, liscio, incorniciato da capelli bruni raccolti a crocchia dietro il capo” ; e a soggetti curiosi, come ‘Fin d’Lessi’ detto ‘Giovinezza’, che se ne andava in giro per il paese “ sempre bello azzimato come un figurino”.
E perché no?, al signor ‘Bègia’, padrone d’un ( docile ) destriero che gli dava da vivere come fiacre ma sistemato in una ridotta stalla adibita ( anche) a ripostiglio zeppo di cose inutili; per non parlare di Edoardo, suo vicino di casa, commerciante di legna e carbone, condannato a passare i suoi giorni ( festivi compresi ) all’interno d’un magazzino “pieno di sacchi, mucchi di carbone e cataste di legna di varia pezzatura”; e non sia mai escluso, di quello sbrindellato del ‘Pipaza’, cultore della bici con indosso “ un berretto guercio e un maglione sdrucito, corto e slabbrato, con su scritto: Ganna”; e, con malcelato orgoglio, al celebre musicista americano Armstrong, che vide ( dal vivo) per la prima volta ( forse nel 1953) dopo il concerto che ‘ Big Sathcmo’ tenne al ‘Lion Club’ di New York. In ‘Ricordi e amnesie’ restano molto vivi i giorni del passaggio del fronte di guerra, vissuti da Moroni in ‘angosciata comunanza’ con la ‘gente del borgo’, tutta ( o quasi) riparata all’interno delle (provvidenziali) grotte tufacee, che da secoli ( e per chilometri ) forano il ventre molle del Colle Giove. Rimarcando inoltre le ‘visite’ fatte a Bologna, ogni domenica mattina, senza preavviso, al venerato maestro Morandi.
Nell’album dei ricordi non manca l’empatico omaggio allo stravagante “raccoglitore di robe vecchie che girava per le case delle colline di Verucchio”.
Al tizio capitarono un giorno, contemporaneamente, ben “tre meccanismi di orologi a pendolo: uno da sotto una legnaia e il terzo dal cortile d’un minuscolo monastero dove era stato lasciato in gioco ai bambini”. Da non credere.
Insomma, ‘Ricordi e amnesie’ è un ‘crogiolo’ dove rintracciare l’alimento del suo impegno artistico. Del suo mondo. Del suo e del nostro mondo.
Quello che vediamo e quello non riusciamo a vedere. E che solo un vero maestro poteva tentare di ‘strappare all’oblio’. Soprattutto nei suoi aspetti più emarginati. Comunque da cogliere, da pensare, da non smarrire. Per consegnarli agli occhi dei giovani.
Federico Moroni in tutti i generi in cui s’è cimentato ha ottenuto risultati ragguardevoli.
E comunque intercomunicabili, visto che l’uno aggiunge sempre qualcosa all’altro. Senza nascondere una certa predilezione per il colore. Da emerito ‘maestro del colore’, appunto, qual è ormai considerato ( in prevalenza) Federico Moroni.
Senza dimenticare, non sia mai, la straordinaria esperienza didattico-artistica-pedagogica realizzata (con prestigioso riconoscimento internazionale) nel corso d’un decennio alla scuola del Bornaccino.
E ben esplorata in ‘Arte per nulla’ ( 1964). In cui l’autore indugia su quell’ eterno e inesauribile ‘zibaldone’ dove lo ‘strampalato’ mondo di Federico ‘gorgoglia appieno come fonte di sorgente per sue tele ’.
Con i suoi rottami, le sue ferraglie, i cocci di bottiglia, i panni stesi ad asciugare, le giostre, le fiere, i cortili, il manifesto stinto del Circo, le corse ciclistiche e gli ex Voto dei pittori.
Il tutto integrato da osservazioni, riflessioni, intuizioni sul mestiere di pittore, sul significato dei colori, sul gioco della linea e della forma. (1)
Congedandosi da Moroni, semmai, c’è un ultimo resistente confronto che assale: neppure le preziose misconosciute ‘testimonianze scritte’ raccolte in ‘Ricordi e amnesie’ hanno lo stesso ‘sapore’, ‘contenuto’ e ‘risultato’ dei ‘ disegni’ e dei ‘dipinti’ ?
“ Forse no – ammette Luca Cesari -, il segno ed il colore ottengono un altro impatto, un altro risultato, benché siffatti ricordi (orali e scritti) aprano come un vento improvviso ( rivelatore ) le finestre delle sue umane cordialità e corrispondenze”.
NOTA.
(1) Nel ’58, mentre la rivista americana Life dedica a Moroni dodici pagine centrali, a Roma il Ministro dell’Istruzione dirama una inchiesta fra gli specialisti delle attività creative riservate all’infanzia.
Tramite un questionario di quindici domande. Moroni le trova sbagliate. Le corregge, e manda le sue risposte, che in realtà non erano altro che quindici relazioni.
Fra i venticinque partecipanti viene scelto e classificato al primo posto. Ed è così che la singolare esperienza alla scuola del Bornaccino comincia a circolare. E ad essere apprezzata, in Italia e all’Estero.
Merito anche del testo ‘Arte per nulla’, scritto e dato alle stampe da Moroni nel ’64. Dal quale si può attingere l’universo creativo di Moroni, tutto “ balenante d’immagini e di trovate, quadri e quadretti, vere e proprie trasposizioni per iscritto delle sue tele”. “ Maestro lui, in tutto questo – sottoscrive in prefazione Lionello Fiumi -, per la gioia nostra, e non più, o non solo, nel significato di quello della oscura e memorabile ‘Scuola di Severino’”.
Roberto Vannoni